
Il 19 luglio le autorità della Malaysia hanno condotto un’operazione contro alcuni centri di mining, gli impianti che usano potenti computer per emettere criptovalute come il bitcoin e convalidare le transazioni. La polizia di Miri, una cittadina dell’isola del Borneo, ha sequestrato 1.069 apparecchiature informatiche, le ha ammassate nel parcheggio della questura e le ha distrutte usando un rullo compressore. L’operazione, spiega il sito statunitense Cnbc, è stata condotta in collaborazione con la Sarawak Energy, un’azienda che fornisce energia elettrica nel Borneo. Le autorità malesi, infatti, accusano i miner di aver svolto la loro attività sottraendo illegalmente corrente elettrica per un valore complessivo di circa due milioni di dollari. A Miri sono state arrestate otto persone, mentre altre sei sono sotto inchiesta per furto di corrente elettrica. Ogni indagato rischia otto mesi di prigione e una multa fino a 1.900 dollari. Nel corso del 2021 la polizia malese ha condotto altre operazioni contro gli impianti di mining: sei tra febbraio e aprile. A marzo, per esempio, un miner della cittadina di Melaka è stato accusato di aver rubato corrente elettrica per 2,2 milioni di dollari all’azienda energetica Tenaga Nasional Berhad. Finora sono state distrutte apparecchiature per un valore di circa 1,26 milioni di dollari. Da tempo la Malaysia è una delle destinazioni più ricercate da chi produce criptovalute. Secondo il Cambridge center for alternative finance, in Malaysia è attivo il 3,44 per cento dei miner di tutto il mondo. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1419 di Internazionale, a pagina 108. Compra questo numero | Abbonati