Il festival che non si è mai svolto
Civita di Bagnoregio è un borgo in provincia di Viterbo, nell’alto Lazio, famoso per i fenomeni carsici che stanno portando all’erosione del suo territorio e alla sua graduale scomparsa. Nel borgo abitano solo 16 persone e vi si accede attraverso un ponte. Ma invece di essere protetta, la cittadina è diventata il simbolo di campagne di promozione che attirano ogni anno migliaia di turisti e rischiano di metterne ancora più a rischio la conservazione.
Per questa sua fragilità Civita è stata scelta da un collettivo di artisti per dare luogo a un festival immaginario, Civitonia. Un festival che non si è mai svolto.Tra il gennaio e il giugno 2020 ventuno artisti hanno temporaneamente abitato a Civita di Bagnoregio: Chiara Bersani e Marta Montanini, Cheap, Fratelli D’Innocenzo, Daria Deflorian, Francesca Marciano e Valia Santella, Eva Geatti, Francesca Pennini e Vasco Brondi, Alice Rohrwacher, Simona Pampallona, Anagoor, Alessandro Sciarroni, Michele Di Stefano.
Hanno dato forma a gesti, scritture, performance, riti, incantesimi, installazioni, visioni “capaci di fertilizzare paesaggi ormai atrofizzati” e poi hanno convocato un festival che non c’è mai stato per riflettere sulla “turistificazione di massa, un fenomeno che minaccia da tempo le sorti” di Civita. “L’apparizione inattesa del festival, agendo nelle maglie del reale come un incantesimo, voleva produrre interrogazioni e atti immaginativi capaci di prefigurare altre possibilità di futuro. L’obiettivo era quello di squarciare il modello di sfruttamento che condanna Civita a pensarsi senza alternative, evocando biforcazioni e scarti”, hanno spiegato gli artisti in una conferenza stampa il 18 dicembre al museo Macro di Roma.
I direttori artistici della manifestazione, l’attrice Silvia Calderoni e Giovanni Attili, hanno spiegato: “Le artiste e gli artisti che abbiamo coinvolto hanno effettivamente svolto la loro residenza a Civita di Bagnoregio. Hanno sostato a mani aperte, in ascolto. Nel tentativo di interrogare questa terra, si sono collocati al centro del suo perimetro. Ne hanno abitato le grida e i sussulti. Con una consegna preziosa: immaginare. Che sia un immaginare pieno, abbiamo detto loro. Talmente pieno e spensierato da bastare a sé stesso. Per assecondare questa consegna, le nostre compagne e i nostri compagni di viaggio non dovevano realizzare niente: nessuna performance, nessuna azione teatrale, nessun film. Per noi era prezioso e irrinunciabile solo l’atto immaginativo. Non chiedevamo nient’altro”.
La domanda a cui gli artisti hanno provato a rispondere è stata: “L’arte può svolgere un ruolo riparatore?”. Ma l’idea era quella di non portare su un piano di realtà l’immaginazione, di lasciare aperte nel loro potenziale le riflessioni, le idee, le ispirazioni. Lasciarle essere improduttive. Tutti gli interventi degli artisti sono stati raccolti in due volumi.
Le foto di questa gallery sono state scattate dalla fotografa Simona Pampallona, una delle artiste che ha partecipato alla residenza. Pampallona ha immaginato la mostra Andare fuori, in cui ha mescolato la sua visione all’istinto del figlio Valerio. Insieme hanno esplorato la valle circostante a Civita, per soffermarsi su presenze normalmente ignorate dai visitatori occasionali. “L’industria turistica ha trasformato questi luoghi in scarti, tracce di un passato pietrificato che non parla più. Piuttosto, portano al loro interno riserve di vita in potenza”, ha detto la fotografa.
“Viviamo circondati di immaginari, spesso dei più terribili. Pensare qualcosa che non accadrà per me ha il senso di costruzione, non distruzione. La distruzione è un pensiero semplice, è sempre presente. Ma come si fa a costruire su un qualcosa che è stato già devastato?”, ha scritto Pampallona nel volume dell’iniziativa. “Eppure, il ponte di Civita è emblematico: si è ricostruito, a più riprese. Si è attraversato sfidando la morte, eppure la vita continua a esistere. Dovremmo fotografarci di più, sdoppiarci e rivederci – tanti doppelgänger che riconoscono i propri errori e ricostruiscono sulle macerie. Dovremmo fermarci e ripensare, seduti sulle rocce antiche di Civita”.