Colombia, dipartimento di Chocó, sulla costa del Pacifico, una delle regioni più colpite dall’incuria dello stato e dalla barbarie di guerriglieri e paramilitari. Un’imbarcazione risale le acque dell’imponente fiume Atrato con a bordo, tra gli altri passeggeri, una madre bianca senza nome e un bambino nero, suo figlio, anche se non l’ha portato in grembo. La giungla, un caldo opprimente e l’odore aspro del pericolo, della violenza sempre in agguato come un serpente, anche se sembra dormire. L’approccio narrativo ricorda Cuore di tenebra, il viaggio fluviale di Marlow lungo il fiume Congo alla ricerca di un famigerato trafficante d’avorio. Ma se nel racconto di Joseph Conrad il viaggio finisce all’inferno e nella follia (“l’orrore, l’orrore”, sussurra Kurtz nella sua agonia), l’esordiente Lorena Salazar Masso propone un viaggio verso la luce, verso il sole che nutre la vita. Nel corso del viaggio emergono i veri protagonisti della storia: il fiume, che benedice e annega, il profondo senso di appartenenza a un paesaggio, la resistenza di un popolo, le relazioni che si instaurano tra le donne (“le trecce uniscono la proprietaria dei capelli e colei che li intreccia in un’intima complicità”) e la difficoltà di essere donna e madre.
Olga Merino, El Periódico

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Questo articolo è uscito sul numero 1516 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati