Tra le colline delle Langhe si producono alcuni dei vini italiani più prestigiosi e cari, come il barolo, il barbaresco e i vini di Alba, che ne fanno una delle mete privilegiate per l’enoturismo di alto livello. Le aziende vinicole della zona, però, come quelle che coltivano gli ortaggi, meno nobili dell’uva, si affidano ai migranti irregolari per supplire alla carenza di manodopera.

Il governo di destra guidato da Giorgia Meloni è determinato a frenare l’arrivo dei migranti irregolari in Italia, ma tante aziende agroalimentari prosperano proprio grazie al lavoro a basso costo di queste persone.

Le urla del supervisore

“In Italia c’è un enorme bisogno di lavoratori, ma la politica sull’immigrazione favorisce situazioni di irregolarità, che sono diffuse più di quanto si pensi”, dice Piertomaso Bergesio, un sindacalista della Cgil che lavora nelle Langhe.

Il problema è particolarmente evidente nella zona, dove dal 2015 la richiesta di lavoratori è aumentata costantemente dopo che l’Unione europea ha allentato le regole sull’espansione dei vigneti europei, proprio per soddisfare una domanda di vino che era in crescita.

“In passato la vendemmia era una questione familiare, si faceva con i parenti e i pensionati”, sottolinea Bergesio. “Ma le cose sono molto cambiate: i volumi di produzione sono aumentati e alle aziende serve più manodopera”. Durante la fase della potatura estiva e durante la vendemmia autunnale, quando il lavoro raggiunge il picco, i produttori delle Langhe si affidano a intermediari che s’interessano poco allo status legale di chi assumono, come confermano magistrati, imprenditori, leader sindacali e gli stessi immigrati. “In varie stagioni, a cominciare da quella della vendemmia, c’è una forte domanda di manodopera. I produttori di vino non ne trovano abbastanza e si rivolgono agli intermediari, che però reclutano persone che si trovano in Italia senza i documenti in regola”, spiega Biagio Mazzeo, procuratore della repubblica presso il tribunale di Asti.

Nelle vigne un terzo delle persone è nelle mani di gente senza scrupoli

La legge italiana permette ai richiedenti asilo di lavorare nel paese mentre la loro pratica viene esaminata, un processo che a volte richiede anni. Ma se guadagnano più di 6.900 euro all’anno perdono il diritto ad avere un alloggio gratuito, un limite che per gli immigrati rappresenta un incentivo a lavorare senza un contratto. Se poi la richiesta d’asilo viene respinta devono lasciare il paese, ma spesso restano in Italia a lavorare illegalmente con paghe bassissime e in condizioni proibitive, subendo in alcuni casi abusi e violenze.

Fallou, che ha chiesto di non rivelare il suo vero nome, è un immigrato senegalese sbarcato in Italia più di dieci anni fa, ed è arrivato nelle Langhe in estate dopo anni trascorsi a lavorare nei campi intorno a Napoli. Alla stazione ferroviaria di Alba, principale centro abitato della regione, è stato avvicinato da un uomo con accento balcanico che gli ha proposto di lavorare in una vigna per cinque euro all’ora, molto meno di quello che le aziende vinicole pagano ai lavoratori assunti direttamente.

Nei tre mesi successivi Fallou è stato prelevato ogni mattina da un furgone nei pressi della stazione ferroviaria, dove dormivano lui e altri, per essere portato nei vigneti. Lì ha lavorato per undici ore al giorno zappando i campi e potando le viti, senza un equipaggiamento protettivo o dell’acqua e con una pausa di soli 30 minuti. Il suo supervisore, ricorda Fallou, urlava continuamente: “Più veloci! Più veloci!”.

Un problema per la comunità

Nell’estate del 2024 la procura di Asti ha annunciato l’arresto di tre intermediari stranieri accusati di sfruttamento lavorativo e ha pubblicato un video in cui un uomo aggredisce i lavoratori africani con una spranga di ferro.

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Sergio Germano, presidente del Consorzio tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, ribadisce che la vicenda rappresenta un caso isolato e si è lamentato “del fango che ci è stato gettato addosso”. Tuttavia il procuratore Mazzeo ritiene che lo sfruttamento del lavoro nelle Langhe sia molto più diffuso di quanto sia stato possibile accertare finora. “I lavoratori stranieri non si lamentano mai, perché vogliono restare invisibili. Hanno paura che rivolgendosi alle autorità la loro condizione possa peggiorare”.

Matteo Ascheri, presidente del consorzio fino a maggio 2024, fa parte di una famiglia che produce vino da sei generazioni, e ritiene che circa la metà dei cinquemila lavoratori delle Langhe sia stata assunta direttamente dalle aziende vinicole, mentre gli altri lavorano per conto di intermediari la cui integrità è piuttosto variabile. “Un terzo delle persone nelle vigne è nelle mani di gente senza scrupoli. Non possiamo ignorarlo. Il marchio ha una reputazione, se qualcuno si comporta male o in modo illegale è un problema per tutta la comunità. Dobbiamo trattare meglio i lavoratori”. Quando era presidente del consorzio Ascheri aveva invitato i produttori ad adottare un codice etico, ma racconta che i componenti del consorzio si sono opposti e in seguito l’hanno sollevato dall’incarico. “L’idea qui è che se non ne parli, allora il problema non esiste. Sono molto scoraggiato. Probabilmente l’unico modo per cambiare è farlo in modo drastico, con uno shock dall’esterno”, osserva.

Anche quando gli sfruttatori vanno a processo per gli abusi commessi, le sentenze sono spesso clementi. Nell’operazione chiamata Iron rod (spranga di ferro), i tre imputati (un marocchino, un macedone e un albanese) si sono dichiarati colpevoli, ma nessuno è finito in carcere. Mazzeo spiega che spesso queste persone riprendono a lavorare subito, anche dopo aver avuto problemi con la giustizia.

Le aziende vinicole non sono quasi mai coinvolte nei processi, perché i magistrati di solito non riescono a dimostrare che i titolari sono a conoscenza degli abusi commessi nei confronti di chi lavora nei loro vigneti. “Dato che usano intermediari è difficile accertare se sono colpevoli”, spiega Mazzeo.

Germano, l’attuale presidente del consorzio, afferma che i proprietari delle aziende vinicole e il personale più esperto sorvegliano l’operato dei lavoratori nelle vigne, ma non si occupano degli accordi stipulati con gli intermediari. Germano vorrebbe creare un elenco ufficiale degli intermediari che rispettano gli standard lavorativi. “È impossibile sapere quanto sono pagati i lavoratori assunti attraverso una parte terza. Se vediamo che una persona lavora serenamente presumiamo che non ci siano problemi”, spiega.

L’esperienza di Fallou nelle vigne si è conclusa all’improvviso dopo un’ispezione in cui le autorità locali hanno scoperto che molti lavoratori, compreso lui, non avevano un permesso di lavoro regolare. “Pensavamo che ci avrebbero rimandati in Africa”, racconta e aggiunge che invia gran parte del denaro guadagnato in Senegal per aiutare la moglie e i suoi quattro figli. “Se torno in Africa cosa mangerò, la terra?”. Alla fine Fallou ha ricevuto un permesso di soggiorno temporaneo che gli ha consentito di ottenere un impiego regolare in un altro settore. Un altro senegalese che aveva lavorato con Fallou nelle vigne racconta di non essere mai stato pagato per gran parte del lavoro svolto. “Chiedevo il denaro, ma mi dicevano sempre ‘ti pagheremo dopo, di pagheremo dopo’”.

Secondo il procuratore Mazzeo, i maltrattamenti inflitti ai lavoratori sono una macchia per la reputazione delle Langhe: “Parliamo di una regione che produce vini con un grande prestigio all’estero. È difficile credere che questi imprenditori non abbiano i mezzi per pagare adeguatamente chi lavora e per verificare con più attenzione in che condizioni lo fa”. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1599 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati