1. Hawa scopre di essere incinta
Hawa Kargbo manda giù a fatica gli ultimi bocconi della colazione. Le sale la nausea. Fa appena in tempo a correre tra i cespugli prima di vomitare il suo piatto preferito: riso con una salsa piccante di foglie di manioca. Quando torna sulla veranda si sente addosso gli occhi della famiglia. “È l’ennesima volta. Sei sicura di non essere incinta?”, le chiede la madre. Hawa nega con forza: “No, è solo che non mi sento bene”.
Come tutte le mattine, si mette a riordinare dopo la colazione e manda la sorellina alla pompa a prendere l’acqua. Ma Hawa, 17 anni, non è tranquilla. Non osa parlarne alla madre, ma nelle ultime settimane il suo corpo è cambiato. Si direbbe che le stia crescendo il seno ed è da almeno un mese che non ha le mestruazioni. Ma, incinta? Non è possibile. Un bambino rovinerebbe tutto.
Quando sua madre esce per andare alla moschea, Hawa controlla se la via è libera. Dietro la casa, in un labirinto di cortiletti interni, vicoli e case di argilla, ci sono persone sedute a chiacchierare su una panchina o a cucinare su un fuocherello, ma nessuna fa caso a lei. Hawa scappa nella latrina che la sua famiglia divide con i vicini, e da un sacchetto di plastica tira fuori un test di gravidanza.
Conta i secondi. Quando il tempo è trascorso, vede due striscioline blu sulla finestrella: positivo. Sente una fitta al cuore. Aspetta davvero un bambino? Le vengono in mente tutte le storie che ha sentito, di donne morte durante il parto. E se non dovesse farcela?
Hawa vive in Sierra Leone, uno dei posti più pericolosi del mondo per una donna incinta. Le cifre possono variare, ma secondo alcune stime su centomila donne che partoriscono ne muoiono 443. Per il ministero della salute, sono addirittura 796. Nei Paesi Bassi ne muoiono quattro su centomila.
La riduzione della mortalità materna nel mondo era uno degli obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni Unite. Tra il 2000 e il 2015 gli sforzi a livello internazionale sono riusciti quasi a dimezzare i casi, ma da allora i progressi si sono fermati, come ha constatato l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nella primavera del 2023. Le donazioni si esauriscono e le regioni più povere rimangono indietro: il 70 per cento delle morti materne è registrato nell’Africa subsahariana.
Secondo l’Oms, in molti casi questi decessi si potrebbero prevenire semplicemente con controlli regolari durante la gravidanza. Ma la povertà e le lunghe distanze rendono difficile per donne come Hawa raggiungere i centri dove ricevere assistenza sanitaria. E poi resta da vedere se sono disponibili i farmaci e il personale qualificato.
2. Un tentativo di abortire
Hawa cammina in fretta per le stradine di Baomahun, con le infradito viola che le sbattono contro i talloni. È cresciuta in questo piccolo centro tra le colline boscose nel cuore della Sierra Leone. Di solito saluta amici e conoscenti a destra e a manca, ma oggi, due settimane dopo aver fatto il test, preferisce non farsi notare. Nessuno sa cosa intende fare, nemmeno il suo ragazzo Patrick Fortune.
Nella casa della guaritrice è buio, solo una sottile striscia di luce filtra dalle persiane chiuse. La stanza è vuota, a parte un paio di stuoie di vimini. Quando Hawa entra, c’è già un’altra giovane in attesa. È incinta di tre mesi, racconta. Hawa crede di esserlo da due.
La guaritrice le dà un bicchiere che deve bere tutto d’un fiato. Ad Hawa la bevanda, gialla e trasparente, ricorda il succo di mela. Si porta il bicchiere alle labbra: la bibita è amara. Non ha idea di cosa stia bevendo, ma secondo la donna è una medicina che funziona bene e in fretta. Hawa cerca di pensare il meno possibile ai rischi.
Patrick ha provato a farle cambiare idea perché pensa che sia troppo pericoloso. Abortire è ancora vietato (la legge è cambiata il 14 giugno 2023), perciò Hawa non può andare in una clinica o in ospedale. Si passa la mano sulla pancia. Deve sbarazzarsene, si dice. Vuole avere dei bambini un giorno, ma prima deve finire le superiori e continuare a studiare. Non può deludere i suoi genitori. Hawa fa un respiro profondo e manda giù la bevanda.
La donna ordina alle ragazze di alzarsi. Hawa fa ruotare i fianchi, salta su e giù e dimena le braccia e le gambe, proprio come le dice di fare la donna. Presto sente gli arti appesantirsi. Ogni movimento è doloroso, come se il giorno prima avesse camminato per decine di chilometri. Hawa si lascia cadere sul materasso e fissa il tetto di lamiera, quasi senza rendersi conto dell’aborto che sta avvenendo di fianco a lei. Si sente stanca, molto stanca.
Quando Hawa si sveglia, la guaritrice l’aiuta ad alzarsi. Ha un’espressione stupita. Guarda in basso, la stuoia è pulita. “Non capisco” dice la donna. “Di solito funziona sempre”.
3. Vede una donna morire in ospedale
C’è grande agitazione nel reparto di ostetricia dell’ospedale. Da una panchina, Hawa vede infermieri e dottori correre avanti e indietro. Una donna di Baomahun è in gravi condizioni. È agli ultimi mesi di gravidanza, ha saputo Hawa, e aspetta il sesto figlio.
Questa settimana Hawa è già svenuta due volte. Dal pronto soccorso del suo villaggio è stata mandata all’ospedale più vicino, gestito da un’ong, a due ore di auto. Dalle analisi è emerso che soffre di anemia. Il dottore le ha prescritto una cura di ferro e ha deciso di ricoverarla per una notte.
Hawa è insieme alla madre in attesa di essere rimandata a casa, quando vede un gruppo di donne trascinarsi fuori dal reparto di ostetricia. Si sostengono a vicenda. Una si separa dalle altre e cade in ginocchio. Alza le mani al cielo e piange con grida acute.
Poi escono i medici. Tengono gli occhi bassi e si ritirano nel loro ufficio. Uno degli addetti alle pulizie porta una barella fuori dalle porte a spinta. Il corpo è coperto da stoffe colorate.
Hawa ha incontrato Patrick un paio d’anni fa, poco dopo che lui si era trasferito da una grande città a Baomahun per lavorare nelle miniere
Hawa osserva la famiglia di Baomahun in lutto. Ha paura di quando toccherà a lei partorire. Secondo il dottore, lei è al quarto mese di gravidanza. Spera che Dio la protegga. Ha tentato tre volte di abortire e tutte le volte ha fallito. Dev’essere un segno, un segno che Dio vuole che lei tenga il bambino.
4. Com’è rimasta incinta e ha tentato di nasconderlo
Hawa ha incontrato Patrick un paio d’anni fa, poco dopo che lui si era trasferito da una grande città a Baomahun per lavorare nelle miniere d’oro. Andando in centro a prendere delle medicine per sua madre, era passata vicino a un gruppetto di ragazzi che chiacchieravano su una veranda. Uno di loro l’aveva chiamata. Con le mani sui fianchi, Hawa si era avvicinata chiedendogli cosa volesse. Lui aveva risposto di averla notata e di volerla conoscere. Le risatine di Hawa tradivano il fatto che si sentiva lusingata.
Anche se il primo incontro è stato un po’ sfacciato, Patrick si è dimostrato un ragazzo serio e rispettoso. È gentile con la famiglia di Hawa e ci sa fare con i bambini.
I due ragazzi non avevano idea di come si resta incinta. Hawa pensava che si sarebbe sposata e che solo dopo avrebbe avuto dei bambini. Sua madre non le aveva mai detto niente sulle api e i fiori. E anche a scuola non le avevano dato nessuna informazione sulla sessualità.
La coppia va all’ambulatorio medico per una visita di controllo. Hawa ormai è al settimo mese, la sua pancia si vede chiaramente sotto la stoffa giallo intenso che le stringe i fianchi.
Da quando non riesce più a nascondere la gravidanza, Hawa non osa più andare a scuola. Si vergogna. Anche se la Sierra Leone registra uno dei tassi più alti al mondo di gravidanze tra le adolescenti (è al 22° posto, con 101 gravidanze per mille adolescenti), le ragazze incinte non sono ben viste. Fino a un paio d’anni fa gli era vietato andare a scuola.
5. Va all’ambulatorio, dove arrivano tante donne da lontano
Quando Hawa entra, le giovani in attesa si stringono per farla sedere. Patrick resta appoggiato a un muro poco distante.
Un po’ alla volta entrano altre donne, alcune con un bambino legato alla schiena. Hawa sa che molte di loro arrivano da lontano. Il mototaxi è il mezzo più usato per spostarsi, ma visto l’aumento dei prezzi del carburante sono sempre meno quelle che possono permettersi di pagarlo. L’alternativa è andare a piedi. Per fortuna, Hawa abita vicino.
Quando le panche di legno sono piene, le donne pregano insieme Dio o Allah di assisterle durante la gravidanza e il parto. Poi è il momento della musica, una componente fissa dell’educazione sanitaria. Accompagnandosi con un sonaglio, l’ostetrica Juliet Tucker intona una canzone che elenca i segnali d’allarme davanti ai quali le donne devono recarsi subito alla clinica. Un po’ alla volta, le donne si rilassano e ballano. L’ostetrica, che indossa un’uniforme bianco splendente, scompare nel suo ufficio e chiama dentro le donne una dopo l’altra. Quando sente il nome di Hawa, Patrick la segue all’interno con esitazione: è l’unico uomo presente.
Hawa sale sul vecchio lettino. Dal rivestimento strappato esce della polvere. All’inizio Tucker le tasta la pancia con cautela, poi preme più forte. Le sue mani tracciano una specie di mezzaluna; il bambino deve trovarsi lì. “È girato di testa”, dice Tucker. “Ha circa trentadue settimane”. Poi ascolta il battito con un corno. “Il bambino sta bene”, dice l’ostetrica, mentre prende appunti sul quaderno che racchiude il fascicolo medico di Hawa. Ma come fa a saperlo? La clinica non ha un medico, non ha un laboratorio di analisi e non si possono fare ecografie. Hawa fatica a credere che Tucker possa controllare tutto limitandosi a tastarla.
Nel paese ci sono 1.500 di questi ambulatori, che devono fare i conti con grosse carenze di elettricità, farmaci e medici. Nella gran parte non lavora nemmeno un’ostetrica. La Sierra Leone ha circa un medico ogni quattordicimila abitanti, mentre secondo l’Oms il minimo dovrebbe essere di uno per mille abitanti.
Hawa divide una moto con un’altra donna, anche lei diretta all’ospedale. Devono pagare 50 leoni a testa, l’equivalente del costo di cinque pasti
Tucker rovescia sei pasticche per l’anemia su un pezzetto di carta, che chiude con cura e consegna ad Hawa. Le pillole contro la malaria sono finite. “Di solito il governo le distribuisce ogni tre mesi, ma è da un bel po’ che mancano”.
6. Su un mototaxi diretta a una visita di controllo
Nella capitale Freetown Hawa non ci mette molto a trovare un mototaxi. I ragazzi si accalcano vicino a lei: dove vuoi andare? In quanti siete? Hawa divide una moto con un’altra donna, anche lei diretta all’ospedale dell’ong. Devono pagare 50 leoni a testa, l’equivalente del costo di cinque pasti. Per fortuna, il controllo è gratis.
Hawa si è fatta prestare un po’ di soldi per il viaggio. Da quando sua madre è partita per andare a consultare una guaritrice tradizionale per il suo mal di pancia cronico, a casa faticano a tirare avanti. Ogni tanto la madre telefona e promette di tornare presto. Nel frattempo Hawa e le sorelle vendono spiedini di pesce e altri spuntini per guadagnare un po’ di soldi, che gli bastano appena per mangiare.
La moto solleva una nuvola di polvere sulla strada sabbiosa. L’autista cerca di scansare le prime buche, ma a ogni sobbalzo Hawa sente una fitta di dolore partirle dall’osso sacro e arrivare fino ai piedi. Con una mano si tiene alla moto e con l’altra si tiene stretta la pancia con tutte le sue forze, nel tentativo di risparmiare gli scossoni al bambino. Può solo sperare che finisca presto.
Arrivata in ospedale, si scrolla di dosso la polvere. Hawa trascorre lì l’intera giornata, insieme a decine di donne incinte, passando dalla compilazione di un modulo a un esame, dall’ostetrica all’ecografia, e soprattutto trascorrendo lunghe ora in attesa tra un’attività e l’altra. Aspettare la rende nervosa.
Quando il dottore bianco la chiama nella stanza per l’ecografia, Hawa salta in piedi. Il medico le spalma del gel sulla pancia e muove avanti e indietro la sonda. Quando Hawa chiede il sesso del bambino, il medico cerca l’angolazione giusta. “Questo è il pene: è un maschietto”, annuncia, con grande gioia della ragazza. “Va tutto bene”, conclude il dottore. “I love you!”, esclama Hawa uscendo dalla stanza.
7. In visita dai parenti con una pancia enorme
Hawa lascia scivolare una montagna di panni sporchi in un catino pieno di acqua e sapone. Si guarda la pancia: il bambino è d’intralcio. Deve mettersi seduta a gambe larghe su uno sgabello per potersi piegare. Ormai fatica a fare tutto: il bucato, cucinare e perfino camminare.
È al nono mese e abita dai genitori di Patrick nella città di Bo. Non ha alternative: Patrick non lavora più e sua madre è irraggiungibile da settimane.
Quando il bucato è steso ad asciugare, Hawa va a sedersi sotto il grande albero di mango insieme a Patrick, sua madre e sua zia. Si solleva la gonna per lasciare un po’ di spazio alla pancia. Ha paura che il bambino sia troppo grosso e che le tocchi fare un cesareo.
Per un’operazione nell’ospedale pubblico di Bo la famiglia dovrebbe prima andare in farmacia a comprare i guanti, i punti da sutura e le altre cose che possono servire. Troppo costoso, sostiene la madre di Patrick. Hawa ha sentito dire che, se non compri il necessario, in ospedale non ti toccano nemmeno. Neanche in caso d’emergenza. La famiglia di Patrick sta pensando di mandare Hawa da una delle sue zie, che abita vicino all’ospedale dell’ong.
Ad Hawa sembra una buona idea, lì non la lasceranno morire. Sotto il mango cala il silenzio. Tutte le donne guardano Patrick: è lui l’uomo, la decisione spetta a lui. Patrick dice che Hawa partirà il mattino seguente.
8. Aspettare in ospedale, da sola
Hawa è seduta fuori dal policlinico sul bordo del marciapiede. Ogni tanto si massaggia i piedi gonfi. Si sente sola. Patrick l’ha lasciata dalla zia con due grosse borse piene di vestiti, una bacinella di plastica e la promessa che tornerà dopo il parto, considerato una faccenda da donne. Sua zia l’ha accolta calorosamente, ma non ha potuto accompagnarla in ospedale.
Il dottore conferma i timori di Hawa. Il bambino è grosso, come se fosse mezzo mese oltre il termine. Hawa deve tornare il giorno dopo con una persona ad accompagnarla perché indurranno il parto. In Sierra Leone i familiari si fanno carico di alcuni compiti in ospedale, come lavare le lenzuola o portare da mangiare.
Hawa cerca di non farsi prendere dal panico. Mille pensieri le sfrecciano per la testa. Che intenzioni hanno? Chi può accompagnarla? La manderanno via se non trova nessuno? E in quel caso, dove potrà andare?
Cerca di nuovo di chiamare sua madre, che ancora una volta non risponde. Hawa si sente abbandonata, soprattutto dalla suocera. Le ha promesso di prendersi cura del bambino dopo il parto, in modo che Hawa possa tornare a scuola. Accompagnarla all’ospedale, però, forse le sembrava eccessivo.
Poi, all’improvviso, una buona notizia. È la madre di Hawa al telefono: arriverà il prima possibile.
9. Non ce la fa più, vuole solo che sia tutto finito
Con la madre che la tiene per mano, Hawa si trascina fino al suo letto in ospedale. Si lascia cadere con cautela sul materasso. Non ha idea di che cosa la aspetti, ma sa di non avere mai avuto così tanta paura. Del dolore e di tutto quello che può andare storto. Dopo una notte infernale, ha la cervice dilatata di cinque centimetri. “Devi tenere duro un altro po’”, le dice l’ostetrica. Hawa si lamenta, stesa su uno dei letti nella sala parto rivestita di piastrelle bianche. “Porta pazienza, Hawa”, le dice la madre severa, nella loro lingua, seduta sullo sgabello accanto a lei.
Quando arriva un’altra contrazione Hawa non ce la fa più, vuole solo che sia tutto finito. Vuole la sua vita di prima. Le piacerebbe diventare infermiera. Sa che è difficile, ma spera di riuscire a finire le superiori. Tra cinque mesi comincerà il nuovo anno scolastico, quindi ha cinque mesi per trovare qualcuno che le tenga il bambino. Di colpo ha la sensazione che il bambino stia per nascere. Hawa si stende sulla schiena e fa per sollevare le ginocchia, ma l’infermiera Josephine grida: “ Non spingere! È troppo presto!”. Hawa si rimette di fianco con le ginocchia unite, ma non resiste più. La testa viene fuori. Prima che Josephine abbia chiamato l’ostetrica, il bambino è nato.
Josephine agisce in fretta. Stringe il cordone ombelicale e lo taglia. Poi, rapidamente ma con cura, porta il bambino sul tavolo e lo asciuga. Hawa vede che il maschietto respira e si muove, ma non piange. L’infermiera gli strofina la schiena e gli dà dei colpetti sotto i piedini. Poi si sente un suono. Prima debole e rauco. Poi, sempre più forte e chiaro. ◆ oa
◆ La principale causa di mortalità materna è l’emorragia post partum. Secondo uno studio condotto in Kenya, Nigeria, Sudafrica e Tanzania, e pubblicato dal New England Journal of Medicine, basterebbe un semplice accorgimento, come l’uso di un telo che permette di misurare l’entità delle perdite, per individuare subito il problema ed evitare il 60 per cento dei casi di sanguinamento grave.
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Questo articolo è uscito sul numero 1563 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati