Vuyo Mabheka è nato nel 1999 a Libode, un piccolo paese di campagna della provincia sudafricana del Capo Orientale. Ha avuto un’infanzia difficile. Allevato dalla nonna, quando lei è morta si è spostato spesso con la madre e la sorella minore fino a stabilirsi nella township di Thokoza, alla periferia di Johannesburg. È cresciuto senza padre e dato che la madre lavorava, è stato lui a occuparsi della sorella. Da bambino gli piaceva giocare con gli amici a popihuis, con giocattoli che costruivano da sé. In lingua xhosa la parola deriva dall’afrikaans pophuis, che significa “casa delle bambole”. Mabheka l’ha anglicizzata aggiungendoci una “e” alla fine, trasformandola in popihuise. E una volta diventato adulto e artista, ha continuato a fare questo gioco.

È riuscito a conservare pochissime foto dell’infanzia, che sono diventate un elemento fondamentale del suo lavoro, caratterizzato da disegni e collage, in cui racconta i suoi primi anni di vita attraverso ricordi e immaginazione. Ritaglia queste foto d’archivio, elimina il contesto e le integra in situazioni che compone con disegni colorati a matita, volutamente naïf, come se fossero fatti da bambini, e li completa con alcuni collage per creare delle scenografie. I colori sono delicati, ma intensi e a prima vista l’insieme trasmette un’impressione di gioia. Però racconta storie non sempre allegre.

Due sono molto esplicite. In quella intitolata Vutha, che significa bruciare o incendiare e che nelle township vuol dire anche chiedere aiuto in caso di scontro violento, si vede un gruppo di uomini bianchi con lance e una pistola camminare per una strada dove brucia uno pneumatico e sullo sfondo un edificio in fiamme. Un bambino con le mani dietro la testa (potrebbe essere Mabheka con la sua maglietta arancione che si ritrova anche in altre composizioni) e quello che sembra un ragazzo con i dreadlocks guardano la scena. Sono di schiena, come lo sono molti personaggi nelle composizioni dell’artista, e non intervengono, restano spettatori della violenza o forse indifferenti, talmente sono abituati a queste situazioni.

Top zinto. È un termine gergale che indica le cose belle o uno stile di vita elegante. (© Vuyo Mabheka (per gentile concessione di Afronova Gallery, Johannesburg))

In Aftermath i passanti sono disarmati, due pneumatici bruciano vicino a un’ascia insanguinata e si scorgono incendi sullo sfondo. Qui il piccolo Mabheka è presente con i suoi jeans larghi, la maglietta celeste scolorita con disegnata una motocicletta e il cappellino blu scuro, una delle sue “uniformi” d’infanzia che torna anche in altre immagini. Il bambino si vede con gli stessi vestiti anche in scene all’aperto meno violente, per esempio su un passaggio pedonale all’incrocio di una strada nell’immagine intitolata Skorokoro, un termine locale che descrive un oggetto meccanico in cattive condizioni, qualcosa che non funziona bene. In questo caso si tratta di un’automobile danneggiata e disegnata a matita, come l’unico personaggio che, a parte il bambino, guarda verso di noi: un poliziotto bianco e barbuto. In un’altra immagine un ragazzo nero sullo sfondo spinge un cassonetto della spazzatura arancione, che si ritrova anche in altre composizioni: “È un riferimento alla relazione con mio padre e con la mia famiglia”, spiega l’artista.

Skorokoro. È un termine che indica un oggetto meccanico mal funzionante. In questa immagine si riferisce alla relazione dell’artista con il padre e la famiglia. (© Vuyo Mabheka (per gentile concessione di Afronova Gallery, Johannesburg))

Una stanza da sogno

Questa autobiografia, che combina realismo e finzione, articola la grande storia sociale del Sudafrica e il destino individuale di Mabheka fin dall’infanzia. L’atmosfera cambia, i colori diventano più intensi e i collage più importanti quando si passa a immagini in ambienti chiusi.

iGumbi lam, che significa “la mia stanza”. Per la maggior parte dei ragazzi delle township avere uno spazio nel retrobottega è un sogno: simboleggia libertà e privacy. (© Vuyo Mabheka (per gentile concessione di Afronova Gallery, Johannesburg))

In iGumbi lam siamo nella camera di Mabheka. Ha circa tre anni, indossa una camicia bianca sopra a una maglietta celeste, scarpe da ginnastica bianche e pantaloni corti neri, un’altra delle sue “uniformi”. È una scena onirica: su un muro arancione si leggono parole tracciate volontariamente in modo maldestro riferite alla famiglia, alla polizia, a una moto e alla scuola, simboleggiata dalle prime tre lettere dell’alfabeto. La scenografia è moderna, con mobili ritagliati da riviste di arredamento o da cataloghi: una poltrona, un comodino, un cestino della spazzatura di metallo intrecciato e una tipica radio degli anni sessanta. Il piccolo è in piedi su un letto coperto da un piumone bianco a pois dai colori allegri. Sul muro blu in primo piano è stato incollato un foglio bianco in cui è disegnato un cuore rosso rovesciato. Nell’immagine si respira calma e felicità, tutto il contrario di quella che è stata la realtà dell’artista. Questi interni, attraverso alcuni indizi assumono a volte una chiara connotazione politica. Così come nell’opera in cui, ancora vestito con i suoi jeans larghi e un cappello a tesa larga troppo grande, il bambino è in piedi su un pavimento di mattonelle bianche e blu e ci fissa: sul muro giallo acceso della cucina si vedono le due facce di una moneta incorniciata e un elegante bollitore rosso, mentre sul muro verde, oltre a un orologio e a un Cristo crocifisso – ma senza croce – c’è un manifesto di Winnie Mandela che alza il pugno. Il titolo scelto per questa immagine è Imbali yesizwe. “Imbali significa storia in lingua xhosa e fiore in zulù, mentre isizwe significa nazione in entrambe le lingue. In questo modo l’immagine assume una connotazione poetica, visto che Mama Winnie Mandela è chiamata la madre della nazione per il suo ruolo nella lotta di liberazione durante l’apartheid in Sudafrica”, spiega il fotografo.

Vutha. Il termine vutha significa bruciare o incendiare, ma nelle township vuol dire anche chiedere aiuto in caso di scontro violento. (© Vuyo Mabheka (per gentile concessione di Afronova Gallery, Johannesburg))

Il valore dei ricordi

Mabheka si è interessato alla fotografia al liceo grazie al progetto Soul and joy del fondo Rubis Mécénat. Il suo è un lavoro di memoria, ma anche di ricostruzione e di creazione di un mondo immaginario, in cui si genera una tensione tra la testimonianza e il sogno. Le opere sono piccole storie, di volta in volta tragiche o oniriche. Sono introspettive e analitiche e, senza drammatizzazione, parlano della situazione generale nelle township sudafricane.

Aftermath (© Vuyo Mabheka (per gentile concessione di Afronova Gallery, Johannesburg))

“Mi piace creare delle immagini capaci di adattarsi, di mettere in discussione i punti di vista dello spettatore. Mi permettono di migliorare la mia comprensione e di crescere come fotografo. Popihuise è un progetto che esplora i ricordi di un bambino cresciuto in un contesto difficile caratterizzato dall’assenza della figura paterna. Uso la fotografia e il disegno perché sanno conservare momenti ed emozioni, fotografo persone e disegno uno sfondo per produrre scene con uomini e donne della mia comunità”. ◆ adr

Da sapere
La mostra

◆ Le immagini della serie Popihuise di Vuyo Mabheka hanno ricevuto il Premio speciale della giuria al festival Images Vevey 2023/2024 e saranno esposte nella cittadina svizzera dal 7 al 29 settembre. Nel novembre 2023 sono state presentate a Parigi, in Francia, al Salone della fotografia emergente e sperimentale dalla galleria Afronova, che rappresenta l’artista.


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Questo articolo è uscito sul numero 1578 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati