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Clermont, Florida, agosto 2018. Brandon Mansilla Derqui regge una coperta decorata con una foto della sorella Jessica Sarandrea, soldata morta a 22 anni in Iraq. (Philip Montgomery)
Cleveland, Ohio, luglio 2016. La delegazione texana alla convention nazionale repubblicana. (Philip Montgomery)
Queens, New York, aprile 2020. La dottoressa Laura Iavicoli si prepara per il turno notturno all’ospedale Elmhurst. (Philip Montgomery)
Miamisburg, Ohio, settembre 2017. La famiglia di Brian Malmsbury dopo la sua morte, avvenuta per un’overdose di oppioidi. (Philip Montgomery)
Minneapolis, Minnesota, maggio 2020. Durante una manifestazione contro la polizia dopo l’omicidio di George Floyd. (Philip Montgomery)
Paradise, California, novembre 2018. Un’automobile distrutta dagli incendi. (Philip Montgomery)
Milwaukee, Wisconsin, dicembre 2015. Uno sfratto. (Philip Montgomery)
Ferguson, Missouri, novembre 2014. La famiglia Chatman guarda le proteste cominciate dopo l’annuncio del rinvio a giudizio per Darren Wilson, il poliziotto accusato dell’omicidio di Michael Brown. (Philip Montgomery)
Houston, Texas, settembre 2017. Un salotto allagato in seguito all’uragano Harvey. (Philip Montgomery)

L’America davanti allo specchio

Negli ultimi dieci anni gli Stati Uniti hanno vissuto una tale quantità di eventi traumatici che si fa fatica a ricordarli tutti. Violenze della polizia, scontri di piazza, incendi, inondazioni, il covid-19, hanno creato decine di microcrisi che si sono innestate su altre crisi più grandi e croniche, come la dipendenza da farmaci oppioidi, la diffusione incontrollata delle armi da fuoco, la scomparsa dei vecchi settori industriali. Tutto questo è successo in un clima di polarizzazione sempre più violenta della politica, dei mezzi d’informazione e della società, che ha impedito al paese di elaborare un racconto condiviso della sua storia recente. In questo contesto sembra impossibile vedere una possibile via d’uscita.

Per questo è importante il lavoro di chi cerca ostinatamente di creare quel tipo di racconto. Tra queste persone c’è Philip Montgomery, fotografo di 34 anni nato in California, che ha documentato tutti gli eventi traumatici degli ultimi dieci anni. Lo scorso dicembre Aperture ha pubblicato il suo libro, American mirror (Specchio americano). Gli scatti di Montgomery hanno il pregio di ricondurre ognuno di quei traumi ai luoghi reali dove sono avvenuti e alle persone che li hanno vissuti. E, mettendo in fila fatti apparentemente lontani tra loro, mostrano che tutte le minicrisi degli ultimi anni fanno in realtà parte dello stesso declino.

Il bianco e nero, e le tante sfumature di grigio che ci sono in mezzo, aiutano a creare questo racconto corale tragico, e stabiliscono un’evidente continuità con altri momenti di conflitti e divisioni, soprattutto quelli degli anni sessanta.

Vediamo una famiglia afroamericana che dalla soglia di casa osserva, tra timore e rassegnazione, le proteste contro la polizia per l’omicidio di Michael Brown a Ferguson, in Missouri, nel 2014. Vediamo un pianoforte sommerso dall’acqua in un salotto dopo il passaggio dell’uragano Harvey a Houston, in Texas, nel 2017. Una famiglia viene sfrattata poco prima di Natale a Milwaukee, in Wisconsin, nel 2015. Dei repubblicani festanti che stanno per incoronare Donald Trump come candidato del partito alla convention di Cleveland del 2016. Una dottoressa di un ospedale di New York che si prepara per il turno di notte, nel momento peggiore della pandemia di covid-19. Una famiglia che piange un figlio appena morto per overdose nel seminterrato di casa a Miamisburg, in Ohio, nel 2017. Un’automobile carbonizzata dall’incendio che nel 2018 ha raso al suolo la città di Paradise, in California. Un uomo che mostra la foto di sua sorella, morta combattendo in Iraq a 22 anni.

Lavorando a questo progetto, Montgomery è stato arrestato e colpito dallo spray al peperoncino e da proiettili di gomma durante le proteste contro la polizia, è caduto in acqua mentre cercava di avvicinarsi ai luoghi più colpiti dalle inondazioni, è entrato negli ospedali insieme ai paramedici che stava seguendo. Come scrive Patrick Radden Keefe nella postfazione del libro “le sue foto hanno un’immediatezza e un’intimità che possono essere ottenute avvicinandosi pericolosamente ai soggetti della foto, che sia in una rivolta o in una stanza”.

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