La ballata di Nan Goldin
“The ballad of sexual dependency è il diario che faccio leggere alle persone,” ha scritto Nan Goldin sul suo progetto più celebre, “il diario è una forma di controllo sulla mia vita. Mi permette di ricordare ossessivamente ogni dettaglio”. Il Museum of modern art di New York propone una versione rivista ed espansa del lavoro della fotografa statunitense, con più di 700 diapositive.
Goldin (1953) si trasferisce a New York alla fine degli anni settanta, dopo avere studiato fotografia a Boston. Documenta le serate, gli abusi, gli amori, le perdite, i dolori di cui i suoi amici – artisti, attori e registi di Bowery – e lei stessa sono protagonisti. Organizza proiezioni di queste foto, in cui il pubblico spesso coincide con le persone ritratte, e ne cura ogni volta anche la colonna sonora. Il progetto comincia a delinearsi come una ballata, non solo perché si ispira in parte a una canzone dell’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht, ma perché contiene un ritmo, un’andatura che Goldin sperimenta a ogni proiezione. Nel 1986 The ballad of sexual dependency diventa un libro, ormai ristampato diverse volte ed esibito in tutto il mondo.
Nella nuova versione esposta al Moma fino al 16 aprile, Goldin riorganizza la narrazione non pensando più a mostrare solo la sua vita ma guardandola in maniera retrospettiva. Le diapositive sono organizzate in categorie e la musica sottolinea le relazioni tra le immagini con un’intenzione più universale, come scrive Hugo Fortin.
E la sua ballata diventa la ricostruzione di una donna matura che scava incessantemente negli archivi della sua memoria.