Nello stabilimento della Tesla a Grünheide, nel Brandeburgo, non lontano da Berlino, i dipendenti sono divisi: alcuni sono entusiasti per la presenza della casa automobilistica di Elon Musk, che dà lavoro a dodicimila persone; altri l’accusano di inquinare e di offrire cattive condizioni di lavoro. Certo, i loro rappresentanti nel consiglio di sorveglianza potrebbero influire sul comportamento della Tesla. Nelle aziende con almeno duemila dipendenti, infatti, la legge prevede un organo di controllo paritario, composto per metà dai lavoratori. Il problema è che a Grünheide non c’è.

Il caso della Tesla non è un’eccezione. Lo dimostra un’indagine dell’Institut für Mitbestimmung und Unternehmensführung (Imu, istituto per la cogestione e la conduzione d’impresa), un’organizzazione vicina ai sindacati. Dalla casa farmaceutica Biontech al negozio online Zalando, passando per il supermercato Aldi o il produttore di carne Tönnies, nel 2022 la cogestione è stata evitata da più di quattrocento delle 1.100 grandi aziende che dovrebbero garantirla. In molti casi i loro dirigenti sfruttano alcune scappatoie legali, per esempio scegliendo particolari forme giuridiche o creando delle fondazioni, sostiene Sebastian Sick, l’autore dello studio dell’Imu. La Tönnies ha adottato uno statuto giuridico che non prevede un consiglio di sorveglianza, ma assicura che non ci sono svantaggi per i lavoratori: “Da molti anni collaboriamo all’insegna della fiducia e della parità con più di 170 componenti del consiglio di fabbrica, che si preoccupano del benessere di colleghe e colleghi”.

L’università di Jena, che ha partecipato alla ricerca, ha esaminato bilanci aziendali, banche dati e registri commerciali arrivando a una interessante conclusione: nel 2022 circa 2,5 milioni di lavoratori non hanno potuto contare su un consiglio di sorveglianza cogestito. Lo studio sottolinea che 172 imprese hanno semplicemente ignorato la legge.

La cogestione fu proposta dopo la seconda guerra mondiale dagli stessi datori di lavoro. All’epoca il Regno Unito, che controllava una delle zone di occupazione in cui era divisa la Germania, voleva schiacciare le attività che avevano reso possibile la guerra di Adolf Hitler. Gli industriali del carbone e dell’acciaio fecero concessioni ai dipendenti per portarli dalla loro parte come alleati contro le politiche degli occupanti. Ma in breve tempo l’atmosfera cambiò. Quando, nel 1976, il cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt rese obbligatoria la cogestione nelle aziende con almeno duemila dipendenti, i datori di lavoro cercarono di bloccare la legge ricorrendo alla Corte costituzionale. Persero.

Effetto collaterale

Oggi molte imprese considerano la partecipazione dei dipendenti un freno alla loro libertà. “Sfruttano le lacune delle norme tedesche o le opportunità di aggirare il diritto dell’Unione europea”, spiega Sick. “Gli studi legali e i consulenti fanno buoni affari suggerendo alle aziende come evitare la cogestione”. La tendenza a mettere da parte il controllo dei dipendenti è in crescita: oggi solo il 60 per cento circa delle grandi aziende ha un consiglio di sorveglianza cogestito. Nel 2019 era il 68 per cento.

Un meccanismo molto usato per evitare la cogestione è trasformare l’azienda in una società europea, un tipo di società per azioni che permette di svolgere la propria attività in diversi paesi europei applicando un’unica normativa. Il gruppo immobiliare Vonovia, per esempio, è nato dalla Deutsche Annington, un’azienda che era stata trasformata in una società europea. Per questo non ha un consiglio di sorveglianza in cui siedono anche i lavoratori.

Anche il negozio online Zalando è registrato come società europea e ha un consiglio di sorveglianza in cui i dipendenti occupano solo tre dei nove seggi disponibili. L’azienda precisa di essere comunque una realtà molto inclusiva con diversi organi che rappresentano i dipendenti per “dare spazio alla diversità e includere i punti di vista e le esigenze di tutti”. Secondo Sick, però, questi organi volontari non garantiscono i diritti dei lavoratori. La Süddeutsche Zeitung ha contattato molte aziende citate nello studio, e la maggior parte ha preferito non commentare.

Per arginare la piena cogestione nel consiglio di sorveglianza, le aziende possono anche combinare forme giuridiche tedesche e straniere, come ha fatto la Tönnies. “Le leggi tedesche sulla cogestione risalgono a un’epoca in cui nessuno immaginava l’attuale libertà di circolazione dei capitali in Europa”, spiega Sick. Secondo la ricerca, tuttavia, molte imprese semplicemente ignorano la cogestione sconfinando nell’illegalità.

“Attualmente non ci sono sanzioni serie da temere”, osserva Sick. I lavoratori possono intraprendere un’azione legale per obbligare l’azienda alla cogestione. Ma quando lo fanno, a volte le aziende cambiano statuto giuridico. Insomma, non vogliono che i lavoratori abbiano troppa voce in capitolo. Eppure, secondo uno studio dell’università di Duisburg-Essen, le aziende in cogestione realizzano profitti superiori in media dell’11 per cento rispetto a quelle che non ce l’hanno. Un’altra ricerca dimostra che queste aziende fanno anche di più per ridurre le emissioni dannose per l’ambiente e offrono migliori condizioni di lavoro.

Il governo tedesco ha scritto nel contratto di coalizione di voler rendere più severe le regole. “Vogliamo impedire l’elusione delle norme sulla cogestione”, si legge. In futuro anche le società europee che superano la soglia dei duemila dipendenti non potranno più evitare un consiglio di sorveglianza diviso a metà con i rappresentanti dei lavoratori. Inoltre chi è impiegato nelle società controllate sarà conteggiato all’interno di un gruppo. A causa delle lacune legislative, l’azienda informatica Wirecard ha potuto fallire con numeri contraffatti senza alcun controllo dei dipendenti nel consiglio di sorveglianza.

Sick, l’esperto di diritto aziendale dell’Imu, chiede al governo di mantenere le sue promesse: “Altrimenti la partecipazione dei lavoratori potrebbe diventare sempre più marginale”. Secondo il suo studio, la maggior parte delle aziende che operano nei settori del commercio, della sanità, del lavoro interinale o dell’amministrazione degli edifici non rispetta le regole sulla cogestione nel consiglio di sorveglianza. ◆ nv

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Questo articolo è uscito sul numero 1569 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati