Il 7 giugno i dipendenti del gigante tecnologico sudcoreano Samsung Electronics hanno organizzato il primo sciopero nella storia dell’azienda. La Samsung Electronics è una delle case produttrici di smartphone più grandi del mondo, oltre a essere una delle poche a realizzare chip di memoria di fascia alta usati per l’intelligenza artificiale generativa, anche da importanti costruttori di hardware del settore come la Nvidia. Da gennaio i suoi dirigenti sono impegnati in un negoziato con il sindacato sui salari e sui benefit, ma le parti non sono ancora riuscite a trovare un accordo.
Il vicepresidente del sindacato nazionale dell’azienda, Lee Hyun-kuk, ha detto che l’azione collettiva è stata “in gran parte simbolica, ma è un inizio. Abbiamo in programma altri scioperi se la direzione non è disposta a comunicare apertamente con noi. Il sindacato non esclude uno sciopero generale a oltranza”. Il leader del sindacato Son Woo-mok ha aggiunto che “il primo sciopero alla Samsung Electronics” si è svolto con “l’uso di permessi retribuiti, e ha visto la partecipazione di molti dipendenti”.
L’azienda ha detto di essersi impegnata “con grande diligenza nelle trattative con il sindacato” e di “voler continuare su questa strada”, aggiungendo che la mobilitazione non ha avuto “alcun impatto sulla produzione e sulle attività economiche”. Il 7 giugno una decina di lavoratori ha protestato davanti alla sede principale dell’azienda a Seoul al grido di “rispettare il lavoro!”.
Samsung Electronics è l’azienda di punta della sudcoreana Samsung, il più grande dei conglomerati a guida familiare che dominano il mondo degli affari nella quarta economia asiatica.
Quest’anno ha offerto ai lavoratori un aumento di stipendio pari al 5,1 per cento. Il sindacato dice di essere “disposto a considerare positivamente” l’offerta se saranno riconosciuti anche un ulteriore giorno di ferie annuali e bonus basati sui risultati in modo trasparente. Secondo la società di ricerche di mercato TrendForce, che ha sede a Taiwan, lo sciopero non avrà alcun impatto sulla produzione dei semiconduttori di memoria. Lo sciopero coinvolge i dipendenti della sede centrale e non i lavoratori delle linee di produzione. Inoltre “le fabbriche sono in larga misura automatizzate e richiedono poca manodopera”.
Azione collettiva
La mobilitazione ha avuto comunque un’importanza storica, “perché a lungo l’azienda si è opposta alla sindacalizzazione dei dipendenti e ha fatto di tutto per distruggere le organizzazioni dei lavoratori”, spiega Vladimir Tikhonov, docente di studi coreani all’università di Oslo, in Norvegia. L’azione collettiva, prosegue Tikhonov, dimostra che “c’è una tendenza graduale verso una maggiore autonomia dei lavoratori in Corea del Sud”. La Samsung Electronics ha impedito la sindacalizzazione dei dipendenti per quasi cinquant’anni, adottando in alcuni casi tattiche definite feroci, il tutto mentre cresceva fino a diventare il più grande produttore di smartphone e semiconduttori al mondo.
Lee Byung-chul, il fondatore della Samsung morto nel 1987, si opponeva fermamente ai sindacati, affermando che finché fosse rimasto vivo non li avrebbe mai ammessi nelle sue fabbriche.
Il primo in effetti è stato costituito alla fine degli anni dieci. Nel 2020 Lee Jae-yong, nipote del fondatore e vicepresidente dell’epoca, si è scusato con “tutti quelli che hanno sofferto per i problemi di lavoro alla Samsung”, aggiungendo che avrebbe fatto in modo che l’azienda “non potesse essere criticata per vietare le attività sindacali”.
Il sindacato nazionale della Samsung Electronics, che conta circa 28mila iscritti, più di un quinto della forza lavoro, ha però dichiarato che finora la parola “sciopero” è rimasta un tabù.
I semiconduttori sono la linfa vitale dell’economia globale e sono il principale prodotto d’esportazione della Corea del Sud. Secondo i dati del ministero del commercio, a marzo hanno pesato più di un quinto nel valore totale delle esportazioni del paese. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1567 di Internazionale, a pagina 37. Compra questo numero | Abbonati