I lavoratori di Fabriano producono carta da secoli. Da questa piccola città italiana provengono le pagine dei quaderni degli artisti, le risme per le fotocopiatrici e le banconote su cui si stampano gli euro. Oggi però è in crisi. Le due principali industrie locali – quella della carta e quella degli elettrodomestici – sono in mano ad aziende straniere che stanno riducendo la produzione e i posti di lavoro a causa della concorrenza in Europa e in Asia. “Nessuno sa cosa succederà domani”, spiega Daniela Ghergo, sindaca di Fabriano. “Le persone non spendono, non investono. Nessuno fa progetti perché non si sa cosa ci riserva il futuro”.
Adagiate sugli allori
I problemi di Fabriano sono il simbolo delle difficoltà di molte fabbriche in un paese che ha la seconda industria manifatturiera d’Europa. Nei decenni dopo la seconda guerra mondiale la manifattura è stata il motore della crescita dell’Italia, ma oggi non riesce più a reggere la concorrenza perché la domanda internazionale è debole e sono aumentati il prezzo dell’energia e il costo del lavoro. “Nel mondo c’è uno spostamento della domanda dai prodotti manifatturieri ai servizi”, spiega l’economista Lorenzo Codogno. “L’Italia ne soffre particolarmente”. E nonostante il fatto di avere produttori di nicchia tecnologicamente avanzati, tra cui alcune start-up all’avanguardia, “che non crescono abbastanza per fare la differenza nell’economia nazionale”, aggiunge Codogno.
Secondo alcuni economisti e imprenditori, sono troppe le aziende italiane che non hanno investito a sufficienza nell’innovazione e nell’aumento della produttività, perdendo l’occasione di restare competitive. “Alcune si sono adagiate troppo sugli allori del passato. Oggi l’Italia sta vivendo un piccolo trauma, una sorta di risveglio amaro”, conferma Francesco Casoli, presidente della Elica, un’azienda di elettrodomestici da cucina di lusso con sede a Fabriano.
Nel 2024 la produzione industriale italiana ha fatto segnare un declino per il secondo anno consecutivo, perdendo il 3,5 per cento, mentre nel 2023 aveva perso il 2 per cento. A gennaio del 2025 la produzione manifatturiera ha registrato un aumento del 3,2 per cento, superiore alle aspettative, dopo che a dicembre del 2024 era diminuita del 2,7 per cento.

Tuttavia l’umore generale resta negativo, anche a causa della guerra commerciale scatenata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che minaccia di imporre dazi punitivi ai paesi esportatori dell’Unione europea da aprile. “Mi sembra di vivere in un mondo in cui nessuno sa cosa succederà tra una settimana. Tutti aspettano il prossimo tweet del presidente statunitense. La situazione è molto complicata”, sottolinea Casoli, che presiede una multinazionale.
A dicembre la Fedrigoni, un’azienda che produce carta, controllata dal 2018 dalla società d’investimento statunitense Bain Capital, ha interrotto a Fabriano l’attività di produzione della carta da ufficio, un settore che immetteva sul mercato 140mila tonnellate di carta all’anno e in cui lavoravano duecento persone. Ha mantenuto invece la linea dei taccuini da disegno per artisti con il marchio Fabriano e altri prodotti innovativi. “I prodotti di base, come la carta da ufficio, non possono sopravvivere in paesi come l’Italia perché in questo settore i margini sono ridotti, la domanda è in calo e la concorrenza è globale”, sottolinea Marco Nespolo, presidente della Fedrigoni. “La soluzione è concentrarsi sui prodotti di nicchia, che prevedono margini maggiori e consentono di sostenere costi strutturali leggermente più alti che in altri paesi”.
Il rischio di licenziamenti
In un piovoso pomeriggio invernale gli operai di una storica azienda di elettrodomestici si riuniscono in un parcheggio per esprimere i loro timori sul futuro. Fondata da un imprenditore locale negli anni settanta, la Indesit è un punto di riferimento nel mercato europeo degli elettrodomestici. In Italia ha cinque stabilimenti e la sede centrale è a Fabriano. Gli eredi del fondatore hanno venduto l’azienda più di dieci anni fa alla statunitense Whirpool, che da allora ha perso una parte consistente della sua quota di mercato a beneficio dei concorrenti asiatici, più economici. Nel 2024 il produttore di elettrodomestici turco Arçelik ha preso il controllo dell’attività europea di Whirpool, che ora si chiama Beko Europe. Centinaia di posti di lavoro negli uffici Beko a Fabriano sono a rischio, mentre i dipendenti dello stabilimento che produce piani cottura sono spesso in cassa integrazione. “Il punto cruciale è che la deindustrializzazione dell’Europa non colpisce solo i lavoratori delle fabbriche, ma ha un impatto anche sul personale dell’amministrazione”, spiega Cadia Carloni, 60 anni, che da trentatré anni lavora nel settore dell’assistenza ai clienti nel settore degli elettrodomestici.
Oggi i cinque stabilimenti Beko in Italia operano al 40 per cento della produttività. L’azienda vorrebbe licenziare circa 1.150 dei suoi dipendenti in Italia, che già ora trascorrono molto tempo in cassa integrazione. “Abbiamo paura, siamo tutti convinti che non ci sia futuro”, racconta Isabella Montesi, 53 anni, che lavora nello stabilimento di Fabriano da 27 anni. Attualmente è in cassa integrazione fino a 15 giorni al mese e ha visto i suoi guadagni ridursi drasticamente. La Beko intende investire 62 milioni di euro per modernizzare lo stabilimento di Fabriano dedicato ai piani cottura e sviluppare la capacità di progettazione come punto principale della ristrutturazione in Italia. L’azienda sta discutendo i suoi progetti con il governo di Georgia Meloni e con i sindacati. “Nel nostro settore l’Italia era uno dei paesi più importanti, ma ora bisogna fare qualcosa per ripristinare la competitività. Non si può andare avanti per sempre con gli aiuti dello stato. Bisogna ridurre i costi”, spiega Ragip Balcioglu, amministratore delegato della Beko Europe.

La famiglia di Lorenzo Morra, 25 anni, lavora nelle cartiere da cinque generazioni. Lui è stato assunto nel 2021 per migliorare la gestione del settore della carta da ufficio della Fedrigoni. Quando l’azienda ha proposto di trasferire i lavoratori licenziati in altri impianti in Italia, Morra aveva appena comprato un appartamento da centomila euro a Fabriano. “Ora è impossibile venderlo. Questa è l’unica cosa che mi trattiene”, racconta, aggiungendo che molti lavoratori con un mutuo e figli sono riluttanti a trasferirsi.
Il suo ex collega Leonardo Balducci, 27 anni, non ha esitato a spostarsi in una fabbrica vicino a Verona, anche se questo ha significato lavorare a quattro ore di strada da Fabriano: “Ho pensato che fosse giusto interpretare questa occasione come una sfida. Mi manca la mia famiglia. Fabriano invece non tanto”.
La sindaca Ghergo si rammarica per la scomparsa dei posti di lavoro e per la partenza dei giovani: “Abbiamo lavoratori molto qualificati che rischiamo di perdere”, sottolinea. Ghergo, che negli anni novanta ha lavorato con l’ex presidente del consiglio Romano Prodi, crede che Fabriano sia vittima delle aziende straniere “che vengono qui, comprano i nostri marchi e poi chiudono la produzione per spostarla altrove. Nelle crisi passate avevamo imprenditori con cui parlare, individui in carne e ossa. Oggi lottiamo contro un capitalismo senza volto e non riusciamo a capire chi sono i nostri interlocutori in questa crisi”.
Alcune aziende non intendono abbandonare il territorio. Elica mantiene cinquecento dipendenti nella sede centrale e altri settecento negli impianti vicini. “Sono nato qui e ho costruito la mia attività qui”, spiega Casoli. “Siamo abituati a combattere da Fabriano e continueremo a farlo”. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1607 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati