I dromedari hanno percorso scalpicciando il nord del Kenya, scortati da riservisti della polizia, per sette giorni prima di arrivare alla loro destinazione: più che un villaggio, una radura polverosa nella macchia, ma comunque un posto dove sta succedendo qualcosa di importante. Alcune persone hanno camminato per chilometri per essere presenti. Il governatore arriva a bordo di un suv. Le donne danzano e un maestro di cerimonie alza le mani al cielo. Quando la folla si raduna intorno al recinto dei dromedari, un uomo afferma di avere di fronte “il futuro”.
I dromedari sono arrivati per sostituire le mucche.
Nella contea di Samburu, come in gran parte del continente, i bovini sono da tempo immemore gli animali più importanti, la base di economie, diete e tradizioni. Oggi però i pascoli si riducono e le fonti d’acqua si prosciugano. Una siccità triennale finita nel 2023, che ha colpito tutto il Corno d’Africa, nel solo nord del Kenya ha ucciso l’80 per cento delle mucche, lasciando senza sostentamento un gran numero di persone.
Milioni di abitanti di questa regione dall’equilibrio fragile sono quindi costretti ad adattarsi ai cambiamenti climatici. Tra loro ci sono quelli che ora estraggono da un cappello i numeri corrispondenti a uno dei 77 dromedari appena arrivati.
“Che numero hai preso?”, chiede James Lelemusi, uno dei capi del villaggio, al primo che pesca dal cappello.
L’amministrazione regionale ha comprato i dromedari da alcuni commercianti che vivono vicino al confine con la Somalia, al prezzo di 600 dollari l’uno. Finora nell’ambito di quel programma sono stati distribuiti quattromila capi, accelerando un processo in corso già da decenni tra le popolazioni africane che dipendono dall’allevamento del bestiame.
Una sfortuna non indifferente
Negli ultimi vent’anni la popolazione mondiale di cammelli e dromedari è raddoppiata. Secondo l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) questo in parte è dovuto alla loro grande capacità di adattarsi al riscaldamento globale. Nei tempi difficili le femmine di dromedario producono più latte delle vacche.
Molti citano un detto: la vacca è la prima a morire durante la siccità, il dromedario l’ultimo.
“Se non fosse cambiato il clima, non avremmo comprato questi animali”, dice Jonathan Lati Lelelit, il governatore della contea di Samburu, che dista circa 380 chilometri dalla capitale Nairobi. “Abbiamo tanti problemi da risolvere, ma pochi soldi a disposizione. Non avevamo scelta”. Le autorità hanno selezionato i beneficiari del progetto, che ora si affollano intorno ai dromedari. Hanno posto, però, una condizione: che gli animali fossero usati solo per il latte, non per mangiarne la carne. Allo stesso tempo, i prescelti dai funzionari locali sono stati quelli più bisognosi: persone che hanno raccontato di aver perso intere mandrie, di aver percorso a piedi chilometri e chilometri per trovare l’acqua, di aver subìto le incursioni violente di altre popolazioni, perché si erano spinti nei loro territori in cerca di pascoli.
Eppure, un uomo è considerato il più sfortunato di tutti: Dishon Leleina. Prima della siccità Leleina, 42 anni, era un benestante per gli standard della regione. Due mogli e dieci figli, Leleina ricorda di essere stato sempre circondato da bovini. Ha addirittura ucciso dei tori – con una coltellata dietro la nuca – per festeggiare i suoi matrimoni.
Quando però hanno cominciato a saltare le stagioni delle piogge, la sua mandria di 150 capi si è ridotta come mai prima di allora. Decine di mucche sono state rubate dalla vicina popolazione dei pokot. Più di un centinaio si sono come avvizzite, assottigliandosi nella parte centrale del corpo e gonfiandosi nel resto. Alcune si addormentavano la sera e non si risvegliavano al mattino. Altre riuscivano ad arrivare a una fonte d’acqua, bevevano avidamente e poi crollavano a terra, morte. Spesso Leleina si è ritrovato a gridare al cielo tutta la sua rabbia, come quella volta che ha perso la sua migliore vacca da latte. Quando l’anno scorso sono tornate le piogge, gliene erano rimaste sette.
Prima della siccità “avevo una posizione”, racconta Leleina. “Ora non più”.
La sua routine, però, è rimasta la stessa: ogni giorno percorre chilometri insieme alla mandria. Consuma solo un pasto al giorno, come molti altri allevatori. È dimagrito e gli capita di svenire. Anche il giorno della distribuzione dei dromedari, nonostante l’evento duri fino al tardo pomeriggio, non si vede nessuno mangiare o bere.
Durante l’estrazione, Leleina si avvicina alla folla. Uno degli organizzatori registra su un foglio chi porta a casa quale animale. Alcune bestie sono grandi, altre piccole; alcune muscolose, molte magre. Non appena si estraggono i numeri, tutti i nuovi proprietari scattano per trovare il loro dromedario in mezzo alla folla.
È il turno di Leleina. Allunga la mano nel cappello. “Numero diciassette”, dice.
Si avvicina ai dromedari con il pezzetto di carta in mano e usa un bastone di legno per punzecchiare quelli che hanno il numero disegnato alla base del collo. Poi lo trova: è magro, di corporatura media, con un grande ciuffo di peli sulla gobba.
Gli dà una pacca sul dorso.
Il buio sta arrivando e lui dovrà percorrere chilometri per portarlo a casa. Perfino in un posto così inospitale il dromedario numero diciassette riesce a fare uno spuntino. Si fionda verso un albero di acacia e comincia a mangiarne i fiori, facendosi largo con la lingua tra le lunghe spine.
Pronti alle avversità
Si dice che cammelli e dromedari sembrino fatti con pezzi di altri animali: le zampe sottili di un levriero, il dorso increspato di un cavallo, il collo lungo di una giraffa nana. Tra i mammiferi, i camelidi sono straordinariamente attrezzati per far fronte alle avversità.
Possono sopravvivere anche due settimane senza bere, a differenza di una mucca che resiste uno o due giorni. Riescono a sopportare di perdere anche il 30 per cento del loro peso: è una delle soglie più alte per gli animali di grandi dimensioni. La loro temperatura corporea si adatta alle variazioni quotidiane del clima. Quando urinano, il liquido gocciola giù per le zampe e le mantiene fresche. Quando si accovacciano, le ginocchia coriacee si piegano come a formare un piedistallo, mantenendo la parte inferiore del corpo leggermente staccata dal terreno, in modo da permettere il passaggio rinfrescante dell’aria.
In un recente articolo scientifico i camelidi sono stati definiti una “specie miracolosa”. Eppure in gran parte dell’Africa, e per gran parte della storia dell’umanità, le loro caratteristiche non erano considerate necessarie. Per secoli sono rimasti confinati nelle regioni più aride del continente, mentre le mucche – che in Africa erano dieci volte più numerose – la facevano da padrone nelle pianure attraversate dai fiumi e negli altipiani.
Il governatore della contea si è detto “assolutamente” convinto che passare ai dromedari sia la mossa giusta
Il Kenya, dove in un’ora di viaggio in auto il paesaggio può cambiare da verde a rossastro per poi tornare verde, è stato a lungo un territorio intermedio: alcune popolazioni usano i dromedari e molte di più le vacche, una scelta che ha definito le rispettive identità.
Proprio per questo, comunità vicine si sono rese conto della differenza tra un tipo di animale e l’altro. La contea di Samburu – un’area grande quanto il New Jersey – si è trasformata in un grande esperimento su come rispondono gli esseri umani e il bestiame al riscaldamento globale.
Secondo la ricercatrice statunitense Louise Sperling, l’esperimento è in corso da cinquant’anni. I samburu erano tra i mandriani più “specializzati ed efficienti” dell’Africa orientale, ha scritto in uno dei suoi resoconti, ma sempre più spesso si mescolavano e si sposavano con persone di una popolazione vicina, i rendille, allevatori di dromedari.
Nei decenni successivi il clima ha cominciato a mutare, con piogge stagionali più scarse e meno prevedibili. E, cosa più importante: siccità più frequenti. La diffusione dei dromedari è stata graduale. Le vacche, però, sono rimaste a lungo più numerose ed erano usate nelle cerimonie o come dote, definendo l’identità samburu.
Poi nel 2020 è arrivata la terribile siccità. Secondo un’équipe internazionale di scienziati, la probabilità di una calamità così grave era stata centuplicata dal cambiamento climatico. Nella terra dei samburu, dove vivono circa 310mila persone, aleggiava la puzza delle carcasse degli animali. La malnutrizione si è diffusa, colpendo bambini e anziani. Il governo keniano e il Programma alimentare mondiale (Pam) sono intervenuti portando aiuti umanitari. Ma non bastavano per tutti.
Noompon Lenkamaldanyani, madre single di quattro figli, ha perso diciotto delle sue venti mucche e non aveva più latte, ma si è accorta che i vicini, con i loro dromedari, potevano aiutarla.
Lekojde Loidongo racconta che la sua famiglia “non ha sofferto molto”, perché le loro ventidue femmine di dromedario hanno continuato a produrre latte.
Anche Leleina, il nuovo proprietario del dromedario numero diciassette, si era reso conto che gli animali avevano reagito diversamente. Prima della siccità aveva tre dromedari. Sono sopravvissuti tutti.
Semmai rimpiange di non aver preso prima questa strada. Suo padre, morto nel 2021, era stato uno dei primi a scegliere i dromedari.
“In futuro”, dice Leleina, dando voce a una conclusione a cui sono arrivati in tanti, “prevedo di avere più dromedari che mucche”.
Anche per questo ci sono state pochissime reazioni negative all’annuncio di un programma governativo per la distribuzione di camelidi, lanciato otto anni fa. Alcuni si stanno procurando dei dromedari scambiando bestiame nei mercati. I pastori sono spesso considerati tra le categorie più vulnerabili di fronte ai cambiamenti climatici e la loro sorte può dipendere da quali animali decidono di allevare.
Uno studio del 2022 pubblicato su Nature Food, che analizza un’ampia fascia della parte nord dell’Africa subsahariana, rileva un aumento dello stress termico e una scarsità di acqua. Sottolinea quindi che la produzione di latte sarebbe favorita da una maggiore proporzione di camelidi, ma anche di capre, che a loro volta sono più resistenti delle vacche. Il latte di cammella è un perfetto sostituto di quello vaccino. Secondo Anne Mottet, esperta di bestiame del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad), è meno grasso e più ricco di minerali. Molti dicono che abbia un sapore più sapido.
“Stiamo solo seguendo le tendenze dettate dalla siccità”, osserva Lepason Lenanguram, che ha ricevuto un dromedario dalla contea di Samburu. “Ora tutti vogliono i camelidi. La cultura sta cambiando”.
Il governatore di Samburu si è detto “assolutamente” convinto che passare ai dromedari sia la mossa giusta. Ha osservato che la contea, mal collegata alla rete elettrica e all’acqua potabile, ha contribuito solo in minima parte alle emissioni globali di gas serra. Gran parte delle emissioni in aree rurali come questa coincide con il metano prodotto dai bovini. I dromedari non ne emettono molto.
Il programma della contea di Samburu prevede un dromedario a persona, ma è comunque sufficiente a tranquillizzare la gente. La pensa così Jeff Lekupe, direttore dell’ufficio stampa del governatore. Anche con uno solo una famiglia ha molte più possibilità di avere latte durante la siccità. E poi c’è un “effetto a catena”, dice. La femmina di dromedario può dare dei piccoli, facendo aumentare la popolazione.
“La prossima volta”, dice, “avremo molto meno bisogno degli aiuti del Pam”.
Sorge il sole
Per Leleina il dromedario numero diciassette simboleggia il primo passo di una ricostruzione, ma all’inizio le cose non vanno molto bene. Arrivato a casa, una proprietà circolare circondata da rami e cespugli spinosi, a un chilometro e mezzo dalla strada sterrata più vicina, l’animale comincia a litigare con gli altri tre dromedari. Si mordono. Strepitano. Incrociano i colli e smettono solo quando Leleina lega le zampe dell’altra femmina per impedirle di muoversi.
Quella notte Leleina stende un tappeto per terra davanti alla sua capanna e non riesce a dormire per l’agitazione. Ha sentito storie di dromedari che scappano – cosa che non succede quasi mai con una mucca – o non sono a loro agio nel nuovo ambiente; la femmina di un vicino è scappata ed è stata sbranata da un leone.
Perciò Leleina sorveglia per ore la nuova arrivata, che continua a bramire.
Alla fine sorge il sole. La femmina è ancora lì.
“Forse pensava al posto da cui è venuta”, dice l’allevatore.
Di mattina, quando è più tranquillo, la lascia uscire dal recinto per mangiare. Affida il compito di seguirla alla figlia di nove anni.
Dopo un po’, Leleina decide di raggiungerle. S’incammina in direzione di un altopiano di roccia rossa, percorrendo un sentiero in mezzo alla boscaglia. Di tanto in tanto s’imbatte in mucchietti di ossa mentre si avvicina a una zona dove sa che c’è del fogliame ma non dei predatori. Non sente rumori per cinque minuti, poi per dieci. Così urla il nome della figlia.
“Nashenjo”.
Poi, un minuto dopo: “Nashenjo!”.
A quel punto sente un rumore di animali: “I dromedari non sono lontani”. In mezzo a un cerchio di alberi scorge non solo il dromedario numero diciassette, ma un’altra manciata di animali che protendono il collo da un ramo all’altro. Alcuni sono i suoi. Gli altri sono del vicino. È un gruppo consistente di camelidi in un posto che un tempo apparteneva quasi interamente ai bovini.
E il loro numero è destinato ad aumentare. Durante la distribuzione del giorno prima, la femmina di un vicino è entrata in travaglio. Gli abitanti del villaggio si sono accovacciati accanto all’animale e hanno tirato fuori un cucciolo in salute.
Leleina si siede ai piedi di un albero e guarda gli animali che mangiano. La nuova femmina è ancora magra, ma è comprensibile. Ha bisogno di tempo per riprendersi: ha camminato 150 chilometri per arrivare fino a lì, marciando per sette giorni con tre pause per abbeverarsi.
Leleina si rende bene conto di quanto sia adatta alla sua nuova casa.
“È una sopravvissuta”, dice. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1567 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati