Di solito i potenti non cadono a causa di un ostacolo o di un grande scandalo, ma perché dimenticano di allacciarsi le scarpe. A forza di pensare di poter camminare sull’acqua e muoversi al di sopra delle circostanze, finiscono per inciampare sui popoli, quel “dettaglio” che tendono a trascurare. Vale anche per i dittatori che opprimono la società civile con la paura, la minaccia e la forza, e la storia sta per ripetersi.
Il giornalista francese Pierre Haski ha tracciato un parallelo fra i tre movimenti popolari che a rischio della vita hanno colto di sorpresa dei regimi autoritari riuscendo a metterli in difficoltà, e ha ricordato l’importanza di questo “imprevedibile fattore umano” troppo spesso ignorato nell’analisi politica.
È il caso della Cina, dove decine di migliaia di persone, esasperate dalla politica “zero covid”, manifestano contro il loro leader intoccabile e il Partito comunista. In Iran da mesi le donne si ribellano contro l’imposizione del velo, si tagliano i capelli e sfidano i mullah. In Ucraina, infine, i cittadini hanno opposto una resistenza imprevedibile all’aggressione russa. Come spesso succede, in Iran e in Cina sono stati eventi “banali” (la morte di una giovane donna e il rogo di un palazzo) a innescare la scintilla, trasformata in un incendio dai social network. Sono i giovani a prendere l’iniziativa e ad assumersi i rischi, non potendo più vivere sotto regimi soffocanti che li privano di ogni prospettiva.
Certo, le democrazie non sono al riparo da questa cecità del potere. Il “fattore umano” non basta a rovesciare i regimi, che intervengono senza scrupoli quando una rivolta minaccia la loro egemonia. E i popoli non sono virtuosi per natura: spesso sono stati proprio loro ad affidare il potere agli uomini della provvidenza.
Ma oggi è il loro coraggio incosciente che bisogna onorare, e sostenere. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1489 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati