In una sobria sala riunioni all’ottavo piano di un palazzo di uffici con vista su Bruxelles, l’avvocato Jean-Philippe Montfort riassume il suo stato d’animo in tre parole: “Sono molto preoccupato”. Il motivo è che il regolamento europeo sulle sostanze chimiche Reach potrebbe vietare le sostanze per- e polifluoroalchiliche, ovvero i cosiddetti Pfas.
Se ne discute alla Commissione europea, a solo un chilometro dall’ufficio di Montfort nello studio legale Mayer Brown. La messa al bando potrebbe riguardare circa diecimila sostanze, e con esse gli affari miliardari dei clienti di Montfort nell’industria chimica. La proposta di divieto è dovuta ai rischi per la salute. Alcuni Pfas sono stati riconosciuti come tossici, ma sulla maggior parte di essi non ci sono ancora dati sufficienti. Vista la gran quantità di sostanze diverse, esaminarle singolarmente sarebbe un lavoro proibitivo per le autorità. Pertanto l’eventuale messa al bando di questi agenti chimici sarebbe basata sul principio di precauzione, con cui Montfort non è affatto d’accordo: “È troppo facile dire non lo so, quindi lo proibisco”. Secondo lui queste sostanze andrebbero regolamentate solo se sarà dimostrato che il rischio è reale. Ma le affermazioni di Monfort sono in netto contrasto con le linee guida internazionali per la tutela dell’ambiente e con i princìpi della politica ambientale tedesca.
Quanto siano tossiche le sostanze sostitutive attualmente in uso, e dunque ancora rilasciate nell’ambiente, non è chiaro
Dall’inchiesta del Forever pollution project emerge che in Europa la lobby dei Pfas comprende circa cento organizzazioni, tra cui 42 associazioni industriali e 29 aziende come le multinazionali tedesche della chimica Basf e Bayer.
Come dimostrano più di 1.200 documenti confidenziali della Commissione europea e dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche, le associazioni industriali vorrebbero evitare la regolamentazione dell’intera famiglia di sostanze. Più di venti sigle hanno firmato l’ultimo appello contro il divieto, rivolto personalmente ai commissari europei per l’economia e l’ambiente.
Secondo l’inchiesta i gruppi di pressione più rappresentati a Bruxelles sono il Consiglio europeo delle industrie chimiche (Cefic) e Plastics Europe. Hanno appositamente istituito delle squadre di esperti, alcune delle quali si occupano di specifici sottogruppi di sostanze, come i gas fluororati o le fluoroplastiche, in gergo tecnico fluoropolimeri. Solo per occuparsi di fluoropolimeri si sono riunite più di 70 tra aziende e associazioni industriali. Le riunioni si svolgevano una volta a settimana e i rappresentanti delle istituzioni erano i benvenuti.
Già nel 2017 Plastics Europe ha pubblicato un opuscolo in cui sosteneva che la messa al bando dei Pfas avrebbe colpito numerosi settori produttivi, mettendo a rischio milioni di posti di lavoro. Spiegano inoltre che non esistono alternative equivalenti ai fluoropolimeri. La Federazione delle industrie tedesche (Bdi) invece avverte che il divieto metterebbe a rischio l’innovazione, la competitività e la transizione energetica.
Del resto, osservano i rappresentanti dell’industria, i Pfas non si trovano solo nelle padelle antiaderenti, nella carta per hamburger o nelle giacche a vento, ma anche nelle batterie a ioni di litio e nelle membrane delle celle a combustibile. Le multinazionali dell’industria chimica
Basf e Bayer sostengono che un eventuale divieto dovrebbe essere formulato in modo da non impedire l’uso dei Pfas nella produzione di batterie, semiconduttori, veicoli elettrici ed energie rinnovabili. Il Cefic si è espresso solo dopo la prima pubblicazione di questo articolo: continuerà a impegnarsi per un uso sicuro dei Pfas nel settore aerospaziale, nella difesa, nelle energie rinnovabili e nella sanità. Finora gli scenari da incubo prospettati dall’industria non hanno avuto effetti.
Il 7 febbraio cinque stati europei – Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia – hanno presentato una prima proposta per una messa al bando totale dei Pfas. L’unica concessione alle obiezioni delle aziende è stata prevedere periodi di transizione pluriennali per alcuni settori. Michael Schlipf, presidente del gruppo dedicato ai fluoropolimeri dell’associazione di settore tedesca pro-K, è molto arrabbiato: “La proposta europea rappresenta lo scenario peggiore”, spiega, “e se si concretizzerà avrà conseguenze disastrose sul sistema industriale europeo. Cominci a dire addio al suo telefono”.
La parola d’ordine di Schlipf è: salvate i fluoropolimeri! Secondo lui, vietare l’intero gruppo di Pfas, fluoroplastiche incluse, sarebbe segno di un atteggiamento antiscientifico: “Stando ai criteri Ocse i fluoropolimeri sono products of low concern, cioè sostanze sicure che non necessitano di essere ulteriormente regolamentate”. Di per sé non sarebbero tossiche e inoltre sarebbero talmente resistenti che, a differenza dei Pfas usati per i tappeti, le stoffe da divano o il cuoio, non potrebbero neppure degradarsi in elementi tossici. Inoltre i fluoropolimeri sono necessari per far funzionare un telefono o anche quelle tecnologie verdi fondamentali per la transizione energetica.
Pro-K ha consegnato un rapporto all’Istituto federale tedesco per la sicurezza e la salute sul lavoro (Baua) che partecipa al processo di elaborazione della regolamentazione europea. Come altre associazioni industriali, si richiama a studi sui fluoropolimeri pubblicati da riviste scientifiche, solo che tra i loro autori figurano anche dipendenti del settore.
Le alternative esistono
La sicurezza delle fluoroplastiche è “una favoletta”, obietta Martin Scheringer, chimico ambientale del politecnico federale di Zurigo che da più di 15 anni si occupa della questione. Il punto principale sono “gli enormi problemi relativi alla produzione e allo smaltimento”. L’inquinamento da acido perfluoroottanoico (Pfoa), come quello provocato dalla DuPont negli Stati Uniti, è “causato proprio dalla produzione di fluoropolimeri, e lo stesso vale per altri casi di inquinamento da Pfoa e ora anche da Genx”. I Pfoa e i Genx sono coadiuvanti chimici, cosiddetti emulsionanti, in passato impiegati anche in Europa nella produzione di certi fluoropolimeri. Quanto possano essere tossiche le sostanze sostitutive attualmente in uso, e dunque tuttora rilasciate nell’ambiente, non è chiaro.
L’obiezione delle aziende è che oggi per la produzione della maggior parte delle fluoroplastiche è possibile fare a meno dei coadiuvanti del gruppo Pfas, mentre le emissioni di Pfas che sono inevitabili potrebbero essere interamente confinate all’interno di fabbriche, e le scorie raccolte o scomposte in minerali non pericolosi attraverso impianti di combustione ad alte temperature. Secondo l’associazione Plastics Europe l’industria stessa potrebbe impegnarsi su base volontaria a sviluppare queste idee.
Scheringer però preferisce non fidarsi. “Finora molto spesso le cose sono andate diversamente: anche di fronte al rischio di un divieto le aziende non hanno usato sostanze non pericolose ma sostituti simili, appartenenti alla stessa classe di sostanze ma non regolamentati, che non è detto siano meno dannosi”. Il chimico rifiuta anche l’altra argomentazione dell’industria, secondo cui queste sostanze sono insostituibili. Sostiene infatti che nella maggior parte dei prodotti di consumo si può fare a meno dei fluorochimici. Per quanto riguarda le loro applicazioni industriali invece ci sono delle zone grigie, per esempio nel settore sanitario e in quello dei semiconduttori, nei quali potrebbe essere difficile sostituirli.
“Difficile, ma non impossibile”: questo motto guida anche il lavoro della Ionysis, startup tedesca che, in collaborazione con l’azienda canadese Ionomr, si appresta a sfidare la lobby dei Pfas dimostrando che per la transizione energetica sono possibili soluzioni veramente ecologiche senza fluorochimici e che una messa al bando potrebbe perfino rivelarsi positiva per l’innovazione.
Secondo Michael Schlipf rinunciare all’uso dei cosiddetti gas fluororati come refrigeranti non dovrebbe essere difficile: “Basterebbe un po’ di pressione e sarebbero sostituiti in un batter d’occhio”. Ma non vuole assolutamente rinunciare a salvare i fluoropolimeri: “L’Unione europea non può mica riportarci alla preistoria”.
Anche Plastics Europe continua a battersi contro la proibizione di tutta la famiglia di sostanze. Recentemente c’è stato un seminario sul tema rivolto a chi è coinvolto nella questione. Lo scopo era raccogliere casi studio che illustrassero la rilevanza sociale ed economica delle fluoroplastiche. A marzo è cominciata anche la consultazione pubblica in cui cittadini, organizzazioni e rappresentanti dell’industria potranno esprimersi sulla regolamentazione dei Pfas. Ma è ancora da vedere come si concretizzerà la regolamentazione di queste sostanze: per avere una risposta bisognerà aspettare come minimo il 2025. ◆ sk
Gli autori di questo articolo sono Daniel Drepper, Andrea Hoferichter e Sarah Pilz
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Questo articolo è uscito sul numero 1507 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati