Behsad, sua moglie Nahid, la figlia Laleh e il figlio Morad riescono a fuggire da Teheran verso la Germania ovest negli anni ottanta. Behsad e sua moglie erano stati coinvolti nella resistenza militante e comunista contro lo scià. Ma la vittoria della rivoluzione iraniana del 1979 incoronò l’ayatollah Khomeini e il suo regime islamico. E le cose non erano migliorate. Con migliaia di informatori, il regime controllò la presunta ortodossia e perseguitò senza sosta la resistenza laica e marxista. Anche l’assenza di una barba o un velo scivolato di dosso potevano diventare uno stigma. Centinaia di oppositori dello scià e in seguito di Khomeini trascorsero la loro vita in carceri gestite in modo brutale. Nel suo romanzo, Shida Bazyar lascia che padre, madre, figlia e figlio raccontino le loro storie, le loro esperienze e i loro sentimenti, ognuno per un decennio, dal 1979 a oggi. Contro un silenzio fatto per metà di oblio e per metà d’ignoranza, Shida Bazyar scrive la storia della generazione dei suoi genitori. E nel farlo, ricorda anche le difficoltà dell’integrazione in altri paesi. Perché la resistenza rimane per i genitori una patria che tocca la loro identità. Shida Bazyar è riuscita a scrivere un romanzo d’esordio emozionante: senza inutili sentimentalismi, con grande empatia e padronanza linguistica, racconta storie di vita esemplari che possono essere lette anche come un romanzo sulle attuali sfide dell’integrazione.
Stephan Lohr, Der Spiegel
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Questo articolo è uscito sul numero 1529 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati