La primavera è tornata. Shanghai, una megalopoli di 25 milioni di abitanti, alla fine di marzo è ancora umida e fredda, e spesso una folata di vento invernale riesce ancora a intrufolarsi tra le pieghe dei vestiti. Ma i platani, oltre il groviglio di cavi dell’elettricità sospesi a mezz’aria tra un palo e l’altro, sono pronti a rinascere. I salici e i ciliegi stanno quasi fiorendo: non guarderemo questa primavera da dietro un finestra.
La maggior parte degli abitanti non ha ricordi di quella passata. Dalla fine di marzo ai primi di giugno del 2022 nessuno è potuto uscire di casa: il rigido lockdown con cui le autorità hanno risposto alla pandemia di covid-19 è durato tutta la stagione. Xu Qiu (tutte le persone intervistate sono indicate con nomi inventati) ricorda che quando è cominciato portava una giacca a vento imbottita, ma quand’è finito è uscita solo con una gonna leggera.
Di fronte al balcone di You Jia c’è un filare di alberi della canfora. Nel marzo 2022 i rami erano ancora spogli, ma quando ha potuto di nuovo uscire di casa avevano una chioma fitta e rigogliosa. “È stato come addormentarsi profondamente e risvegliarsi in un mondo che non riconosci più”.
Nel frattempo la città ha quasi cancellato ogni traccia visibile della pandemia e degli strumenti messi in campo per contrastarla. Le transenne e le paratie blu che isolavano i quartieri e i condomini, e separavano completamente le vite degli abitanti, sono sparite. Anche l’onnipresente personale sanitario nascosto dentro le tute protettive bianche non si vede più.
I quindicimila chioschi per i test molecolari che costellavano le strade e gli innumerevoli codici qr da scansionare nei luoghi pubblici per facilitare il tracciamento dei positivi sono svaniti nel nulla. You Jia, che lavora a Shanghai da più di dieci anni, non saprebbe dire quand’è successo. Come d’altronde non saprebbe ricostruire il momento esatto in cui sono comparsi.
“C’era un chiosco qui, e un altro lì”, dice indicando con la mano. “È come se qualcuno avesse impugnato una bacchetta magica e ‘Abracadabra!’, improvvisamente non c’è più nulla. È così strano. Forse è per questo che Shanghai è soprannominata la città magica. Solo che non si sa chi ha in mano la bacchetta né quale sia la formula per far sparire tutto”.
La vita continua
Nei quartieri ricchi la vita è già ricominciata. Xintiandi, la zona turistica chiusa al traffico vicino al luogo in cui nel 1921 si tenne il primo congresso del Partito comunista cinese, è affollata. Il sapone liquido da provare gratis e l’elegante lavandino di fronte al negozio di un marchio straniero di cosmetica attira i passanti con il suo profumo. Davanti al locale del bubble tea “naturale” reso famoso dagli influencer c’è una lunga fila di persone che aspetta di entrare. Sembra di essere a Covent garden, nel cuore di Londra, nel Regno Unito.
La linea 2 della metropolitana, costruita negli anni novanta per collegare l’aeroporto internazionale di Pudong con la stazione ferroviaria e l’aeroporto di Hongqiao attraversando i quartieri commerciali più ricchi della città, brulica di viaggiatori. I turisti che escono da una delle sue fermate più affollate chiedono in modo insistente come si arriva al tempio buddista di Jing’an. Di fronte ai suoi tetti dorati c’è il Kerry center, uno degli edifici simbolo della moderna Shanghai. Un gruppo entra in un ristorante di cucina occidentale chiacchierando del più e del meno. Si sente una voce sospirare: “Tre anni di pandemia e chissà quanti morti. Che fare? La vita continua…”. Quelle parole cadono nel vuoto e qualcuno cambia in fretta discorso. La pandemia non è certo un argomento da tirar fuori a cena e, se viene sollevato, bisogna subito parlare d’altro.
Qin Siyu è a Shanghai per studiare. Da quando è arrivata va nei parchi se si sente sola. È lì che ha trovato gli amici con cui condivide svaghi e interessi: ascoltano musica seduti sull’erba, e se gli va si alzano e si mettono a ballare. Ma da quando è finito il lockdown è come se i loro corpi avessero perso l’abitudine a danzare. Seduti sull’erba guardano tutti in basso verso lo schermo del telefono. Qin Siyu si sente priva di energia: “È una sensazione nata con i divieti e il controllo, ti prosciuga lentamente”.
Prima della pandemia aveva i capelli colorati, amava l’arte e andava a teatro ogni tre giorni. Ora non riesce a dormire e le manca la voglia di organizzare qualsiasi cosa. “Ero leggera come una nuvola, ora mi sento come se una pietra mi avesse colpita e ridotta in poltiglia”. Anche l’appetito se n’è andato, insieme alla voglia di socializzare.
La primavera scorsa Qin Siyu era intrappolata nella stanza di pochi metri quadrati del dormitorio dell’università e ha perso cinque chili. Niente, in confronto ad altri studenti che ne hanno persi dieci. Ma anche se non doveva preoccuparsi di fare la spesa e cucinare ha ricevuto lo stesso cestino per il pranzo, perdendo il piacere e il gusto del mangiare. Ricorda ancora perfettamente la felicità di quando è riuscita a entrare in possesso di una bustina di cioccolato in polvere scaduta: una leccornia.
Finito il lockdown, Bao Li ha cercato un medico. Aveva aspettato le mestruazioni per quattro mesi ed era convinta di essere rimasta incinta. Il ginecologo l’aveva subito rassicurata: molte ragazze non avevano avuto il ciclo durante i mesi di clausura. Il suo corpo è tornato alla normalità solo in piena estate: “A essere cinica, ho risparmiato sugli assorbenti”.
You Jia, nato negli anni novanta, non avrebbe mai pensato che la sua generazione avrebbe dovuto affrontare la mancanza di cibo
Xia Mang ha invece osservato un altro invisibile cambiamento tra i residenti di Shanghai: sono ancora più dipendenti dal telefono, tanto che sembra diventato un’estensione del loro corpo. In fondo, nei mesi in cui il lockdown ha bloccato l’intera città, per molti è stato l’unico mezzo con cui procurarsi da mangiare: “Se non l’avessi avuto”, si giustifica Xia, “sarei morto di fame”.
You Jia, invece, passava ore a guardare video di viaggi e cucina. Poteva osservare il tramonto a Dali, nello Yunnan, passeggiare per le strade affollate di Shibuya a Tokyo, in Giappone, o di Causeway Bay a Hong Kong. Oppure ascoltare un podcast su come preparare gli spaghetti alla Chongqing o sui piatti preferiti di Mao Zedong. “Oggi mi sembra stupido, ma all’epoca il telefono sostituiva i miei occhi e le mie gambe”.
Un’altra abitudine che lo riporta a quei mesi è riempire all’inverosimile la dispensa, che gli trasmette ancora una sensazione di sicurezza. Fino all’autunno inoltrato del 2022, You Jia ha continuato a comprare le confezioni da sessanta ravioli da surgelare e a fare scorta di riso. Non voleva essere colto di sorpresa da un’altra ondata di covid-19.
Nessuno avrebbe potuto immaginare che Shanghai sarebbe tornata a soffrire la fame nel ventunesimo secolo. Eppure è stata proprio l’esperienza della fame durante il lockdown ad avvicinare You Jia e la madre. Quand’era bambino lei gli raccontava che da giovane aveva sempre la sensazione di avere lo stomaco vuoto, che poteva riempire solo di sorgo e patate. You Jia, nato negli anni novanta, non avrebbe mai pensato che la sua generazione avrebbe dovuto affrontare la mancanza di cibo. “Ho improvvisamente capito quello che mi raccontava mia madre: la rivoluzione culturale, l’assenza di sentimenti e prodotti alimentari”, riflette ad alta voce. “È terribile! Se le nuove generazioni non conoscono la storia, questa potrebbe ripetersi”.
Il lockdown ha riscritto il rapporto tra storia e realtà, e ha cambiato le relazioni tra le persone. Ha separato amanti e unito sconosciuti. Nel condominio in cui viveva Ke Yan, i vicini che fino ad allora si erano ignorati si sono conosciuti attraverso le chat, gli acquisti di gruppo e lo scambio di cibo. La proprietaria del ristorante al piano terra aveva deciso di continuare a lavorare nonostante il divieto, e per evitare i controlli della polizia, spesso non accendeva la luce. Un abitante del palazzo che lavora in un’azienda pubblica si era preso l’impegno di raccogliere ordinazioni e pagamenti per fare in modo che il ristorante clandestino continuasse a lavorare. “Non potendo seguire le normali logiche commerciali, ci eravamo organizzati secondo le nostre esigenze e i nostri desideri. Tornati alla normalità, i rapporti tra vicini sono di nuovo una rarità”. A Ke Yan mancano molto.
Esperimento sociale
Ci sono esperienze che chi non ha vissuto non può capire. Come in quegli incubi difficili da raccontare, è solo il corpo a conservare la memoria delle sensazioni di paura e intorpidimento. Quando Yu Jia spiegava agli amici che vivono in altre città che si era messo a piangere scoprendo di aver quasi finito le verdure nel congelatore, lo prendevano in giro e gli davano dell’esagerato. Così ha smesso di parlarne: “A volte è difficile credere alla verità”. Lui, amante della vita all’aria aperta, nei mesi di confinamento a casa si è sentito come in carcere.
Quando gli capita di ricordare quei momenti con qualcuno che li ha vissuti con più leggerezza gli viene voglia di prenderlo a schiaffi. “Venticinque milioni di persone chiuse in casa dall’oggi al domani senza sapere quando potevano uscire di nuovo: è stato come una performance artistica o un esperimento sociale per individuare il punto in cui la mente può cedere alla pazzia. Ogni due settimane ci comunicavano che saremmo dovuti rimanere chiusi per altre due settimane. Mi sono sentito come Sisifo, costretto a ricominciare da capo ogni volta che pensavo che quell’esperienza terribile fosse sul punto di finire”.
Dopo la fine del lockdown ha incontrato gli amici e i parenti che non vedeva da mesi. Tutti preferivano parlare di ristoranti e nuovi posti da frequentare. Inconsciamente il lockdown era diventato un tabù, come se di quei giorni si fosse già persa la memoria, come se fosse stata una folata di vento.
Il lockdown ha riscritto il rapporto tra storia e realtà e ha cambiato le relazioni tra gli individui. Ha separato amanti e unito sconosciuti
Insieme alle transenne è scomparsa la vibrante metropoli che era Shanghai. Bao Li, che dopo la laurea era arrivata in città per lavorare nella pubblicità, aveva scelto di vivere in un edificio in stile occidentale del quartiere alla moda della città. L’estate scorsa, appena ha potuto, si è trasferita a Pechino: “Non potevo più fingere che non fosse successo nulla, la vitalità e i locali di quell’area gentrificata mi sembravano improvvisamente privi di senso”. A tutti i pechinesi che le chiedono com’è stato vivere per tanto tempo chiusi in casa, fa sempre lo stesso esempio: “È stato come convivere per mesi con un uomo violento e andare al lavoro ogni giorno, essere in preda al panico e fingere che vada tutto bene”.
Anche se nessuno parla più di quei mesi, si fatica a dimenticarli. Anzi, il trauma riaffiora nei momenti più impensabili. Quella primavera perduta, nascosta nel cuore degli abitanti di Shanghai, è esplosa lo scorso novembre. Xia Mang ricorda bene quando le persone si sono ritrovate in via Urumqi, sconvolte dall’incendio che aveva provocato almeno dieci morti in un palazzo dell’omonimo capoluogo della regione autonoma dello Xinjiang, ancora in lockdown: gli abitanti dell’edificio non potevano uscire di casa e l’arrivo dei soccorsi era ostacolato dalle paratie installate per impedire ai residenti di muoversi.
Prima che la protesta fosse interrotta dagli arresti della polizia, Xia Mang aveva sentito un ragazzo urlare a un suo coetaneo in divisa: “Sai quante persone sono morte? Ti ricordi che abbiamo vissuto nelle stesse condizioni per mesi?”. Probabilmente chi si è riunito spontaneamente in via Urumqi non era lì solo per ricordare le vittime, ma anche per commemorare quei mesi in cui la vita era stata interrotta.
La via confina con un quartiere molto in voga tra gli influencer. Xia Mang ricorda che quella sera, al sit-in, c’erano moltissime ragazze truccate e alla moda: “Sembravano appena uscite da una festa o da un ristorante stellato, oppure pronte per lo shopping o per un appuntamento romantico. Neanche loro erano riuscite a superare il trauma”.
“Ci piaccia o no, siamo noi i testimoni di questa storia”, dice Bao Li che sente la responsabilità e il dovere morale di ricordare quei giorni. “Siamo plasmati dalla politica e dal potere ogni giorno. Non possiamo fare affidamento su nessuna piattaforma per ricordare, dobbiamo contare su noi stessi e conservare la memoria storica e politica di questo paese”.
A un anno dal lockdown, Bao Li voleva ricordarlo senza attirare l’attenzione delle autorità. Aveva trovato una maglietta con una scritta in inglese: “Sopravvissuti. Shanghai 2022”. La voleva comprare, ma poi aveva saputo che qualcuno che l’aveva fatto aveva avuto problemi con il governo e aveva cambiato idea.
In prima classe sul Titanic
Shanghai è spesso descritta come la metropoli della libertà, dell’apertura e della diversità. Qui si sentono i dialetti di ogni angolo della Cina, s’incontrano persone del passato e stranieri, ricchi e poveri, sognatori e frustrati. Ci sono mille ragioni per venire e mille sogni da realizzare, eppure sono in molti a volersene andare a causa di quell’esperienza.
Xia Mang ha rassegnato le dimissioni alla fine del 2022 e si unirà alle file di nomadi digitali che vanno a vivere all’estero. Secondo i dati del marzo 2023, rispetto al 2021 la popolazione è diminuita di almeno 135mila unità, mentre i residenti permanenti venuti da fuori sono stati 257 mila in meno.
ll lockdown dell’anno scorso è la ragione per cui anche Jiang Meng ha deciso di andare a studiare all’estero il prima possibile. Xu Qiu, invece, continua ad amare la città, pensa che sia il posto migliore dove vivere in Cina. Ma ha anche capito che vivere a Shanghai è come “viaggiare in prima classe sul Titanic”. Quando, finito il lockdown, ha visto i suoi amici stranieri lasciare la Cina con molta facilità, li ha invidiati e ha capito che non sarebbe male poter contare su un’altra cittadinanza: “Avere un’altra opzione dà un certo senso di sicurezza”.
Il 22 marzo l’immagine del post con cui, esattamente un anno prima, il governo della città smentiva un possibile lockdown, liquidandolo come voce infondata, ha ricominciato a circolare su WeChat, l’app che unisce social network, servizio di messaggistica e pagamenti online. Diceva: “La cittadinanza non deve credere a notizie false o diffonderle, non c’è motivo di farsi prendere dal panico o di fare incetta di prodotti alimentari”. Il lockdown è cominciato il 28 marzo 2022, appena sei giorni dopo quel post che, successivamente, è stato rimosso.
Un ragazzo che ha lavorato come volontario durante quei mesi conosce bene i malumori dei suoi concittadini, ma se ci ripensa non è assalito né dalla tristezza né dal panico. Ricorda solo che era fisicamente molto stanco. Alla domanda se “non stesse aiutando una tigre”, tace per alcuni secondi, e poi sorride senza rispondere. Pensa che senza i volontari il lockdown sarebbe durato di più. Se tornasse indietro, rifarebbe la stessa scelta.
Alla fine di marzo a Shanghai pioveva molto. Nell’anniversario della chiusura della città qualcuno ha condiviso su WeChat un articolo dei tempi del lockdown. Ancora una volta è stato censurato e ora il link porta a una pagina con scritto errore 404, articolo non trovato. Qualcuno ha provato anche a inaugurare una piccola mostra d’arte per ripercorrere i tre anni di pandemia.
Un’anziana ha pianto di fronte a uno dei quadri. Ha perso una persona cara durante la pandemia e, andando alla mostra, l’idea che ci fosse ancora qualcuno che ricorda quel periodo l’ha fatta sentire meglio. Ma esprimere il proprio dolore è vietato. Dopo pochi giorni, la “grande volontà” che opera nell’ombra ha annunciato la “chiusura” anche di questa piccola mostra d’arte. ◆ cag
◆ Il 28 febbraio 2022 a Shanghai, cuore economico della Cina e polo del commercio mondiale, è comparsa la variante omicron del covid-19. Per contenere l’epidemia, a metà marzo le autorità locali hanno messo in isolamento la città, alzando barriere tra i quartieri e imponendo test a tappeto. Il lockdown, che doveva durare nove giorni, è finito il 1 giugno. Il provvedimento ha avuto conseguenze economiche e sociali molto pesanti nella metropoli di 25 milioni di abitanti. Per due mesi i suoi abitanti sono rimasti confinati in casa, in alcuni casi senza la possibilità di reperire viveri e medicine. Chi risultava positivo al virus era portato nei centri d’isolamento. South China Morning Post
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Questo articolo è uscito sul numero 1508 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati