La moderazione è una qualità rara per un politico. Soprattutto in Venezuela, un paese dove i leader cavalcano regolarmente il populismo in modo aggressivo. Hugo Chávez, la cui ombra continua ad aleggiare nonostante sia morto da più di dieci anni, parlava per ore durante il suo programma televisivo Aló presidente (Buongiorno presidente), mentre il suo successore Nicolás Maduro è capace di fare arringhe che superano i sessanta minuti quando è dell’umore giusto. Di conseguenza è significativo che lo sfidante di Maduro alle elezioni presidenziali del 28 luglio sia un uomo di poche parole.
Edmundo González Urrutia, candidato di una grande coalizione di opposizione chiamata Piattaforma democratica unitaria, di solito risponde alle domande con un’unica frase, fermandosi spesso prima che l’intervistatore abbia il tempo di preparare il quesito successivo. È un atteggiamento insolito per un aspirante presidente che vorrebbe suscitare l’entusiasmo degli elettori e sconfiggere un leader autoritario come Maduro, che negli ultimi dieci anni è rimasto avvinghiato al potere vincendo elezioni contestate ed è accusato di violazione dei diritti umani. Ma González non è un politico come gli altri.
Dopo gli anni passati nel settore della diplomazia (è stato ambasciatore in Algeria e Argentina) e poi come coordinatore dell’opposizione, González è stato candidato dalla coalizione solo perché era vicina la scadenza per la presentazione delle liste e le altre due leader del gruppo, Maria Corina Machado e Corina Yoris, erano state escluse dalla corsa.
“Non avevo mai pensato di trovarmi in una situazione simile”, ha dichiarato González ai mezzi d’informazione venezuelani alla fine di aprile, poco dopo l’annuncio della sua candidatura. Ma da allora la sua calma e la sua compostezza gli hanno permesso di assicurarsi un comodo vantaggio su Maduro, almeno nei sondaggi.
Sfidare il potere quasi assoluto dell’attuale presidente è una missione pericolosa. Maduro ha fatto mettere in prigione o ha costretto all’esilio decine di leader dell’opposizione, a volte per anni. Inoltre in un contesto segnato dalla violenza politica sono state uccise centinaia di persone, spesso per mano delle forze di sicurezza statali. Tuttavia la maggior parte degli analisti pensa che González rappresenti la migliore opportunità di scalzare Maduro che l’opposizione venezuelana abbia avuto dal 2013. Il nome di González è già inserito nelle liste elettorali del 28 luglio e finora il governo non ha fatto mosse per neutralizzarlo.
Segnali contrastanti
A ottobre il governo di Caracas e l’opposizione, insieme ad alcuni rappresentanti delle istituzioni statunitensi, hanno firmato un accordo alle Barbados con cui Maduro prometteva elezioni libere e regolari in cambio di un allentamento delle sanzioni da parte di Washington. Da allora i partecipanti all’accordo hanno inviato segnali contrastanti. Le sanzioni sul petrolio imposte dagli Stati Uniti sono state cancellate solo parzialmente, e ancora oggi le misure punitive colpiscono gran parte della cerchia di Maduro. Di contro, il 28 maggio Caracas ha ritirato l’invito per gli osservatori dell’Unione europea che avrebbero dovuto monitorare il voto.
González si è detto “molto calmo e fiducioso, anche se consapevole delle difficoltà” che attendono l’opposizione. Nel 2018 Maduro ha vinto le elezioni tra accuse di brogli e un boicottaggio dell’opposizione, ma González spera che stavolta la pressione degli altri paesi impedisca al presidente di alterare il voto. Tuttavia gli esperti ritengono che la comunità internazionale non interverrà in Venezuela dopo la fallita rivolta del 2019: Juan Guaidó, all’epoca leader dell’opposizione, si era autoproclamato presidente ad interim, era stato riconosciuto da più di cinquanta paesi, però alla fine Maduro aveva conservato il potere superando indenne la tempesta. González, in ogni caso, è ottimista. “I brogli e le minacce non sono una novità”, ha dichiarato, “ma crediamo che il giorno delle elezioni i voti per l’opposizione saranno così tanti da rendere la nostra vittoria incontestabile”.
Come si fa a convincere un governo autoritario ad accettare una transizione democratica? González non ha mai risposto a questa domanda. Invece d’illustrare un percorso verso la democrazia, ha elencato alcuni provvedimenti che intende prendere se dovesse vincere le elezioni e ottenere il riconoscimento ufficiale: le sue priorità sarebbero la lotta all’inflazione, uno dei mali cronici del Venezuela, e il ripristino della fiducia nelle istituzioni come la magistratura.
Il destino del presidente in carica e dei suoi alleati (molti dei quali sono sotto processo alla Corte internazionale di giustizia per crimini contro l’umanità) è ancora in bilico. González non esclude la possibilità di un’amnistia per i rivali in caso di vittoria: “In tutte le fasi di passaggio e le crisi politiche si fa ricorso a una giustizia di transizione. Tutti i paesi che hanno vissuto situazioni simili hanno usato questo strumento, quindi non escludo che potremmo farlo anche noi in Venezuela”.
Anche se si voterà alla fine di luglio, la legge prevede che il vincitore assuma l’incarico nel gennaio 2025. In caso di vittoria dell’opposizione, González dovrebbe gestire con attenzione un delicato periodo intermedio di sei mesi.
Secondo George Eickhoff, diplomatico tedesco che è stato direttore della fondazione Konrad Adenauer di Caracas tra il 2008 e il 2013 ed è vicino a González: “Edmundo sa che non può esserci alcuna vendetta contro Maduro. Ha già cominciato a parlare ai rivali. È realista”.
A proposito dei rischi di brogli, González si dice fiducioso. “Sappiamo di dover affrontare un nemico”, ha dichiarato prima di correggersi per ammorbidire il lessico, “anzi, un avversario che non si fa scrupoli a usare qualsiasi vantaggio che gli conceda il sistema”.
Quando la candidatura di González è stata formalizzata, ad aprile, è diventata popolare un’immagine scattata dalla fotografa di Bloomberg Gaby Oráa. Nella foto si vede il candidato mentre dà da mangiare ad alcuni pappagalli guacamaya, tipici di Caracas. Gli abitanti della capitale hanno l’abitudine di dare da mangiare a questi uccelli che tendono ad affezionarsi come animali domestici. “Vengono tutti i giorni in due, tre o quattro. A volte arrivano in dieci. Sono i suoi amici”, racconta Mariana, la figlia di González. “Mio padre passa ore a dargli semi di girasole. Si prende cura di loro”.
Le persone che lo conoscono bene raccontano che ha la passione del calcio (è tifoso del Real Madrid), delle grigliate in famiglia e della lettura. I sostenitori lo considerano una sorta di nonno della nazione che potrebbe inaugurare una nuova epoca lasciandosi alle spalle la violenza politica dell’ultimo decennio. Questa immagine è alimentata dall’età di González (73 anni) e dalla sua situazione familiare (ha quattro nipoti). Due di loro vivono in Spagna e fanno parte dei sette milioni di venezuelani emigrati negli ultimi anni.
González spera che una vittoria dell’opposizione possa incoraggiare parte della diaspora a rientrare in patria. “È il momento che la grande famiglia venezuelana torni a riunirsi”, ha dichiarato, “ed è il momento di considerare il regime come un avversario e non più come un nemico”. Un altro messaggio moderato. ◆ as
◆ 1949 Nasce a La Victoria, in Venezuela.
◆ 1978 Diventa primo segretario dell’ambasciata venezuelana negli Stati Uniti.
◆ 1991 È nominato ambasciatore venezuelano in Algeria.
◆ 1999 Diventa ambasciatore venezuelano in Argentina e promuove l’entrata del paese nel Mercosur, il mercato comune del Sudamerica.
◆ aprile 2024 Il principale candidato dell’opposizione, Manuel Rosales, sospende la sua campagna elettorale e annuncia il sostegno a Urrutia.
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Questo articolo è uscito sul numero 1572 di Internazionale, a pagina 69. Compra questo numero | Abbonati