In Romania la stagione del taglio degli alberi dura sette mesi, da metà settembre fino ad aprile, una frenesia di motoseghe che abbattono milioni di abeti, pini, querce, aceri e faggi. Una parte è raccolta in modo legale, un’altra no, e tra l’industria del legname e i suoi avversari gli episodi di violenza sono frequenti. Recentemente due documentaristi di Bucarest che lavoravano a un progetto sul commercio illecito di legname hanno deciso di visitare un enorme appezzamento disboscato nella regione settentrionale di Suceava, dove si trovano alcune delle più grandi segherie del paese e dove l’Ikea possiede migliaia di ettari.
I due – il regista Mihai Dragolea e l’operatore Radu Mocanu – stavano accompagnando Tiberiu Bosutar, un ambientalista locale. Bosutar è un ex taglialegna e conosce bene l’estrazione illegale del legname. Negli ultimi anni è diventato una specie di vigilante della foresta: avvicina gli uomini impegnati in attività sospette, oppure segue i camion carichi di legna di contrabbando, e trasmette tutto in diretta su Facebook. Ma i documentaristi non avevano intenzione di sfidare la sorte. Hanno preso l’auto di Bosutar, conosciuta nella zona, e si sono fermati a prendere un caffè in una stazione di servizio, in modo da farsi notare e dimostrare di non avere cattive intenzioni. Poi hanno imboccato la strada principale, hanno svoltato in una strada sterrata e hanno cominciato a salire.
Non ci hanno messo molto a trovare ciò che cercavano: un tappeto di ceppi. “La foresta era completamente distrutta”, mi ha raccontato Dragolea. “Il danno era enorme”. Non era una sorpresa, e normalmente Bosutar avrebbe trasmesso tutto su Facebook. Quel giorno invece ha deciso di chiamare la guardia forestale. Era l’occasione per provare ad adottare una strategia meno conflittuale e dimostrare che gli attivisti, le forze dell’ordine e i taglialegna possono dialogare.
Poco dopo hanno visto arrivare due suv. Ma invece degli agenti, sono scesi quindici uomini armati di bastoni e asce. Dragolea e Mocanu si sono precipitati verso l’auto, ma non hanno fatto in tempo. Gli assalitori hanno spezzato la chiave, hanno tagliato le gomme e hanno fracassato le telecamere. Hanno picchiato Mocanu fino a fargli perdere conoscenza e hanno colpito alla testa Dragolea, che però è riuscito a gettarsi da un costone e a nascondersi tra le radici di un albero, da dove ha chiamato la polizia. “Sapevo che nella foresta erano già state uccise delle persone”, ricorda. “Se nessuno avesse chiamato la polizia saremmo morti di sicuro”. Intanto gli assalitori stavano cercando di spingere l’auto giù dalla montagna con Bosutar all’interno. Quando ha accettato di uscire, lo hanno pestato e spogliato e hanno pubblicato su internet foto di lui nudo e sanguinante. Ma la polizia è arrivata in tempo.
L’episodio è stato raccontato dalla stampa internazionale, ma non ci sono state grandi conseguenze. La polizia ha dichiarato che avrebbe indagato “con la massima attenzione”. Solo quattro dei quindici assalitori sono stati incriminati, però, e non con l’accusa di tentato omicidio ma di semplice rissa. Tutti e quattro sono rimasti a piede libero in attesa del processo. Preoccupato per la sua incolumità, Bosutar si è trasferito a Bucarest. “Non è la prima volta che rischio la vita. Sono già stato aggredito tre o quattro volte”, mi ha raccontato fuori dall’albergo dove si nascondeva. “Non so più che fare”.
L’Amazzonia d’Europa
Per una serie di circostanze geografiche e storiche, la Romania ospita una delle più grandi e importanti foreste primigenie rimaste al mondo. La catena montuosa dei Carpazi, che taglia diagonalmente il paese come una cintura di sicurezza, ospita almeno la metà delle foreste secolari d’Europa che non siano in Scandinavia. Quest’area è stata definita l’Amazzonia d’Europa, un paragone tristemente azzeccato considerando che sta scomparendo con la stessa velocità.
La maggior parte del continente è stata deforestata rapidamente durante l’era industriale. Nell’Unione europea meno del 4 per cento delle zone boschive è rimasto intatto. La Romania, abbastanza lontana dai centri industriali e a lungo isolata in quanto parte del blocco sovietico, è stata un’eccezione. Durante il periodo comunista il governo aveva nazionalizzato le foreste, escludendole dal mercato globale. Così la Romania ha conservato alcune delle poche foreste di abeti, faggi e querce che possono essere definite primarie, cioè mai disboscate, alterate dall’attività umana o ripiantate artificialmente.
Nel 1989 la caduta del comunismo ha rimosso uno strato di protezione, e l’ondata di privatizzazioni che ne è seguita ha spalancato le porte alla corruzione. Nel 2007 l’ingresso della Romania nell’Unione europea ha creato un enorme mercato libero per il legname romeno, abbondante ed economico, e per la manodopera a basso costo necessaria a estrarlo. Queste condizioni hanno attirato le aziende austriache del legname e i mobilifici svedesi. Gli instabili governi che si sono susseguiti hanno introdotto altre riforme favorevoli al mercato senza fare nulla per combattere la corruzione. Se si aggiunge la crescita astronomica del settore dei mobili a basso costo, che dipende in modo particolare dagli abeti e dai faggi che popolano queste foreste, il risultato è stato un delirio di deforestazione.
Tra chi ha tratto vantaggio da tutto questo c’è un nome molto noto: Ikea. L’azienda svedese è il maggior consumatore di legno al mondo, e il suo appetito cresce di due milioni di alberi all’anno. Secondo alcune stime l’Ikea riceve il 10 per cento del legno dalla Romania ed è da tempo in rapporti con le segherie e i produttori locali. Nel 2015 ha cominciato ad acquistare zone boschive in grandi quantità, e nel giro di pochi mesi è diventata il principale proprietario terriero del paese.
La voracità del mercato globale del legname ha superato di molto i limiti legali fissati da Bucarest, già molto permissivi. Secondo un rapporto del 2018 (inizialmente censurato dal governo romeno) nei quattro anni precedenti 38,6 milioni di metri cubi di legame erano usciti ogni anno dalle foreste della Romania. Il governo aveva concesso licenze per 18,5 milioni di metri cubi. In altre parole, anche senza tenere conto delle possibili violazioni legate ai metodi di estrazione, più di metà del legname proveniente dalla Romania è illegale. Anche l’attività lecita, che deve essere preceduta da un piano di gestione forestale approvato dal governo (sia sui terreni privati sia su quelli pubblici), è segnata da corruzione e abusi. Da quando è entrata nell’Unione europea, la Romania ha perso tra metà e due terzi delle sue foreste primigenie.
Come succede spesso nei settori dominati dall’illegalità, la violenza è sempre dietro l’angolo. Più o meno nel periodo in cui l’Ikea ha acquistato i terreni sono cominciati gli attacchi. Nel 2015 l’ambientalista romeno Gabriel Paun è stato picchiato da un gruppo di taglialegna. Paun ha lasciato il paese e da anni vive nascosto. Doina Pana, ex ministra delle foreste e delle acque, ha rivelato di essere stata avvelenata nel 2017 dopo aver tentato di contrastare l’estrazione illegale. Alla fine del 2019 due guardie forestali, Raducu Gorcioaia e Liviu Pop, sono state assassinate nel giro di poche settimane.
“Per anni ci siamo concentrati sull’Amazzonia, l’Indonesia, il bacino del Congo e la Russia, tutti posti molto più famosi della Romania quando si parla di disastri forestali”, sottolinea David Gehl dell’Environmental investigation agency, un’organizzazione che indaga sui reati ambientali. Ma quando l’agenzia ha cominciato a esaminare la situazione in Romania, i suoi colleghi sono rimasti “sconvolti” da quello che succede in un paese dell’Unione europea dove operano aziende internazionali come l’Ikea.
In mancanza di risorse adeguate – il corpo forestale romeno conta poco più di seicento agenti, che non lavorano né la notte né nel fine settimana – il compito di proteggere le foreste ricade su attivisti e volontari, una responsabilità che si è dimostrata molto pericolosa. Negli ultimi anni sono state uccise almeno sei persone, e sono stati denunciati altri 650 attacchi legati all’estrazione illegale del legname. Per i due omicidi del 2019 non c’è stato nessun processo, e gli aggressori di Paun, che erano stati ripresi dalla sua videocamera, sono ancora a piede libero.
“Mi sentivo più al sicuro a Mosul nel 2016”, ammette Mircea Barbu, ex giornalista che oggi lavora come investigatore per la ong ambientalista romena Agent green. “In Iraq se ti prendono è solo questione di sfortuna, e se te ne vai nessuno ti segue fino a casa”.
Sotto copertura
Così, quando a settembre del 2021 ho incontrato Andrei per indagare sul disboscamento delle foreste primarie, sapevamo che avremmo dovuto prendere delle precauzioni. Andrei (uso uno pseudonimo) era alla fine di un viaggio di diciassette giorni attraverso tutto il paese. Per compilare un rapporto destinato alla Commissione europea, aveva documentato il disboscamento avvenuto nei dodici mesi precedenti nelle zone del programma Natura 2000, esaminando le aree in cui i satelliti avevano rilevato una progressiva e cospicua perdita di copertura forestale. Andrei ha accettato che lo accompagnassi negli ultimi tre giorni del suo viaggio. Con il fisico di un giocatore di rugby e la barba leggermente ingrigita, sembra uno che se la caverebbe bene in una rissa, un’impressione compensata dal suo carattere gioviale.
Il programma Natura 2000 dell’Unione europea protegge una rete di aree che costituiscono un habitat importante per animali come orsi, linci e uccelli. Il progetto comprende terreni pubblici e privati. I siti Natura 2000 ricoprono un ruolo fondamentale nella strategia sulla biodiversità per il 2030 e sono altrettanto cruciali per gli obiettivi europei sul clima. Le foreste primarie assorbono il 70 per cento in più di anidride carbonica rispetto alle aree riforestate, e sono il metodo di cattura delle emissioni più efficace al mondo. Quando un faggio raggiunge i 150 anni d’età ha già assorbito nove tonnellate di anidride carbonica, l’equivalente di 56mila chilometri percorsi in macchina. L’assorbimento aumenta con l’età della pianta.
Per ovvie ragioni Andrei lavora sotto copertura. Se qualcuno gli chiede qualcosa, dice di essere un turista. Lavora nei fine settimana, quando l’attività di estrazione è minore, per evitare di essere riconosciuto o fare incontri spiacevoli. Per le riprese usa un drone che vola a trecento metri di altitudine e non si vede dal terreno, e guida un’auto a noleggio, in modo che sia più difficile risalire a lui dalla targa.
Io e Andrei abbiamo messo a punto il nostro piano in una piazzola a margine della strada: avremmo raggiunto i monti Fagaraș e cercato di localizzare un paio di aree che in base alle immagini di Google Earth e a quelle più aggiornate di un server chiamato Sentinel Playground sembravano disboscate da poco. Io avrei seguito Andrei a bordo della mia auto a noleggio finché le condizioni lo avrebbero permesso, poi sarei salito a bordo del suo fuoristrada. Da lì avremmo percorso le strade usate dai taglialegna e poi un ultimo tratto a piedi, nella speranza di raccogliere video e immagini inconfutabili sulle condizioni della foresta.
L’estrazione illegale del legname può prendere varie forme. La più comune è superare le quote consentite, ma qualsiasi metodo che danneggi i corsi d’acqua, causi erosione o comprometta l’ambiente può costituire un reato. Pochi minuti dopo aver lasciato la mia auto davanti a un proibitivo tratto di buche, io e Andrei abbiamo fatto il nostro primo incontro. La strada era sbarrata da due camion, di cui uno carico di tronchi appena tagliati, probabilmente pronto per raggiungere uno dei depositi. Grossi tronchi erano impilati anche sul ciglio della strada, in attesa del trasporto. “Ci sono ancora dei rami attaccati”, ha commentato Andrei. “È illegale abbatterli così, perché trascinandoli si danneggia il suolo”. Mentre aspettavamo, Andrei ha scattato diverse foto cercando di non farsi notare. “Voglio fotografare le targhe, così poi possiamo controllarle”, mi ha spiegato.
Una volta sgomberata la strada abbiamo proseguito fino al termine della strada carrozzabile, poi abbiamo continuato a piedi lungo una ripida salita. Dalla strada l’area appariva coperta da una densa vegetazione e sostanzialmente intatta. Era evidente che si trattava di una foresta secolare: abeti, faggi e aceri di varie dimensioni ed età erano disposti in modo irregolare, i tronchi erano coperti di muschio, licheni e funghi, il suolo era composto da materia organica in decomposizione. I cespugli spogliati dalle bacche suggerivano la presenza di orsi. Alcuni alberi erano alti più di trenta metri, e diversi colossi potevano avere più di trecento anni. La varietà di specie ed età dimostrava che la zona non era mai stata disboscata o riforestata.
Abbiamo continuato a salire finché abbiamo trovato una radura da cui far decollare il drone. Una volta in aria, la videocamera ci ha rivelato una realtà sconfortante. L’area che stavamo attraversando era circondata da aree completamente spoglie, segno di recenti tagli a raso, che si ripetevano su tutto il fianco della montagna. Altrove c’erano segni simili a ferite, dove gli alberi erano stati trascinati con dei cavi. In diversi punti restava solo il terreno nudo. I tagli erano così recenti che neanche l’erba aveva avuto il tempo di ricrescere. La presenza di strade appena tracciate indicava che presto altre aree sarebbero state disboscate. Nelle zone rimaste intatte, il vento aveva cominciato a sradicare gli alberi rimasti esposti.
“Questa è una delle peggiori”, ha detto Andrei quando gli ho chiesto di fare un paragone con le altre aree che aveva visitato. “È raro vedere così tante aree disboscate”. Tra i danni del vento, quelli dell’erosione e quelli degli insetti xilofagi, secondo lui presto non sarebbe rimasto quasi niente. Ci siamo spostati in un’altra zona e abbiamo ripreso il lavoro. Quando le batterie del drone si sono scaricate abbiamo cominciato a tornare verso l’auto.
Per dimostrare che rispettano la legge, i camionisti devono inserire le foto dei loro carichi su una piattaforma online chiamata Sumal, che raccoglie le licenze di taglio. Ma ci sono delle scappatoie. A volte gli autisti non inviano le foto finché non vengono fermati, e poi sostengono che non c’era segnale per farlo. Altre volte versano acqua sull’obiettivo o fotografano solo metà del carico. Il trasporto illecito alla luce del sole è poco comune, ma io e Andrei abbiamo comunque controllato le targhe che avevamo fotografato. Nella maggior parte dei casi non abbiamo rilevato irregolarità, ma uno degli autisti aveva inviato una foto in cui era visibile solo metà del carico e aveva dichiarato di trasportare soltanto sette metri cubi di legno, un quarto rispetto ai camion della stessa stazza. Sfortunatamente il legname era già stato scaricato in deposito, mescolato con quello legale e probabilmente già venduto. Era troppo tardi per intervenire.
“Se vuoi rimuovere grandi quantità di legname senza troppe domande, devi farlo ora. L’anno prossimo potrebbe essere troppo tardi”
All’inizio del 2020 la Commissione europea ha annunciato l’avvio di una procedura d’infrazione contro la Romania per aver consentito l’estrazione del legname senza valutazione ambientale nei siti Natura 2000. Pochi mesi dopo Bruxelles ha alzato il tiro emanando un parere motivato, l’ultimo passo prima di portare il paese davanti alla Corte di giustizia. Il governo romeno ha promesso di varare una legge per adeguarsi agli standard europei, ma finora si è limitato a inasprire le pene per il furto di legname.
Si può pensare che la procedura di infrazione avrebbe rallentato la deforestazione, invece è successo il contrario. La minaccia di una legge in difesa delle foreste primigenie pubbliche e private ha innescato una corsa al disboscamento. Nel 2018 la commissione ha vietato ogni attività estrattiva nella foresta primigenia di Białowieża, in Polonia, un altro sito Natura 2000, dopo che erano emerse prove dell’abbattimento di alberi secolari. “Naturalmente la pressione è aumentata”, mi ha spiegato Andrei. “Se vuoi rimuovere grandi quantità di legname senza troppe domande, devi farlo ora. L’anno prossimo potrebbe essere troppo tardi”. Inoltre il disboscamento può danneggiare la foresta al punto da renderla non più qualificata per la protezione, un’ulteriore motivazione ad accelerare l’attività.
Incontri pericolosi
Una mattina siamo partiti da una pensione a Curtea de Argeș, una località che avevamo scelto perché era abbastanza grande e lontana dai boschi: lì non avremmo attirato l’attenzione. Avevamo in programma di visitare diversi siti nell’area della diga di Vidraru.
Anche stavolta abbiamo guidato finché la mia auto non ha potuto più proseguire. Quando ho parcheggiato ho subito sentito il brusio delle motoseghe in lontananza. Per rassicurarmi, Andrei mi ha ricordato che era sabato e la maggior parte dei taglialegna avrebbe smesso di lavorare all’una. Presto non avremmo più avuto nulla da temere.
Abbiamo continuato con la sua auto fino a una strada che sembrava portare verso un’area che avevamo individuato attraverso le immagini satellitari, e presto siamo stati costretti a continuare a piedi.
La zona che stavamo attraversando, mi ha spiegato Andrei, era una foresta primaria ancora più rara. Alcuni alberi potevano avere anche cinquecento anni. La strada ha cominciato ad allontanarsi dalla nostra destinazione, e presto abbiamo dovuto abbandonarla e attraversare ripidi burroni, controllando inutilmente il gps. L’obiettivo era ad appena duecento metri di distanza, ma sembrava irraggiungibile. Quando finalmente siamo arrivati a un crinale, non c’era traccia dell’area disboscata che stavamo cercando.
Una volta lanciato il drone però l’abbiamo individuata subito, poco sotto di noi. Era stato un lavoro frettoloso: sul terreno erano rimasti non solo i ceppi, ma anche alcuni tronchi. Il suolo era coperto di legno morto, non erano ricresciute nemmeno le erbacce. Andrei ha girato un breve video, poi abbiamo ripreso il cammino lungo il pendio.
Per il resto del pomeriggio abbiamo continuato a documentare altri siti, filmandoli con il drone, registrando le coordinate e camminando fino all’area successiva. Poi, quando il sole ha cominciato a calare, ci siamo diretti verso la nostra ultima tappa, nella direzione da cui proveniva il rumore delle motoseghe. Abbiamo ripreso l’auto e cominciato a salire per strade sempre più accidentate, finché abbiamo trovato qualcosa che non ci aspettavamo: un cartello che indicava un disboscamento in corso. Il permesso era scaduto da quasi due mesi. “Non mi piace per niente”, ha detto Andrei.
Ci siamo fermati per spostare un ramo che bloccava la strada, e Andrei ha indicato delle tracce profonde nel fango, segno che dei camion erano passati di recente. Poco dopo abbiamo dovuto fermarci di nuovo per togliere un altro ramo. Andrei mi ha detto di fare piano, perché era possibile che i taglialegna avessero messo quegli ostacoli per segnalare l’arrivo di eventuali intrusi.
Abbiamo continuato lungo la strada finché ci siamo trovati davanti dei grandi tronchi appena tagliati. Erano stati trascinati a valle con ancora i rami attaccati, una violazione comunque minore rispetto al fatto che il sito era protetto e il permesso abbondantemente scaduto.
Poi abbiamo visto del fumo. Veniva dal camino di una piccola roulotte, poco lontano dai tronchi che stavamo osservando. “Merda”, ha esclamato Andrei. “Scattiamo una foto e allontaniamoci lentamente”. Abbiamo fatto inversione e cominciato a scendere, cercando di mantenere al minimo il rumore del motore.
Quando eravamo abbastanza lontani, Andrei ha fermato l’auto e ha lanciato il drone. Seguendo una linea spoglia lungo il crinale ha filmato il sito, chiaramente attivo, di cui non sapeva niente (quello che stavamo cercando di raggiungere era lontano diversi chilometri). Nel frattempo io controllavo che nessuno ci stesse seguendo. “Il tuo telefono prende?”, mi ha chiesto. Ho risposto di no. “Bene, anche se dovessero vederci non potranno chiamare nessuno”. Poi ha aggiunto un commento meno rassicurante. “Qui siamo un po’ troppo esposti”.
In quel momento ho visto qualcuno che si avvicinava rapidamente a piedi. “Arrivano”, ho balbettato. L’uomo era troppo vicino perché potessimo far atterrare il drone, così Andrei mi ha passato i controlli e si è messo alla guida. Mi ha chiesto di pilotare il drone verso una zona più a valle, per allontanarci dal nostro inseguitore e avere modo di recuperare l’apparecchio. L’auto avanzava a fatica tra le buche mentre io cercavo di mantenere il drone sopra di noi.
Quando il taglialegna è scomparso, Andrei ha fermato l’auto e mi ha detto di controllare la strada mentre lui recuperava il drone. “Ci metto dieci secondi”, ha detto. Poco dopo ho visto di nuovo il taglialegna che si avvicinava. “Arriva! Arriva!”, ho esclamato. Andrei è rientrato in auto e abbiamo ripreso la marcia. Se qualcuno fosse arrivato in direzione opposta saremmo rimasti bloccati. Ho continuato a osservare la strada dietro di noi, ma non ho più visto nessuno.
Carta straccia
Tracciare il percorso di un singolo albero dalla foresta al rivenditore è quasi impossibile. Man mano che il legno si muove lungo la catena di distribuzione diventa sempre più difficile. I proprietari dei terreni mettono all’asta gli alberi, poi i tronchi vengono portati in un deposito e venduti a una segheria che li trasforma in legname, cippato o truciolato. A quel punto il materiale viene venduto a un produttore, che lo trasforma in mobili o pezzi di mobili per conto di aziende come l’Ikea, che acquista il prodotto, ci mette sopra il suo marchio, lo spedisce e lo vende al dettaglio. Ognuno di questi passaggi rende più complicato stabilire la provenienza del legno. I depositi, in particolare, mescolano spesso il legname legale e quello illegale, rendendoli indistinguibili.
Ma anche il legno formalmente regolare può nascondere problemi. Una grande quantità di legname (per esempio il carico riportato in modo sbagliato che ho visto il primo giorno insieme ad Andrei) sarebbe considerata illegale se solo ci fossero le risorse per esaminarla. Si pensa che più di metà del legname prodotto in Romania sia estratto senza autorizzazione, eppure solo l’1 per cento di esso è classificato ufficialmente come illegale.
Questo aspetto è cruciale per l’industria dei mobili, il cui giro d’affari dovrebbe passare secondo le previsioni dai 564 miliardi di dollari del 2020 a 850 miliardi nel 2025. È particolarmente importante per l’Ikea, che non è solo la più grande azienda di arredamento del mondo, ma anche il primo acquirente di legname. Negli ultimi dieci anni l’Ikea ha raddoppiato i consumi fino ad assorbire l’1 per cento della produzione mondiale, e dipende in modo particolare dalla Romania e dai paesi vicini.
Quando qualcuno dei suoi fornitori è accusato, l’Ikea può sempre prendere le distanze e sostenere che non ne sapeva niente
“La crescita dell’Ikea va a braccetto con l’industria del legname in Europa orientale e in Russia”, spiega Tara Ganesh dell’ong britannica Earthsight, che ha realizzato varie inchieste sull’azienda svedese.
Questa insaziabile fame di alberi significa che l’Ikea non potrebbe mai avere i mezzi per fare quello che nemmeno i governi riescono a fare e tracciare tutto il legname che passa per le sue mani. Quando è stato pubblicato il rapporto del 2018, secondo cui metà del legname estratto in Romania era illegale, l’Ikea ha negato ogni responsabilità.
“Tutte le grandi aziende hanno detto: ‘Non è colpa nostra, noi compriamo legname in regola. Tutti quei romeni che bruciano legna, è lì che va a finire il legname illegale’”, spiega Gehl, dell’Eia. Che il 55 per cento del legname romeno serva ad alimentare i camini di un paese che dal 1990 ha perso quattro milioni di abitanti è ovviamente del tutto inverosimile.
L’Ikea, intanto, vanta una reputazione immacolata a livello ambientale. Secondo il suo sito, oltre il 98 per cento del legname che usa è estratto in modo sostenibile, ovvero è riciclato o certificato dal Forest stewardship council (Fsc), e presto vuole raggiungere il 100 per cento. “In nessun caso consentiamo metodi irresponsabili”, mi ha confermato un portavoce. Eppure almeno il 60 per cento del legname usato dall’Ikea arriva dall’Europa orientale e dalla Russia, e il 10 per cento dalla Romania. Come si può conciliare l’impegno ambientalista di Ikea con la sua presenza in una regione segnata da tanti scandali?
Il fatto che l’azienda si affidi alla certificazione dell’Fsc come sinonimo di sostenibilità può aiutare a spiegarlo. L’Fsc è una piccola ong internazionale che ha fissato uno standard basato su dieci princìpi cardine, tra cui l’osservanza delle leggi nazionali, l’impegno a migliorare le condizioni lavorative e un piano di gestione forestale aggiornato.
Il rispetto di questi standard viene certificato da piccole società di revisione indipendenti, che sono pagate dalle aziende del legname ed eseguono ispezioni programmate. Se un revisore si rifiuta di concedere la certificazione, le aziende possono sempre contattarne un altro disposto ad apporre il suo timbro in cambio di soldi.
Corsa al ribasso
Evidentemente questo sistema favorisce una corsa al ribasso. L’Fsc è stata oggetto di pesanti critiche fin dalla sua fondazione nel 1993. Nel 2018 Greenpeace ha definito l’organizzazione “uno strumento per la deforestazione”.
Il fatto che l’Ikea sia il primo consumatore di legname nella rete Fsc e sia tra i fondatori del consiglio d’amministrazione di sicuro non aiuta. “L’Ikea è solo uno degli oltre mille componenti”, mi ha scritto un portavoce dell’Fsc. “I nostri standard globali sono discussi e concordati dai membri a livello mondiale”.
Problemi simili si ripresentano in diversi punti della catena di distribuzione. L’Ikea stipula contratti con i produttori, che devono trovare una quantità di legname sufficiente per rispettare gli ordini. A loro volta i produttori si rivolgono alle segherie, che devono trovare abbastanza legname per rifornirli. “Dopo aver preso l’impegno, devono reperire il materiale in un modo o nell’altro”, spiega Ganesh. “Spesso questo li spinge a prendere scorciatoie, ignorando la legge e danneggiando l’ambiente”.
Quando qualcuno è accusato di essersi procurato il legname in modo illecito o non sostenibile (per esempio, se una fabbrica che produce sedie pieghevoli acquista il legname proveniente da una foresta protetta in Polonia), l’Ikea può semplicemente prendere le distanza e sostenere che non ne sapeva niente, un meccanismo tipico dell’esternalizzazione che si ripete in ogni settore industriale. Questa strategia è ottima per le pubbliche relazioni, ma crolla davanti alla minima analisi. Le aziende appaltatrici, almeno in Romania, mostrano spesso il marchio giallo e blu o lavorano in esclusiva per l’Ikea. Alcune sfoggiano perfino una bandiera svedese. Nel 2020 le autorità hanno scoperto che la romena Plimob usava legname illegale per produrre le sue sedie. Sul cancello dello stabilimento figura il simbolo blu e giallo dell’Ikea, a cui la Plimob vende il 98 per cento dei suoi prodotti.
Un’indagine della Earthsight, la ong britannica, ha rivelato che del legno di faggio estratto illegalmente dalla Vgsm in Ucraina era usato dalla Plimob per produrre sedie Ikea e spedito direttamente all’azienda svedese. La Plimob e l’Ikea acquistavano il 96 per cento del faggio estratto dalla Vgsm, con spedizioni mensili regolari tra il 2018 e il 2020. Anche la Egger, un altro fornitore romeno dell’Ikea, ha importato legname illegale.
Un’altra inchiesta ha svelato che Sundvik, la linea di mobili per bambini venduta dall’azienda, era prodotta con legno di pino estratto illegalmente in Siberia. Una troupe di Al Jazeera ha seguito in Romania un camion carico di legname illegale fino a un magazzino di cui si serve la Kronospan, un fornitore dell’Ikea che produce grandi quantità di truciolato. Tutte le aziende citate — Vgsm, Plimob, Egger e Kronospan — hanno ricevuto la certificazione Fsc.
In un caso particolarmente noto, i dirigenti dell’Hs Timber (all’epoca Schweighofer), prima azienda romena per la lavorazione dell’abete (con certificazione Fsc), sono stati ripresi di nascosto mentre s’impegnavano non solo ad acquistare legname illegale, ma anche a pagarlo di più. Nel 2016 la Fsc ha sospeso provvisoriamente la certificazione dell’azienda, per poi tagliare ogni legame un anno dopo. L’Ikea ha aspettato la decisione finale del consiglio d’amministrazione prima di prendere le distanze.
Se usasse il proprio legname, sarebbe più facile controllare le sue forniture, ma l’Ikea sostiene che solo una piccola parte delle foreste che possiede in Romania è dedicata alla produzione di mobili. L’azienda svedese concede licenze a imprese che vendono legna da ardere, un’attività del tutto separata.
Ma anche queste proprietà operano sul confine tra il legale e l’illegale.
L’Ikea ha acquistato i terreni romeni da una fonte improbabile: l’università di Harvard, che li aveva rilevati durante le privatizzazioni seguite al crollo del regime comunista, quando metà delle foreste pubbliche del paese era finita in mani private. A partire dal 2004 l’università ha usato varie società sussidiarie e organizzazioni non profit per acquistare grossi appezzamenti di terreno con l’aiuto dell’imprenditore romeno Dragos Lipan. Buona parte delle proprietà è stata svenduta in base a dubbie pretese di restituzione, e presto l’università si è ritrovata impantanata in controversie legali. Nel 2015 Lipan è stato condannato per corruzione e riciclaggio, e Harvard ha deciso di liberarsi dei terreni. Attraverso il suo braccio finanziario, l’Ikea ne ha acquistato quasi 34mila ettari. Nel 2016 l’azienda ne ha aggiunto altri 12.800, portando il totale a 46.700 ettari.
Dopo averne parlato, abbiamo deciso di avvicinarci e affrontare i taglialegna, mentre Barbu avrebbe ripreso la scena
Oggi la holding che controlla la maggior parte dei punti vendita Ikea, la Ingka Investments, possiede circa 50mila ettari. Mentre le proprietà passavano di mano in mano, la macchia dell’illegalità è diventata sempre più sbiadita, e l’azienda non corre più il rischio che un tribunale le tolga i terreni.
Anche le foreste dell’Ikea sono certificate dall’Fsc, e anche in questo caso gli abusi non mancano. Poco prima che arrivassi in Romania, una troupe della Bbc aveva scoperto aree tagliate a raso (non necessariamente illegale, ma certo non positivo per l’ambiente) in una foresta dell’Ikea nella provincia settentrionale di Maramureș. E nonostante si fosse già dissociata dalla Hs Timber, l’Ikea le aveva venduto concessioni per l’estrazione nelle sue foreste.
Alla luce del sole
Volevo vedere una foresta dell’Ikea con i miei occhi, ma era difficile trovarne una che si potesse visitare senza rischiare. Alla fine ho deciso di andare a Focșani, vicino a una foresta di bassa quota di cui Ikea possiede cinquemila ettari, in una regione dove l’azienda ha dovuto affrontare i problemi legali più seri. Barbu e Andrei hanno accettato di accompagnarmi. Pochi mesi prima la ong Agent green aveva identificato un taglio raso senza permesso e senza una valutazione d’impatto ambientale in una foresta primaria di proprietà dell’Ikea, vicino al sito Natura 2000 di Valea Neagra, che ospita alberi di età compresa tra i 130 e i 150 anni. Avevo visto delle foto che mostravano il paesaggio desolato rimasto dopo il passaggio delle motoseghe. Agent green aveva presentato un esposto, e il risultato era stato appena reso noto.
Durante il percorso abbiamo letto le conclusioni dell’indagine, redatte dalla britannica Soil Association, un revisore dell’Fsc. Nonostante le prove fotografiche e la mancanza di una valutazione dell’impatto ambientale, la Soil Association aveva ritenuto che l’Ikea non aveva colpe. Andrei era stupefatto. “Hanno cominciato a disboscare due anni fa e ancora non hanno il permesso. E per l’Fsc non è un problema. Dicono che si sono ‘sforzati’ di rispettare le leggi”.
Quando siamo arrivati all’appezzamento era più verde di quanto mi aspettassi. Le erbacce e la boscaglia avevano coperto le parti più spoglie. Un albero sopravvissuto si stagliava solitario, insieme a pochi alberelli di quercia, più bassi delle nostre ginocchia.
L’esposto di Agent green aveva attirato molta attenzione su quella zona, quindi pensavamo che l’attività fosse stata sospesa. Invece mentre camminavamo abbiamo sentito il ronzio familiare delle motoseghe. Quando quel rumore è cessato abbiamo sentito il tonfo dei tronchi che cadevano. Andrei ha lanciato il drone e ha individuato i taglialegna. “Non è possibile”, ha commentato Barbu. “Molti giornalisti sono venuti da queste parti, pensavo che nessuno sarebbe stato tanto stupido da fare qualcosa di completamente illegale”.
Abbiamo continuato a camminare finché i telefoni hanno ricominciato a prendere. Abbiamo inserito le coordinate e controllato il database della Sumal. È venuto fuori un permesso, per rarituri (“diradamento” in romeno), concesso alla Ingka Investments, società d’investimenti del gruppo Ikea. Il permesso consentiva di rimuovere piccoli alberi che avrebbero potuto ostacolare il benessere della foresta, oltre agli alberi malati o morti. Ma anche da centinaia di metri d’altezza era evidente che la situazione fosse diversa. “Sono grossi tronchi, buoni per la vendita. Altro che rarituri”, ha detto Barbu.
Dopo averne parlato, abbiamo deciso di avvicinarci e affrontare i taglialegna, mentre Barbu avrebbe ripreso la scena. Andrei ha inviato la nostra posizione a un collega, per precauzione. Documentare un’attività di questo tipo avrebbe reso più facile intentare azioni legali contro l’Ikea e la sua gestione delle foreste. Ma era rischioso. “Merda,” ha borbottato Barbu mentre caricava le schede di memoria nella macchina fotografica. “Non ho nessuna voglia di farmi pestare”.
Una volta raggiunta la radura dove venivano raccolti gli alberi abbattuti, siamo scesi dall’auto e Barbu ha cominciato a riprendere. Grossi tronchi appena tagliati erano impilati dietro un rimorchio. Sul lato della radura c’era una postazione per tagliare i tronchi in blocchi di legna da ardere. Un cartello indicava i dettagli dell’operazione in corso. Come nel database, si leggevano le parole rarituri e Ingka Investments. Ma non abbiamo visto nessun albero di piccola taglia né tronchi con segni di malattia. Contando i cerchi di accrescimento si capiva che gli alberi avevano tra gli ottanta e i cento anni. E non c’era traccia dei taglialegna che avevamo notato nelle riprese del drone.
Pochi minuti dopo un trattore rosso è emerso dalla foresta, trascinando tre grossi tronchi. “Sei pronto?”, mi ha chiesto Barbu. Il trattore si è fermato vicino alla pila di tronchi, poi un taglialegna è uscito dalla cabina e ha cominciato a sganciare le catene che bloccavano il legname.
Con la fotocamera accesa, Barbu ha indicato il permesso, la postazione di taglio della legna e i tronchi appena scaricati. Il taglialegna ha urlato qualcosa. Mi sono guardato intorno alla ricerca di una pietra, nel caso le cose si fossero messe male. Ma i numeri erano dalla nostra parte e la conversazione non è mai diventata violenta. Dopo pochi minuti l’uomo è risalito sul trattore e si è allontanato. Anche noi siamo tornati verso la macchina.
“Mi ha detto che anche nel diradamento si possono tagliare per sbaglio grossi alberi sani”, mi ha spiegato Barbu. “Gli ho risposto ‘Certo, ma qui c’è una bella pila di sbagli’. E lui: ‘Sì, ma è permesso, e se vuoi spiegazioni vai all’ufficio del capo’. Ha ragione, perché lui si limita ad abbattere gli alberi che sono stati segnati”. L’ufficio del capo, naturalmente, era l’ufficio regionale della Ingka.
Novantacinque dollari
Prima di lasciare la Romania mi sono fermato al punto vendita Ikea di Bucarest. Ero curioso di verificare se ci fossero accenni agli investimenti dell’azienda nell’ambiente e all’impegno per la sostenibilità, in un paese in cui questi sforzi potrebbero essere davvero visibili. Armato del traduttore di Google, ho fatto un giro per il piano terra, dove ho trovato tavoli e sedie di faggio, truciolato di abete e altri tipi di legno. Ma nessuna informazione sulla provenienza. Nella sala d’accesso c’era un cartello con la scritta “Usiamo il legno in modo responsabile”. Sono andato via a mani vuote.
L’Ikea rende difficile tracciare la provenienza dei suoi mobili. Spesso la confezione indica come paese d’origine l’ultimo anello della catena di produzione: “Prodotto in Vietnam”, per esempio. Altre volte l’informazione è ancora più vaga: “Prodotto nell’Unione europea”. Internamente, però, l’azienda registra nel dettaglio l’origine della merce. Una sequenza di numeri riportati sulla scatola, insignificanti per i profani, può indicare un produttore o un contratto in un determinato paese. Questi codici sono gelosamente custoditi e cambiano spesso, ma nel corso della mia indagine ho scoperto il codice relativo alla Plimob, l’azienda romena accusata di usare legname illegale per alcune delle tipiche sedie a basso costo dell’Ikea. Così quando sono tornato a New York ho deciso di andare in un magazzino Ikea per cercarlo.
L’area di carico del magazzino di Brooklyn era abbastanza desolata. Era la fine di novembre, e la crisi globale delle forniture era ancora evidente negli scaffali vuoti. Ma ho comunque trovato dei mobili fabbricati in Bulgaria, in Polonia e finalmente anche in Romania. Su una pila di sedie Rönninge di colore verde, uno dei prodotti più ricercati, ho individuato il codice della Plimob. La sedia costava 95 dollari. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1463 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati