I timori dei palestinesi che lavorano in Israele
I timori dei palestinesi che lavorano in Israele
Circa 14.500 lavoratori palestinesi sono entrati in Israele la mattina del 3 maggio, nonostante i timori di esporsi al nuovo coronavirus. L’apertura dei valichi, che dovrebbe durare fino alla sera del 4 maggio, segue un accordo raggiunto da Israele con l’Autorità nazionale palestinese per consentire agli abitanti della Cisgiordania di andare a lavorare in Israele, dopo un mese di blocco imposto per arginare la diffusione del covid-19. Israele ha emesso in totale 39mila permessi di lavoro, principalmente nel settore edile e agricolo.
La decisione è stata presa nell’ambito di un allentamento delle restrizioni imposte per contenere la diffusione del nuovo coronavirus in Israele, dove finora sono stati registrati 16.237 casi e 234 decessi. Ma si teme che invece possa favorire un aumento dei contagi in Cisgiordania, dove sono risultate positive 353 persone, la maggior parte delle quali hanno avuto contatti con lavoratori in Israele o negli insediamenti israeliani. Per limitare i contagi, l’accordo prevede che i datori di lavoro forniscano ai dipendenti dispositivi di protezione, come guanti e mascherine. Inoltre i lavoratori palestinesi non potranno fare avanti e indietro con le loro case in Cisgiordania, come succede di solito, ma dovranno restare in Israele per almeno tre settimane.
Rami Mehdawi, portavoce del ministero del lavoro dell’Autorità nazionale palestinese, ha assicurato che il rientro dei lavoratori in Cisgiordania, previsto per la festa dell’Aid el Fitr, che segna la fine del Ramadan e quest’anno si celebra tra il 23 e il 24 maggio, sarà strettamente coordinato con Israele per evitare la diffusione dei contagi. Dall’inizio di marzo le autorità palestinesi hanno chiuso scuole e università e hanno imposto lo stato d’emergenza per garantire il rispetto del distanziamento sociale.
Circa centomila palestinesi hanno un permesso per lavorare in Israele e negli insediamenti israeliani illegali. Molti altri hanno impieghi informali. I salari che ricevono sono molto più alti di quelli della Cisgiordania, dove il tasso di disoccupazione è al 30 per cento e l’economia è indebolita da decenni di occupazione israeliana. Il mese scorso le autorità palestinesi e alcune organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno accusato gli israeliani di aver abbandonato ai posti di blocco alcuni lavoratori palestinesi che mostravano i sintomi del covid-19 e di aver consentito ad altri di rientrare in Cisgiordania sfuggendo al controllo delle autorità palestinesi.