I tre anni che inventarono New York
Tra il 1962 e il 1964 succedeva tutto a New York. O almeno così poteva sembrare. In un periodo storico segnato dalla crisi dei missili di Cuba, dalla grande marcia di Washington e dall’omicidio del presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy, la città era un laboratorio culturale in cui l’arte, il cinema, il teatro, la danza e la performance si stavano rapidamente evolvendo fino a tracimare fuori dagli austeri confini del modernismo.
Il libro fotografico in grande formato New York 1962-1964 (pubblicato da Skira) è legato all’ultimo progetto curatoriale lasciato incompiuto dal critico d’arte genovese Germano Celant (1940-2020): una mostra al Jewish museum di New York dedicata ai quei tre anni fondamentali con opere, tra gli altri, di Jasper Johns, Claes Oldenburg, James Rosenquist, Jim Dine, Robert Rauschenberg, Andy Warhol e Louise Nevelson.
Erano gli anni in cui il gusto di collezionisti e galleristi si spostava dall’espressionismo astratto a quella che cominciava a essere chiamata, con un termine importato dal Regno Unito, pop art. A New York la si chiamava ancora “new art” ed era qualcosa di proteiforme e magmatico, a cui non era possibile dare connotazioni precise. Era un’arte giocosa e terribile allo stesso tempo, tanto ingenua quanto sofisticata, che pescava dall’immaginario della pubblicità, della tv e dei fumetti.
Il libro stesso è un manufatto pop, con un’impaginazione che ricorda riviste illustrate dell’epoca come Life e Look e alterna grandi riproduzioni a colori di opere a immagini storiche in bianco e nero, in un flusso di narrazione per immagini e parole che rispecchia il chiasso scandaloso e irriverente dell’arte newyorchese di quegli anni. Scorrono sotto gli occhi, con un montaggio rapidissimo da videoclip in fast forward, i volti di Marilyn Monroe (che si uccise nel 1964), di James Baldwin e di Martin Luther King, l’Uomo Ragno di Steve Ditko, gli hamburger grondanti colore di Claes Oldenburg, la pittura ancora materica di Jasper Johns, le Marilyn su fondo oro, ieratiche come icone bizantine di Andy Warhol, i fotogrammi di Flaming creatures, lo scandaloso film underground di Jack Smith e i giganteschi tabelloni luminosi che reclamizzavano la Cleopatra di Mankiewicz con Liz Taylor.
Cultura alta e cultura bassa, mainstream e underground, ricchi collezionisti e prostituti tossici, spogliarelliste e danzatori della compagnia di Merce Cunningham con i costumi disegnati da Robert Rauschenberg: un’umanità brulicante, ipercinetica, strafatta di speed, alcol e allucinogeni che, in tre anni, ha forgiato la materia di cui ancora oggi è fatto il contemporaneo.