All’avvicinarsi del 24 marzo, gli abitanti della località costiera di Palma, nella provincia mozambicana del Cabo Delgado, tremavano dalla paura. Esattamente un anno prima i ribelli di Al Shabab – leali al gruppo Stato islamico e attivi da più di tre anni nella zona – avevano invaso la città. In occasione dell’anniversario molte persone temevano che i miliziani avrebbero lanciato un nuovo attacco per celebrare quello che per loro era stato un grande successo.

I giornali di tutto il mondo avevano parlato degli eventi di quei giorni, in particolare della storia dell’Amarula Palma hotel, dove si erano rifugiate 220 persone. Decine di ospiti dell’albergo erano stati uccisi dai miliziani. Altri erano stati salvati con un’operazione di soccorso spettacolare, macchiata però dalle successive accuse di aver dato la precedenza ai lavoratori stranieri bianchi – e ai loro animali domestici – rispetto a tutti gli altri. In quei giorni i miliziani Al Shabab avevano devastato la città, rapinato le banche e ucciso molte persone.

Oltre alle conseguenze politiche, l’attacco ha avuto delle ricadute profonde sull’economia. Il gigante dell’energia francese TotalEnergies ha deciso di sospendere i piani per realizzare un impianto d’estrazione di gas naturale liquefatto (gnl) nella vicina penisola di Afungi: un progetto da 22 miliardi di dollari – il più grande investimento straniero diretto in tutto il continente – che avrebbe dato una boccata d’ossigeno alla traballante economia mozambicana. L’intervento della TotalEnergies nel Cabo Delgado ha cifre da capogiro. L’azienda ha comprato e recintato circa quaranta chilometri quadrati di terreni, su cui costruire l’impianto per il gas ma anche un nuovo aeroporto, un porto e due alberghi galleggianti sull’oceano Indiano in grado di ospitare fino a 1.800 persone. È già stato realizzato un complesso di alloggi per gli operai, per ora semivuoto, che può accogliere fino a duemila persone. Secondo i piani, l’investimento dovrebbe creare quindicimila nuovi posti di lavoro. Ma oggi è tutto fermo.

Prima dell’attacco Palma aspirava a diventare una destinazione turistica. Cominciava a svilupparsi e, per essere una piccola città di provincia, aveva assunto un’aria cosmopolita. Due dei bar più frequentati erano gestiti da burundesi, mentre il principale fornitore di legname e mobili della città era un cittadino somalo, che è stato uno dei primi a tornare a Palma per riprendere le attività quando la situazione si è calmata.

I residence turistici di Amarula e di Palma non avevano nulla da invidiare a quelli di Mombasa, una nota località sulla costa keniana. Ma per i miliziani di Al Shabab erano probabilmente il simbolo di una società consumistica, lontana dai dettami della religione islamica.

Obiettivo secondario

Stanco di quasi quattro anni di umiliazioni subite per mano di Al Shabab e dei tentennamenti della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (Sadc, un’organizzazione regionale), nel luglio 2021 il presidente mozambicano Filipe Nyusi è andato in Ruanda a chiedere aiuto. In quello stesso mese Kigali ha inviato le prime truppe. Nel giro di poche settimane hanno scacciato Al Shabab da quasi tutta l’area del Cabo Delgado. Per maggiore sicurezza, i ruandesi hanno occupato la città di Mocímboa da Praia, che era stata il quartier generale dei ribelli.

Dopo l’arrivo dei ruandesi, gli ingranaggi della Sadc si sono messi in moto e l’organizzazione ha inviato una missione militare nota con l’acronimo Samim. Sulla carta questa collaborazione panafricana, con soldati che arrivavano dal lago Kivu come da Città del Capo, avrebbe potuto decretare la sconfitta del gruppo Stato islamico in Mozambico. Ma non è ancora successo.

Com’è abitudine in questi casi, le forze ruandesi e quelle della Samim hanno diviso la provincia del Cabo Delgado in zone operative. Schiacciati dai soldati ruandesi, i miliziani di Al Shabab sono fuggiti verso sud, nel distretto di Macomia, e verso nord­ovest, in quello di Nangade, probabilmente per restare vicini al confine con la Tanzania, da cui provengono alcuni capi del gruppo, tra cui il leader politico e spirituale Abu Yasir Hassan.

Nelle ultime settimane i ribelli hanno condotto attacchi a Nangade e a Chai, nel distretto di Macomia, dove si trova oggi il loro quartier generale. Lì si trova probabilmente anche il loro comandante militare, Bonomade Machude Omar, noto anche come Abu Sulayfa Muhammad e Ibn Omar.

Il Sudafrica ha annunciato l’invio di nuove truppe, ma non ha ancora impegnato tutta la sua potenza di fuoco contro i ribelli, che ne approfittano per uccidere i civili a poche centinaia di metri dalle loro basi. E a Nangade compiono uccisioni indiscriminate prendendosi gioco dei militari tanzaniani. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) dice che tra gennaio e marzo le violenze hanno costretto 24mila persone ad abbandonare le loro case nel distretto di Nangade. In tutta la provincia ci sono altri ottocentomila sfollati.

Secondo analisti e osservatori, per la Tanzania la stabilizzazione del Cabo Delgado è un obiettivo secondario: il primo è impedire che i miliziani mettano radici nel sud del paese. Nel nord del Mozambico si parla swahili, come nel paese confinante. In teoria questo territorio fa parte più dell’Africa orientale che di quella australe.

La città aspirava a diventare una destinazione turistica. Cominciava a svilupparsi e aveva assunto un’aria cosmopolita

In questo contesto il presidente Nyusi e i suoi alleati ruandesi si trovano in una posizione scomoda. Nyusi, in particolare, deve fare buon viso a cattivo gioco. La missione Samim gli offre uno scudo di protezione importante, ma troppo piccolo: con poco più di mille unità, è a dir poco inadeguata. L’Angola, che un tempo aveva uno degli eserciti più potenti in Africa, ha mandato solo otto ufficiali. A confronto, il Ruanda ha inviato duemila soldati e cinquecento agenti di polizia.

Nonostante ciò Nyusi non può lamentarsi troppo, perché il suo esercito non è ancora in grado di sostituire i ruandesi e la Samim. Il presidente potrebbe fare pressioni su Kigali perché invii le sue truppe nelle aree controllate dalla Samim, ma così si rischia di sollevare un polverone alla Sadc.

Pressioni esterne

Intanto il tempo stringe per Nyusi e per il suo partito, il Frente de libertação de Moçambique (Frelimo), al potere dai tempi dell’indipendenza, raggiunta nel 1975. Il presidente è al suo ultimo mandato e le elezioni del suo successore sono previste per il 2025. Sul piano personale l’insurrezione è un grave smacco per Nyusi, che è originario di Mueda, nel Cabo Delgado, ed è stato il primo mozambicano del nord a essere eletto presidente. La sua eredità sarà compromessa se alla fine del mandato non avrà pacificato la regione.

Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, le sanzioni e i tagli dei governi occidentali agli acquisti di gas russo, Maputo riceve forti pressioni per aumentare le esportazioni di gas. Questo vuol dire creare le condizioni per la ripresa delle attività della TotalEnergies nella penisola di Afungi.

Nyusi non è stato d’aiuto alla causa – né a se stesso – quando all’assemblea generale dell’Onu del 2 marzo il Mozambico si è astenuto dal votare la risoluzione che condanna l’invasione russa dell’Ucraina. Le riforme necessarie a rimettere in sesto le forze armate mozambicane – per contrastare Al Shabab e mantenere il controllo delle zone “liberate” dai ribelli – dipendono dai finanziamenti dell’Unione europea. E quando il Mozambico si è astenuto, pare che a Bruxelles si siano chiesti: “Perché dovremmo pagare per la vostra sicurezza se voi non sapete essere di aiuto all’Europa?”.

In Mozambico si sentono molte lamentele di clienti di banche costretti a pagare tangenti per ritirare denaro dai loro conti

In ogni caso una soluzione duratura della crisi a lungo non può basarsi unicamente sulla sicurezza né dipendere dall’aiuto dei partner africani. Qualcosa in Mozambico si è spezzato. Le prime volte che si sono scontrati con l’esercito mozambicano, i ribelli non avevano a disposizione armi da fuoco, ma coltelli e machete. Eppure hanno sopraffatto i soldati e gli hanno sequestrato armi e veicoli corazzati per costruire il loro arsenale. Da alcuni resoconti sembra che sia bastato il grido _Allahu akbar _(Allah è il più grande) per mettere in fuga i soldati nella boscaglia. E una disfatta simile ha radici molto profonde.

Dramma in tre atti

Ritha Jaime Lucas è la vicedirettrice dell’Amarula Palma hotel. È una ragazza allegra e loquace, che si definisce mozambicana-tanzaniana, una persona di confine. Il suo albergo, come quasi tutta la città, è stato devastato e saccheggiato un anno fa. Molti edifici sono ancora in macerie, ma la vita sta lentamente tornando alla normalità: l’albergo ha riaperto parzialmente, dopo importanti interventi di riparazione e pulizia, e presto tornerà a essere pienamente operativo.

All’ingresso sono state collocate nuove opere d’arte. Una è dell’artista ugandese John Kyambadde: un elefante colorato realizzato con i tessuti e le tinte acriliche tipiche delle sue opere. Per essere un locale totalmente restaurato, i mobili hanno un aspetto vissuto e non sembrano essere stati comprati di recente per sostituire quelli rubati.

Lucas spiega che effettivamente quelli sono i vecchi mobili, che lei sta ricomprando a un prezzo “ragionevole” da chi li aveva rubati. Evidentemente i responsabili dei saccheggi non sono i ribelli, che in genere si limitano a distruggere e passare oltre. In gran parte della provincia di Cabo Delgado, dopo gli attacchi è stato l’esercito mozambicano a compiere i saccheggi. E quando i soldati hanno finito, è arrivato il resto della popolazione a far piazza pulita di quello che era rimasto. Molti edifici a Palma e in altre città sono stati svaligiati in questo modo. Questo dramma in tre atti la dice lunga sul modo in cui lo stato ha perso il controllo sul Cabo Delgado di fronte all’avanzata ribelle: un esercito e un governo predatori e lontani dai cittadini; una popolazione emarginata che raccoglie gli avanzi; e una milizia estremista che approfitta dei fallimenti dello stato e dello scontento popolare per instaurare un ordine basato sulla violenza.

Sfollati allo stadio di Pemba, il capoluogo del Cabo Delgado, 21 maggio 2021 (John Wessels, Afp/Getty Images)

La provincia è ricca di gas, oro, grafite e legname, e le sue coste sono piene di pesci. La popolazione ha tratto pochi benefici da questa ricchezza, di cui si sono appropriati la classe dirigente costiera e il Frelimo, il partito al potere. Nel Cabo Delgado si registra il più alto tasso di analfabetismo del paese, il 67 per cento. Alcuni sostengono che il fenomeno sia ancora più grave, e che i tassi reali siano più vicini al 90 per cento.

A Mocímboa da Praia, in un rifugio temporaneo nato accanto a un commissariato di polizia bombardato, ho parlato con un gruppo formato da 85 persone, che erano state salvate da poco o erano riuscite a sfuggire ai ribelli. Ho chiesto se qualcuno dei bambini andava a scuola o se c’erano tra loro genitori di bambini che ci andavano prima della guerra. Nessuno ha risposto di sì.

Un uomo che stava in piedi e ancora tremava per la fatica della lunga camminata mi ha raccontato che suo figlio frequentava una madrasa, una scuola coranica. In realtà intendeva una “madrasa della boscaglia”, cioè dei centri d’indottrinamento per i bambini creati dai miliziani nel folto della foresta.

Distanze incolmabili

Prima della guerra, il Cabo Delgado era uno snodo del traffico di droga, di animali selvatici e di legname. Si dice che il narcotraffico in Mozambico sia controllato da “vecchie e potenti famiglie del Frelimo” e che il contributo di queste attività criminali a quello che un tempo era un grande partito rivoluzionario sfiori i cento milioni di dollari all’anno. Ma è difficile trovare le prove.

Di certo l’esercito sfrutta la popolazione. Non è strano trovare su un tratto di strada di appena cinque chilometri quattro diversi posti di blocco, gestiti da esercito, polizia, forze di difesa regionali e amministrazione locale, tutti organizzati per sottrarre soldi a conducenti e passeggeri.

Ad Afungi, che sta diventando un centro petrolifero, la TotalEnergies ha costruito cinquecento case per le famiglie da cui aveva comprato la terra e gli ha versato dei soldi sul conto corrente. Molte persone si sono trasferite nelle nuove abitazioni, ma non hanno ricevuto il denaro. Si potrebbe pensare che sia perché ribelli e soldati hanno saccheggiato le banche, ma in realtà è colpa di una rete di funzionari pubblici, bancari e agenti corrotti che impediscono a queste famiglie di usare i loro soldi, se prima non gliene promettono una parte.

Da sapere
Chi comanda la ribellione

◆ “Si chiama Bonomado Machude Omar ed è nato a Palma, nel Cabo Delgado. È coinvolto nell’insurrezione dal 2017 e, secondo gli Stati Uniti, è il principale responsabile delle violenze nella provincia”. Luis Nachote scrive sul settimanale **The Continent **un profilo del comandante militare della rivolta, basandosi su un rapporto del ricercatore João Feijó per il centro studi mozambicano Observatório do meio rural (Omr). “Omar ha guidato gli attacchi a Palma nel marzo 2021 e a Mocímboa da Praia l’anno prima. Dopo la caduta di Mocímboa da Praia nel 2020 aveva pronunciato un discorso diventato famoso, in cui spiegava le sue ragioni. Omar aveva promesso di non uccidere né derubare la popolazione: ‘Vogliamo mostrarvi che il governo è ingiusto. Umilia i poveri e favorisce i padroni’. Nonostante i suoi nobili propositi, i ribelli al suo comando sono stati coinvolti in stragi di civili. I suoi miliziani sono divisi in una trentina di gruppi e finanziano le loro attività con il contrabbando di minerali (tra cui rubini e altre pietre preziose) e di droga, presumibilmente gestito da Omar. Da quando il governo mozambicano ha ripreso il controllo delle due città, si pensa che Omar sia costretto a spostarsi continuamente da una base all’altra. Ma il suo appello ai diseredati del Cabo Delgado resta un pericolo, avverte Feijó: ‘Varie testimonianze lo descrivono come un uomo sinistro e violento, ma anche dotato di senso di giustizia’”. Per questo lo stato dovrebbe intervenire, non solo sul piano della sicurezza, ma anche delle riforme sociali, sostiene il ricercatore.


In Mozambico si sentono spesso lamentele di clienti di banca costretti a pagare tangenti per ritirare denaro dai conti correnti. Uno dei pochi allevatori di bestiame della zona mi ha raccontato che è costretto a pagare una quota annuale per ogni mucca o capra che possiede. Il Cabo Delgado è la provincia più trascurata del Mozambico. Afungi dista dalla capitale Maputo 2.200 chilometri, molti più di quelli che le truppe ruandesi hanno dovuto percorrere per arrivare in Mozambico nel 2021. I luoghi d’origine di alcuni soldati e funzionari che lavorano nella regione sono lontani anche tremila chilometri. Gran parte degli abitanti della provincia non parla il portoghese e perciò non ha modo di comunicare con chi rappresenta lo stato. Una delle dimostrazioni più assurde di questa forma di alienazione è stata vedere soldati ruandesi, che spesso parlano swahili, tradurre per i soldati mozambicani quello che dicevano i loro connazionali.

Nell’insediamento costruito dalla Total­Energies nella penisola di Afungi, le case nuove contrastano con le misere tende degli sfollati. Nel Cabo Delgado più di centomila persone vivono nei campi profughi. La maggior parte non è tornata a casa, neanche se viveva in aree che sono state pacificate già dal settembre scorso. Vorrebbe farlo, ma non ha il permesso.

La motivazione ufficiale del governo è che i posti da cui le persone sono fuggite non sono ancora sicuri. Ma come dimostra l’esperienza di paesi come l’Uganda o il Ruanda, dove in passato intere popolazioni sfollate o scappate nei paesi vicini a causa della guerra hanno dovuto trovarsi delle nuove case, non si costruisce un villaggio a regola d’arte per poi far tornare gli abitanti. Più spesso succede che i vecchi abitanti tornino in un posto e comincino a ricostruire partendo dallo stretto indispensabile.

Si è diffusa così la voce che alcuni funzionari corrotti del governo hanno interesse a mantenere gli sfollati negli accampamenti perché fanno la cresta agli aiuti delle organizzazioni umanitarie. Secondo un’altra versione, la decisione è motivata da ragioni di sicurezza: si pensa che gli sfollati abbiano familiari tra gli Al Shabab e che, una volta tornati a casa, possano fornire ai ribelli il sostegno per riorganizzarsi.

Il paradosso è che il Cabo Delgado è il posto dove il Frelimo aveva il suo quartier generale quando combatté la guerra d’indipendenza contro i colonialisti portoghesi. In Africa è raro vedere così abbandonata la regione d’origine di un movimento di liberazione nazionale vittorioso e di un presidente in carica. Allo stesso tempo non c’è tanto rancore verso Nyusi. È considerato da molti un uomo dalle buone intenzioni, ma che non riesce a trovare una via d’uscita dal ginepraio in cui si è perso, asfissiato dalla potente e corrotta macchina del Frelimo.

Tenuto conto delle sue enormi risorse e di una popolazione di appena 2,5 milioni di abitanti, pochi modesti investimenti nell’economia, nella sanità e nell’istruzione potrebbero cambiare molto il Cabo Delgado. Per il momento ci sono l’esercito ruandese e le forze inviate dalla Sadc a proteggere la provincia, e a concedergli la possibilità di avviare riforme fondamentali nel settore della sicurezza che potrebbero portare rapidamente a dei risultati.

Lo spazio per questa opportunità però si chiuderà presto perché i soldati stranieri non potranno vegliare per sempre sul Mozambico. Il tempo sta scadendo. ◆gim

Charles Onyango-Obbo è un giornalista ugandese, opinionista del settimanale The East African e di altri quotidiani del gruppo keniano Nation Media. È stato il direttore del Mail & Guardian Africa e caporedattore del Daily Monitor, il più importante quotidiano indipendente ugandese.

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Questo articolo è uscito sul numero 1458 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati