Nel 2020 il presidente della Ōkawara Kakōki, una piccola azienda di macchinari a Yokohama, è stato arrestato insieme a due suoi dirigenti. Secondo le accuse, l’azienda stava inviando in Cina equipaggiamenti che sarebbero stati trasformati in armi biologiche. I tre sono rimasti in carcere per undici mesi. I giudici hanno respinto la loro richiesta di rilascio su cauzione per cinque volte. Gli inquirenti insinuavano che se avessero ammesso il reato sarebbero stati rimessi in libertà, ma loro hanno rifiutato.

Quando finalmente è stato accordato il rilascio su cauzione, uno di loro era morto di cancro allo stomaco senza avere avuto accesso alle cure. Alla fine tutti e tre sono risultati innocenti.

La vicenda illustra un problema più ampio. Il sistema penale giapponese prevede la possibilità di lunghe detenzioni per i sospettati e si basa in modo spropositato sulle confessioni. Ultimamente questo “sistema che prende le persone in ostaggio” è stato oggetto di critiche crescenti. Dopo che i pubblici ministeri hanno ritirato le accuse contro i dipendenti della Ōkawara Kakōki, uno dei funzionari ha ammesso pubblicamente che gli investigatori avevano “costruito” il caso per “avidità personale”, con l’obiettivo di far carriera garantendo un alto numero di condanne. Una simile ammissione “non si era mai sentita prima”, afferma Tsuyoshi Takada, l’avvocato incaricato del caso.

Lo scorso giugno Tsuguhiko Kadokawa, ex presidente di un colosso editoriale arrestato e detenuto per 226 giorni con l’accusa di corruzione, ha fatto causa contro il sistema giudiziario, accusandolo di essere “incostituzionale”. Si tratta del primo processo di questo tipo in Giappone (in una recente autobiografia, Kadokawa ha scritto che un medico del centro di detenzione gli ha aveva detto che non sarebbe “uscito vivo da qui”). A settembre è stato scagionato Iwao Hakamada, che ha trascorso 46 anni nel braccio della morte per omicidio. Il giudice ha detto che le prove usate per arrestarlo potrebbero essere state falsificate. Questi casi sollevano interrogativi sull’altissimo tasso di condanne – 99,8 per cento – che si registra nel paese.

Pochi detenuti

Per certi aspetti, il Giappone è un paese piuttosto clemente. Ha un basso tasso di criminalità e il numero di cittadini detenuti è di gran lunga inferiore rispetto ad altri paesi ricchi: 33 persone ogni centomila contro le 541 negli Stati Uniti e le 140 nel Regno Unito. Gli autori di reati minori che ammettono la loro colpa e si scusano sono spesso rilasciati con un severo ammonimento. Ma quando i pubblici ministeri decidono di perseguire qualcuno, hanno poteri straordinari. A differenza di quanto accade in altri paesi ricchi, qui i giudici fanno molto più affidamento sulle confessioni che sulle prove: nove condanne su dieci in Giappone si basano ancora sull’ammissione di colpevolezza del sospettato.

Nuovo processo

◆ L’assoluzione di Iwao Hakamada nel settembre del 2024, dopo 48 anni nel braccio della morte, ha intensificato le richieste di riforma del sistema processuale giapponese, scrive il Japan Times. Le disposizioni sul nuovo processo sono rimaste invariate dall’entrata in vigore del codice di procedura penale nel 1948, spiega l’Asahi Shimbun. Il caso di Hakamada, condannato a morte per omicidio plurimo e assolto in un nuovo processo 44 anni dopo la sentenza definitiva, ha messo in luce i problemi del sistema, tra cui la gestione delle prove da parte dei pubblici ministeri – la cui divulgazione è cruciale per ottenere l’assoluzione – e i tempi delle procedure per ricorrere in appello. Il gruppo di esperti che consiglia il ministro della giustizia sulla materia potrebbe cominciare a discutere le riforme già a primavera.


In assenza d’incriminazione, i pubblici ministeri possono trattenere in carcere i sospettati fino a 23 giorni. Già si tratta di un periodo molto più lungo rispetto ad altri paesi democratici. E spesso allo scadere dei 23 giorni i sospettati sono arrestati di nuovo con accuse diverse. Nel 2022 erano detenute prima del processo quasi 90mila persone (ovvero il 96 per cento dei sospettati). Le condizioni sono dure. Le celle sono pulite ma minuscole: di solito misurano circa cinque metri quadrati e non hanno luce naturale. I detenuti sono chiamati per numero, possono fare esercizio fisico solo per circa trenta minuti alla settimana e sono costantemente sorvegliati dalle guardie. “Non hanno nemmeno dimostrato la mia colpevolezza”, dice Junji Shimada, uno dei dipendenti della Ōkawara Kakōki arrestati. “Allora perché sono stato trattato come un criminale?”.

I detenuti sono sottoposti a lunghi interrogatori, che in Giappone durano in media 22 ore totali rispetto alle due ore negli Stati Uniti e ai 30 minuti nel Regno Unito. A differenza della maggior parte degli altri paesi, gli avvocati non possono assistere agli interrogatori e il diritto costituzionale di rimanere in silenzio è spesso violato. Quando l’avvocato Yamato Eguchi è stato interrogato dopo il suo arresto nel 2018, ha esercitato il suo diritto di rimanere in silenzio. L’interrogatorio però è proseguito per 56 ore in 21 giorni. Gli investigatori lo chiamavano “bambino”. Questo significa esercitare delle pressioni per ottenere una confessione, anche se falsa, fornita pur di essere liberati. Nel 2020 il tasso di libertà su cauzione prima del processo è stato del 26 per cento per chi ha confessato rispetto al 12 per cento per chi ha continuato a dichiararsi innocente.

All’inizio di quest’anno un esponente del governo interpellato sul caso Ōkawara Kakōki ha risposto che i procuratori gestiscono la detenzione dei sospettati con modalità che “tengono conto adeguatamente dei diritti umani”. Dichiarazione simili non lasciano ai riformatori molte speranze di poter cambiare il sistema.

Ci sono stati comunque dei miglioramenti. Dalla metà degli anni dieci del duemila alcune indagini sono state registrate. All’inizio di quest’anno centinaia di parlamentari hanno formato un gruppo per rivedere le regole relative ai processi di appello chiesti da coloro che ritengono di essere stati condannati ingiustamente. Secondo la legge attuale, i pubblici ministeri possono bloccarli con facilità. Per questo ci è voluto tanto tempo prima di liberare Hakamada dal braccio della morte. I recenti scandali stanno spingendo molti a riconsiderare il modo in cui i casi penali sono trattati nel paese. “Spero di poter vedere dei progressi”, afferma Shimada. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1596 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati