Le banche centrali, ossessionate dall’inflazione, cominciano a comprendere le difficoltà di milioni di potenziali acquirenti tagliati fuori dal mercato immobiliare a causa dell’impennata dei prezzi. Aspettarsi un loro intervento, però, è tutt’altra cosa. A luglio la segretaria al tesoro statunitense Janet Yellen si è detta preoccupata per “la pressione che l’aumento dei prezzi delle case metterà su chi ne compra una per la prima volta o su chi ha redditi più bassi”. A giugno Christine Lagarde, la presidente della Banca centrale europea (Bce), ha ammesso che “lo scollamento tra i prezzi degli immobili e gli sviluppi complessivi dell’economia comportano il rischio di una correzione dei prezzi”. I prezzi delle case, tuttavia, non rientrano in genere nel calcolo dell’inflazione previsto dal mandato delle banche centrali dei paesi avanzati. In altre parole, le banche centrali non sono tenute a tenere sotto controllo i prezzi quando si surriscaldano: il loro compito è mantenere la stabilità finanziaria, e per lo più non vedono nel mercato immobiliare una fonte primaria di rischio. Ci sono anche ragioni statistiche, spiegano inoltre gli economisti, se i prezzi degli immobili sono esclusi dal calcolo dell’inflazione.
Un bene che non si consuma
Gli statistici sono storicamente contrari a includere i prezzi delle case nel calcolo dell’inflazione. “Un indice dei prezzi al consumo serve appunto a misurare i consumi, mentre l’acquisto di una casa riguarda un bene che non è consumato allo stesso modo di altri”, scriveva nel 2016 l’Office for national statistics, l’istituto statistico britannico, spiegando i suoi criteri di valutazione degli effetti dei prezzi degli immobili sull’inflazione. Quest’interpretazione è condivisa da tutti i principali istituti statistici del mondo. Allo stesso modo in cui escludono le variazioni di prezzo di altre forme d’investimento, come le azioni, le obbligazioni o l’oro, gli statistici preferiscono non tenere conto delle proprietà immobiliari, in particolare quando si parla del costo dei terreni. In questo modo, però, i servizi abitativi che si acquistano comprando una casa – riparo, spazio abitativo, posizione e sicurezza del possesso – restano esclusi da buona parte delle statistiche ufficiali sull’inflazione.
Le soluzioni
Gli statistici concordano sul fatto che non c’è una soluzione perfetta. Alcuni metodi che sulla carta sembrano perfetti si sono rivelati inapplicabili nella pratica, mentre alcuni calcoli empirici hanno spesso evidenziato difetti teorici. Le autorità statistiche statunitensi, per esempio, misurano la variazione della rendita nominale delle case di proprietà delle persone. Il costo del canone di locazione, sostengono, è la migliore stima del consumo di servizi abitativi, anche se l’andamento degli affitti spesso diverge in modo significativo da quello dei prezzi delle case. Questo metodo basato sul “canone equivalente” è stato adottato anche dal Regno Unito nel 2017.
Nell’Unione europea, invece, l’Eurostat e la Bce usano il metodo delle “acquisizioni nette”, che cerca di misurare la variazione del costo d’acquisto delle case al netto dei terreni su cui sono state costruite. Ci sono ancora delle difficoltà, però, su come suddividere i prezzi delle case tra abitazioni e terreni.
Quest’anno, per l’ennesima volta (lo chiede dal 2000), la Bce ha chiesto all’Eurostat di inserire i costi delle abitazioni di proprietà nel calcolo dell’inflazione dell’eurozona. Nel 2007 Mervyn King, all’epoca governatore della Banca d’Inghilterra, dichiarò che il progetto non stava “andando da nessuna parte”, e da allora non è cambiato quasi niente. La stessa Lagarde ha ammesso che qualsiasi novità impiegherà diversi anni prima di andare a regime.
L’ufficio statistico britannico ha rilevato che tra il 2005 e il 2020 una misurazione basata sul metodo delle acquisizioni nette evidenzia un aumento del 65 per cento in più rispetto a una misurazione basata sul canone equivalente. Ma visto che ci sono molte altre componenti del paniere di beni e servizi usato per calcolare l’inflazione, questo aumento avrebbe avuto solo un effetto minimo sull’aumento complessivo dei prezzi. Un sistema alternativo, adottato nel vecchio indice dei prezzi al consumo del Regno Unito, consiste nel prendere in considerazione i prezzi delle case insieme ai tassi d’interesse dei mutui per calcolare la spesa mensile associata alla proprietà di una casa.
In base a questa misurazione, negli ultimi quindici anni il mercato immobiliare avrebbe fatto diminuire l’inflazione, perché dopo la crisi finanziaria del 2008 il taglio dei tassi d’interesse ha portato il costo dei mutui ai minimi storici. Lagarde ha detto che se si includessero le abitazioni di proprietà nel calcolo dell’inflazione dell’eurozona, l’effetto sarebbe “davvero minimo”.
“Ci sono periodi in cui questi costi a carico dei consumatori sono un po’ più alti e altri in cui sono un po’ più bassi”, ha spiegato la presidente della Bce.
Secondo Richard Barnwell, economista della banca Bnp Paribas, “si tratta di un fattore che difficilmente cambierà la politica monetaria. L’Eurostat ci metterà molto tempo a introdurre il mercato immobiliare nelle sue misurazioni e ancora non è chiaro come la Bce ne terrà conto nelle sue decisioni”.
Il mandato delle banche centrali
La scorsa primavera la Nuova Zelanda, primo paese al mondo, ha chiesto alla sua banca centrale di valutare gli effetti delle misure di politica monetaria sull’obiettivo del governo di garantire prezzi delle case più sostenibili. All’inizio sembrava un cambiamento significativo, che avrebbe giustificato un aumento dei tassi d’interesse nel caso di un rialzo prolungato dei prezzi.
All’atto pratico, però, la Reserve bank of New Zealand ha interpretato il suo nuovo mandato in senso restrittivo: intervenire solo quando i prezzi delle case sono ritenuti insostenibili. A maggio ha definito sostenibile qualsiasi livello dei prezzi che non si avvicini alla “zona bolla”, osservando che “fattori strutturali spiegano l’aumento dei prezzi delle case” e che i tassi d’interesse bassi rendono tollerabile il rialzo attuale.
La banca centrale neozelandese ha terminato il suo programma d’acquisto di titoli a luglio, ma Francesco Pesole, analista della banca Ing, sottolinea che l’istituto “non ha fatto esplicito riferimento all’inflazione dei prezzi degli immobili”, che invece “potrebbero aver avuto un ruolo”. Altri governi in cerca di una soluzione rapida al problema dell’aumento dei prezzi degli immobili affrontano lo stesso dilemma: un rialzo dei tassi d’interesse per tenere sotto controllo i prezzi rischia di alimentare la disoccupazione e di abbassare il tenore di vita, compromettendo la stabilità finanziaria.
Lagarde l’ha definito un “gioco di equilibri”. Probabilmente, quindi, i governi e le banche centrali continueranno a preoccuparsi del problema della sostenibilità dei prezzi delle case, ma con strumenti limitati per contrastarlo. ◆ fsa
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Questo articolo è uscito sul numero 1428 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati