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“C’era una protesta. Tutti gli africani volevano essere trasferiti e diedero fuoco a due bagni”. Mahdi, 15 anni. (Still I Rise)
“Come le persone costruiscono le loro case nella giungla”. Mahdi, 15 anni. (Still I Rise)
“Il filo spinato è orribile ma la sua geometria mi affascina”. Mahdi, 15 anni. (Still I Rise)
“La gente qui pensa che i gatti mangino i topi, ma i gatti hanno paura dei topi perché sono troppo grossi!”. Zeynab, 16 anni. (Still I Rise)
“Ho messo queste lucine per fare più bello il mio container”. Zeynab, 16 anni. (Still I Rise)
“Odio questa fila. È la fila per il dottore. L’ultima volta ho aspettato 14 ore”. Samaneh, 16 anni. (Still I Rise)
“Il cibo del campo ha un sapore orribile”. Mahdi, 12 anni. (Still I Rise)
“Fratellino”. Sadegh, 14 anni. (Still I Rise)
“Famiglia”. Negar, 12 anni. (Still I Rise)
“Nel mio paese le donne non possono guidare lo scooter, mi piace che qui possono”. Samaneh, 16 anni. (Still I Rise)
“Nella natura”. Milan, 15 anni. (Still I Rise)
“Bambini che pescano sul mare”. Anita, 14 anni. (Still I Rise)
“Il mare è la mia parte preferita della città”. Rostam, 11 anni. (Still I Rise)
“Bambini rifugiati guardano il mare”. Samaneh, 16 anni. (Still I Rise)

Con i nostri occhi

Sono passati tre anni dall’accordo tra Europa e Turchia sulla gestione dei migranti che sbarcano sulle coste greche. L’accordo ha di fatto cambiato la funzione degli hotspot in Grecia, trasformandoli da centri di identificazione a centri di detenzione.

L’hotspot dell’isola di Samos ospita attualmente più di 3.600 persone (lo scorso inverno si sono raggiunti picchi di 4.500 persone) in uno spazio pensato originariamente per 648. Le condizioni di vita nel campo, soprannominato la giungla, sono molto difficili e le violenze diffuse. Tra i soggetti più a rischio ci sono i minori: oggi sono almeno 930, di cui 120 non accompagnati, spesso senza la possibilità di frequentare una scuola. Nell’agosto del 2018 la ong Still I rise ha aperto a Samos la scuola Mazì per bambini e adolescenti profughi.

A Mazì, che in greco significa “insieme”, si può studiare inglese e greco, matematica e storia, geografia e arte, danza e informatica, falegnameria e fotografia. Siamo abituati a vedere immagini di sbarchi, frontiere e campi profughi scattate da fotografi professionisti, ma cosa succede se sono gli stessi protagonisti a raccontare visivamente la loro vita e le loro esperienze? Raccontare dall’interno: per questo nel dicembre del 2018 è nato il progetto fotografico Through our eyes. Dietro l’obiettivo non ci sono giornalisti o fotoreporter, ma proprio i giovanissimi studenti e studentesse di Mazì che vivono nel campo profughi di Samos.

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