Per giorni i carri armati israeliani hanno attaccato l’Unifil (United Nations interim force in Lebanon), la missione di pace presente in Libano dal 1978, quando fu creata da una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il 10 ottobre un carro armato Merkava ha sparato su una torretta di guardia nel quartier generale dell’Unifil, ferendo due soldati. Il giorno dopo sono stati feriti gravemente due caschi blu dello Sri Lanka, mentre il 13 ottobre due carri armati hanno prima sfondato il cancello di una base dell’Unifil lungo la linea di demarcazione tra Israele e il Libano e poi hanno lanciato granate fumogene, ferendo quindici persone.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha chiesto al segretario generale dell’Onu António Guterres l’immediato ritiro dei caschi blu, sostenendo che con la loro presenza fanno da scudo umano ai terroristi. I “danni” di tipo umano – cioè il ferimento o la morte di militari dell’Onu – sono “deplorevoli” e “vorremmo poterli evitare”, ha detto Netanyahu, proprio la persona che ha ordinato di aprire il fuoco.

Non importa che il Consiglio di sicurezza abbia dato all’unanimità il mandato all’Unifil di monitorare la tregua tra Israele e Hezbollah, di osservare i movimenti militari e di riferire al massimo organo dell’Onu. E non importa che attaccare la missione sia una gravissima violazione del diritto internazionale umanitario. Per non parlare del fatto che ordinare il ritiro alle diecimila persone della missione di pace non rientra neppure tra le competenze del segretario generale.

Per ora gli attacchi israeliani non hanno causato morti tra il personale dell’Unifil, con tutta probabilità per un caso fortuito. Ma quello che ha detto Netanyahu il 13 ottobre con tono dispiaciuto e compassionevole in realtà è una dichiarazione di guerra all’ordine globale, che va ad aggiungersi al rapporto avuto negli ultimi mesi da Israele con le istituzioni incaricate di farne rispettare le regole.

Nel fragore delle guerre che sta conducendo con attacchi aerei su Libano, Siria, Yemen, Cisgiordania e Gaza, potrebbe essere sfuggito il fatto che Netanyahu nel suo ultimo discorso all’assemblea generale dell’Onu a New York, alla fine di settembre, abbia definito alcune istituzioni internazionali uno dei “sette fronti” su cui Israele è impegnato. Il 13 ottobre il ministro degli esteri israeliano Israel Katz ha confermato che a Guterres è vietato l’ingresso nello stato ebraico, dichiarandolo “persona non grata”, neanche fosse il leader di uno stato canaglia.

In linea con i piani

Israele ha ignorato le richieste fatte a gennaio dalla Corte internazionale di giustizia (Cig), secondo cui dovrebbe tutelare di più i civili nella Striscia di Gaza, consentire l’arrivo di maggiori aiuti umanitari e prendere le misure necessarie per evitare un genocidio. Qualcuno nel governo israeliano ha invece più volte fatto riferimento all’eventualità di far morire di fame la popolazione di Gaza.

Il fatto che 400mila persone siano isolate nel nord dell’area di combattimento in territorio palestinese è in linea con i piani dell’ex consulente per la sicurezza nazionale Giora Eiland, che già nell’autunno dell’anno scorso raccomandava la diffusione di epidemie a Gaza “perché ci avvicinano al nostro obiettivo”. Tel Aviv respinge anche i ripetuti pareri della Cig secondo cui la Cisgiordania e la Striscia di Gaza sono territori occupati in violazione del diritto internazionale, quindi l’esercito israeliano dovrebbe andarsene.

Tutti nemici. O meglio ancora terroristi: la knesset, il parlamento israeliano, è a un passo dal definire ufficialmente l’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi, un’organizzazione terroristica, mettendola sullo stesso piano di Hamas. La principale ancora di salvezza per più di due milioni di persone ridotte alla fame nella Striscia di Gaza a quel punto non sarebbe più autorizzata a intervenire.

Le ultime notizie
Colpito ancora il Libano

◆ Il 15 ottobre 2024 Israele ha condotto nuovi attacchi nell’est e nel sud del Libano, dopo che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è impegnato a colpire “senza pietà” il gruppo libanese Hezbollah. Dal 23 settembre 1.315 persone sono state uccise in Libano e, secondo le Nazioni Unite, 700mila sono state costrette a lasciare le loro case.

◆Il 14 ottobre un raid aereo israeliano ha ucciso ventuno persone nel villaggio cristiano di Aitou, nel nord del Libano. È la prima volta che il villaggio è preso di mira dai bombardamenti israeliani, la maggior parte dei quali è diretta contro le roccaforti di Hezbollah nel sud e nell’est del Libano, e nella periferia meridionale della capitale Beirut.

◆Il 13 ottobre Hezbollah ha condotto un attacco con droni contro una base militare a Binyamina, nel nord d’Israele, uccidendo quattro soldati. È stato l’attacco che ha fatto più vittime in Israele dall’inizio della guerra aperta tra l’esercito israeliano e la milizia libanese.

◆Il 13 ottobre Netanyahu ha invitato l’Onu a “ritirare immediatamente” i soldati dell’Unifil, la forza di pace in Libano, dalla zona dei combattimenti. Il capo dei caschi blu Jean-Pierre Lacroix ha affermato che l’Unifil “resterà in Libano”. Nei giorni precedenti Israele aveva colpito le postazioni dei caschi blu nel sud del paese, causando alcuni feriti.

◆Il 13 ottobre gli Stati Uniti hanno annunciato la consegna a Israele di un sistema di difesa antimissile Thaad per contrastare eventuali attacchi iraniani.

◆Nella Striscia di Gaza la sera del 13 ottobre almeno ventidue persone, tra cui quindici bambini, sono morte in un bombardamento israeliano contro una scuola trasformata in rifugio per sfollati palestinesi nel campo di Nuseirat.

◆In una lettera datata 13 ottobre e inviata al governo israeliano, gli Stati Uniti hanno minacciato di sospendere una parte delle forniture militari a Israele in assenza di un miglioramento significativo della situazione umanitaria a Gaza entro trenta giorni. Afp


E la Germania? Si defila su tutti i fronti. Quando il carro armato israeliano ha sparato contro il quartier generale dell’Unifil, i militari tedeschi hanno detto al parlamento che la torretta di guardia era stata colpita “durante i combattimenti tra Israele e Hezbollah”. Ma Hezbollah non spara dall’interno della sede dell’Unifil. E non si può neanche sostenere che la torretta si trovasse casualmente sulla traiettoria del carro armato: quei colpi erano mirati.

La Germania ha aderito solo dopo ore alla protesta contro gli attacchi, formulata su iniziativa della Polonia e firmata da Francia, Spagna e Italia. E non ha sottoscritto la dichiarazione di sostegno a Guterres, firmata da 104 paesi dell’Onu. Forse Berlino non è poi quel “pilastro incrollabile delle Nazioni Unite” di cui si parla nel testo della sua richiesta di adesione al Consiglio di sicurezza nel 2027.

La politica tedesca apprezza i disastri naturali: in quei casi si può essere d’aiuto, quando ci si addolora per i duri colpi inflitti da un evento inevitabile. Ma la guerra sempre più sfrenata condotta da Israele non è né un terremoto né un’alluvione. Gli occasionali accenni al diritto internazionale umanitario cadranno nel vuoto finché il cancelliere tedesco Olaf Scholz continuerà ad appoggiare l’invio di armi a Israele (compresi i motori dei carri armati Merkava che sparano sui militari dell’Unifil) e a mettere in guardia da “una pericolosa escalation” esclusivamente l’Iran.

L’ordine globale è una costruzione fragile. Nessuna potenza da sola è in grado di imporlo: può reggersi solo grazie all’accordo tra i paesi che si impegnano ad accettarne le regole. Ma devono essere coinvolti tutti, perché un ordine che non si applica a tutti allo stesso modo presto non si applicherà più a nessuno. ◆ sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1585 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati