Autore di diversi libri tradotti in varie lingue, Andrés Montero (nato a Santiago del Cile nel 1990) con il suo terzo romanzo, L’anno in cui parlammo con il mare, si conferma una delle voci più valide della narrativa cilena contemporanea. Il romanzo racconta la storia di Jerónimo Garcés, un giornalista vissuto sempre all’estero, che torna nella sua piccola isola natale senza nome nel sud del Cile. Qui ritrova la vecchia casa, ormai abbandonata, in cui ha trascorso l’infanzia con i suoi undici zii, la nonna e Julián, il suo gemello che invece non ha mai lasciato l’isola. I personaggi sembrano tutti uscire da una favola della tradizione orale cilena e la prosa è rilassata, leggera, concentrata soprattutto sulla descrizione dei conflitti che emergono nel corso della trama. I due protagonisti, Jerónimo e Julián, sono agli antipodi. Il primo, nonostante le sue origini rurali, è un sofisticato e colto cosmopolita. Ha vissuto all’estero e i suoi punti di riferimento sono europei: Walter Banjamin e Italo Calvino. Il suo gemello invece, dopo aver perso la moglie con cui è stato sposato per più di quarant’anni, vive isolato in cima a una collina. Dopo cinquant’anni di lontananza il riavvicinamento è pieno di tensione. Non poteva essere altrimenti. Nonostante gli echi di García Márquez, Montero riesce a costruire una narrazione originale in cui favola e leggenda contribuiscono a descrivere un mondo lontano dalla modernità.
Joaquín Castillo Vial, El País

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Questo articolo è uscito sul numero 1580 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati