Il viaggio in Italia di Aaron Schuman
Aaron Schuman è un fotografo statunitense di 45 anni che vive nel Regno Unito. Il suo ultimo libro, Sonata (Mack), è una raccolta di immagini scattate su e giù per l’Italia negli ultimi quattro anni. La loro sequenza ricalca i tre movimenti di una sonata: un inizio, una sorta di prologo, poi un andante e infine un fortissimo a chiudere. L’epigrafe iniziale è di Wolfgang Goethe, forse il più illustre tra i viaggiatori del Grand tour che in Italia, sul finire del settecento, ha scoperto luce, colori e profumi sconosciuti. Goethe parla di “impressioni dei sensi” più che di paesaggi pittoreschi o monumenti, e quel senso di apertura verso l’esterno, così tipicamente romantico e apparentemente privo di sovrastrutture visive o culturali, sembra guidare anche gli occhi di Schuman nel catturare le sue “impressioni” italiane.
Non è casuale che la prima immagine del libro siano gli occhi di santa Lucia, offerti allo spettatore su un coppa, con la guizzante fiammella dello spirito santo. Sono sia i suoi occhi di fotografo, spiega Schuman, sia gli occhi di chi guarda il suo lavoro. Il simbolo del martirio di santa Lucia diventa un invito a staccarsi da una visione ovvia, dai cliché visivi più o meno consci che tutti hanno sull’Italia. Italiani compresi. Schuman racconta di essere stato per la prima volta in Italia quando era molto piccolo. I suoi genitori, grazie a uno scambio di case, lo hanno portato a Venezia. Era troppo piccolo per capire dove fosse ma ricorda colori, odori, sensazioni, e quel tipo di “impressioni dei sensi” è tornato a cercarle da adulto, e da fotografo, viaggiando per l’Italia da nord a sud.
Schuman non può non fotografare le opere d’arte ma sceglie sempre un angolo imprevisto. Della Madonna dei pellegrini di Caravaggio sceglie un angolo in basso a destra: un dettaglio dei piedi sporchi del penitente e della cornice marmorea in cui la pala d’altare è inserita nella basilica di sant’Agostino a Roma. Vediamo solo un lacerto della pittura di Caravaggio che diventa pura materia, come le pareti della chiesa che la ospita. È materia oleosa anche la pittura di Tiziano, nella Danae fotografata con luce radente a Napoli, al museo di Capodimonte. La sensualità della figura nuda si mescola con la sensualità del colore solidificato sulla tela che Schuman sceglie di privilegiare rispetto all’interezza del quadro. È interessante notare che le uniche presenze umane nelle foto italiane di Schuman siano quelle offerte da immagini: quadri, fotografie, poster di calcio o di donne nude appese nella bottega di un barbiere, busti impolverati, statue. Schuman non cerca direttamente la presenza degli esseri umani ma ne segue le tracce attraversando un paesaggio che è forgiato dall’uomo da millenni.
Le “impressioni dei sensi” non arrivano solo dall’arte o dai riflessi argentati delle foglie di ulivo che Schuman fotografa in uno sfavillante bianco e nero, ma anche da quattro pacchetti di patatine appesi nella vetrina di un bar di Palermo. Nella composizione dell’autore compaiono solo oggetti banali: pacchetti di patatine, bottigliette di succo di frutta, parte di un espositore per gomme da masticare e quei recipienti metallici per i tovagliolini di carta tipici dei bar italiani. Dalla vetrina s’intravede un paesaggio urbano che non ha nulla di particolarmente pittoresco o riconoscibile; eppure la luce che passa dal vetro, il riverbero sulle confezioni di patatine, quell’aria di gaiezza un po’ polverosa che hanno certe vecchie vetrine, ci dicono che non potremmo che essere in Italia.
Il libro si chiude con l’immagine in bianco e nero di un cielo notturno che s’intravede tra i rami accanto all’epigrafe “Et in Arcadia Ego”. Dopo tanta luce, tanta natura e tanti segni dell’ingegno e del lavoro umani, la visione di questo paradiso in terra che è l’Italia si conclude con un memento mori che non ha nulla di inquietante o di terribile, è solo un dato di fatto. Et in Arcadia Ego, “Anche io in Arcadia” è l’incisione che compare sotto al teschio osservato da due pastori meravigliati in un quadro del Guercino dei primi decenni del seicento. Il cielo lunare catturato da Schuman evoca quel crepuscolo che s’indovina tra i rami in quel dipinto di Guercino, la natura colta nel suo ciclo infinito di nascita, morte e resurrezione.