In questa sua terza raccolta di racconti la scrittrice argentina Alejandra Kamiya mostra più che mai le sue origini giapponesi insieme a una forte influenza di autrici sudamericane come Clarice Lispector e Sara Gallardo. E non solo per la sua scrittura ricca d’immagini sensoriali, ma anche per la presenza costante degli animali. La scimmia racconta la storia di una donna che vive con un gorilla, nella Domanda di Rawson due cani riflettono sulla morte ed è impossibile non pensare a Cervantes e al suo Coloquio de los perros (1613). Alcuni racconti sembrano scaturire da un’immagine poetica, come L’airone: Leiva costruisce una casa su una palude così che la donna che ama possa vederla piena di uccelli. Altre storie, come Il bagno, possono essere considerate parte della tradizione argentina del racconto fantastico. Ridurre però questi racconti a un genere preciso non gli renderebbe giustizia. L’unica certezza è lo stile: una voce personale, riflessiva, sia in prima sia in terza persona, un tono poetico che sembra dare struttura al tutto. Clarice Lispector dice che scrivere è difficile “come il modo pulito e naturale con cui è fatto un fiore”. E qualcosa di simile succede nelle storie di Alejandra Kamiya. Sembrano nascere così come sono, senza artifici e in modo organico. Come l’acqua a cui allude il titolo della raccolta, lo sguardo dell’autrice circonda, attraversa e alla fine sgretola la durezza della vita.
Carolina Esses, La Nación

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Questo articolo è uscito sul numero 1589 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati