U na ventina di persone ha perso la vita in questi giorni in Senegal, dove sono scoppiate dure proteste dopo la condanna del leader dell’opposizione Ousmane Sonko. Questo triste bilancio potrebbe perfino aggravarsi. Gli eventi in corso nel paese obbligano tutti ad assumersi le loro responsabilità. Noi siamo convinti che la situazione attuale sia il risultato della deriva autoritaria del presidente Macky Sall. Nel 2012 i senegalesi gli hanno dato fiducia eleggendolo capo dello stato. Ma, spinto dal desiderio di rimanere al potere a tutti i costi, Sall ha giurato di “ridurre l’opposizione ai minimi termini”. Così facendo, ha gettato i semi della discordia e della violenza. Le sue responsabilità sono innegabili. La storia lo ricorderà come l’uomo che ha trascinato il Senegal in una crisi politica senza precedenti, ha indebolito il tessuto sociale e sgretolato le istituzioni. Inoltre, ha incautamente scatenato i mostri che abitano segretamente ogni gruppo umano e che devono essere tenuti a bada con la pratica della giustizia, dell’uguaglianza delle cittadine e dei cittadini, e della pace sociale.
Il prezzo da pagare
Se in Senegal si è arrivati a questo punto, è perché nessuno ha reagito quando il regime ha cominciato a prendere di mira i militanti e i dirigenti del partito Patriotes africains du Sénégal pour le travail, l’éthique et la fraternité (Pastef, all’opposizione), e in particolare il suo fondatore e presidente, Ousmane Sonko. Da tempo chi osa prendere posizione contro la candidatura del presidente Sall a un terzo mandato (vietato dalla costituzione) ne paga immediatamente il prezzo. I cortei pacifici sono stati sistematicamente vietati, mentre si sono moltiplicati gli arresti e le detenzioni arbitrarie. In questa violenta chiusura dello spazio politico, i processi dai verdetti assurdi e la reclusione illegale di un leader dell’opposizione appaiono di una banalità inquietante.
La natura socratica del giudizio su Ousmane Sonko (che era accusato di stupro e minacce, ma è stato condannato a due anni di carcere per “corruzione dei giovani”) ha mostrato che l’obiettivo non era far emergere la verità dei fatti, ma eliminare un possibile avversario in vista delle prossime presidenziali.
Da mesi subiamo l’arroganza di un potere che imprigiona ed esilia gli oppositori, reprime le libertà (in particolare quella di stampa) e apre il fuoco contro i cittadini con un’impunità rivoltante. Siamo tutti testimoni degli errori di uno stato che vuole apparire forte a tutti i costi dimenticando che uno stato è forte quando è giusto, e che l’ordine si mantiene innanzitutto con l’equità.
Di fronte a questa cruda realtà, l’apparato ideologico del regime ha risposto che non stava succedendo nulla, e che chi si trovava in carcere aveva infranto le regole, violato la legge o, meglio, non aveva rispettato le regole dello stato di diritto. In uno strano rovesciamento di prospettive, quelli che hanno indebolito e screditato le istituzioni repubblicane sono gli stessi che pretendono di esserne i custodi.
I cittadini e le cittadine che denunciano questa situazione sono a loro volta accusati di diffondere notizie false, di screditare le istituzioni o d’incitare alla rivolta. In questo modo la coscienza democratica della società civile senegalese viene soppressa, le viene intimato di tornare a casa e di ammainare la sua bandiera. Ma c’è qualcosa di profondamente anacronistico in questo desiderio d’instillare la paura nei cittadini e d’inibire qualsiasi accenno di protesta: i senegalesi sono affezionati alla loro libertà d’opinione e non vi rinunceranno facilmente.
Il governo oppone un netto rifiuto anche alla richiesta di giustizia sociale portata avanti dai ragazzi e dalle ragazze, che formano il 75 per cento della popolazione senegalese. Oltre a non avere prospettive, questi giovani non hanno spazi di espressione politica e i loro sogni di una società più giusta sono ipotecati. Infine, in Senegal c’è una parte della popolazione che vive in condizioni precarie, abbandonata a se stessa nella gestione dei problemi più elementari della vita quotidiana. Queste persone osservano con tristezza e impotenza la smania accumulatrice di una casta che si arricchisce illecitamente, si rifugia in un mondo indecentemente chiuso e ristretto, e quando viene chiamata in causa risponde con disprezzo, violenza o, peggio ancora, indifferenza.
Verità e linguaggio
Oggi come ieri, il linguaggio, luogo primario della battaglia tra la verità e la menzogna, è fondamentale. La prima forma di distorsione è non nominare la realtà dei fatti, eluderla, sminuirla, diluirla con giochi di prestigio semantici, o mascherarla. La prima forma di oppressione sono i numerosi tentativi fatti per costringere le persone a scambiare la menzogna per la verità. In questo, l’apparato ideologico statale ha lavorato a pieno ritmo, producendo discorsi che volevano oscurare la realtà. Ma va condannato anche l’uso eccessivo della violenza nella repressione della rivolta, uso che sta assumendo una forma nuova e particolarmente preoccupante. Le forze di difesa e di sicurezza sono sempre meno al servizio della repubblica perché al loro interno sono state integrate delle milizie, che operano sotto gli occhi di tutti. Così facendo, l’attuale regime viene meno al suo dovere di proteggere il popolo senegalese.
La storia politica del Senegal ha un lato oscuro di violenza. Ma di tutti i turbamenti che hanno scosso il paese negli ultimi decenni quello attuale sembra il più semplice da risolvere. Basterebbe che un uomo dicesse “Rinuncio a candidarmi a un terzo mandato” per placare la rabbia che si manifesta nelle strade del paese. Allo stesso tempo il presidente dovrebbe annunciare la revisione di una parte della legge elettorale, l’abolizione di alcune procedure in modo da rendere le elezioni più inclusive e la liberazione di tutti i prigionieri politici e d’opinione, affinché le tensioni si allentino e possa tornare la pace. L’ondata di violenza che ha scosso il Senegal in questi giorni non è legata solo a una situazione politica temporanea: è strutturale, radicata e antica. È trasversale a tutti i settori della società e riflette la perdita di fiducia nello stato di diritto e il desiderio di una maggiore giustizia sociale, che garantirebbe un rinnovato patto democratico. La domanda è se l’attuale governo ha ancora il tempo, la possibilità e la voglia di mettere fine alla spirale di violenza. La via per raggiungere una pace duratura è la riabilitazione del sistema giudiziario e la costruzione di una società pienamente democratica. Dopo la tempesta, si tratterà di rifondare il patto repubblicano, di ristabilire pesi e contrappesi, di riformare le istituzioni, abbandonando un sistema troppo sbilanciato verso il presidenzialismo, di modo che un singolo individuo non abbia più un potere illimitato e incontrollato. ◆ adg
Felwine Sarr è un filosofo ed economista senegalese. Ha scritto Afrotopia(Edizioni dell’asino 2018). Mohamed Mbougar Sarr è uno scrittore nato a Dakar nel 1990. Con il romanzo La più recondita memoria degli uomini(Edizioni e/o 2022) ha vinto il premio Goncourt.
◆ Il governo senegalese ha bloccato l’accesso a internet e ai social network, e ha sospeso le trasmissioni di una tv privata dopo le dure proteste scoppiate il 1 giugno 2023 e proseguite per almeno due giorni nella capitale Dakar e in altre città del paese. Negli scontri sono morte almeno 19 persone, denuncia il partito d’opposizione Patriotes africains du Sénégal pour le travail, l’éthique et la fraternité (Pastef), mentre secondo il governo il bilancio è di 16 morti. Le manifestazioni contro il presidente Macky Sall sono le più violente dal 2021. Il 7 giugno il Senegal ha chiuso anche alcuni consolati all’estero, tra cui quello di Milano, che erano stati attaccati da gruppi di oppositori di Sall.
A scendere in piazza sono stati i sostenitori di Ousmane Sonko, in gran parte giovani, che contestavano la condanna a due anni di carcere, senza condizionale, del leader del Pastef, sotto processo per le accuse di aver stuprato ripetutamente e minacciato di morte Adji Sarr, una dipendente di un centro massaggi di Dakar. Noto populista, eletto sindaco di Ziguinchor (il capoluogo della regione della Casamance) nel febbraio 2022, Sonko non è stato condannato per quelle accuse ma per “corruzione della gioventù”, un verdetto che per molti è solo un tentativo di eliminarlo dalla corsa alla presidenza nel 2024. Sonko si era già candidato alle presidenziali del 2019, arrivando terzo, ed è oggi considerato uno degli avversari più forti di Macky Sall, che non ha ancora rinunciato a candidarsi per un terzo mandato, anche se la costituzione non lo permette. C’è chi teme che Sall possa trovare delle scappatoie legali o addirittura modificare la costituzione per mantenere il potere, a spese della democrazia senegalese. Rfi, Le Monde Afrique
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Questo articolo è uscito sul numero 1515 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati