Deep river è un’epopea storica avvincente e imponente sulle alterne fortune di una famiglia d’immigrati, tre fratelli finlandesi nel paese dei taglialegna dell’Oregon, dal 1893 al 1932. E anche se la storia è vecchia di un secolo, parla dell’America di oggi. I tre fratelli, che fuggono dalla Finlandia occupata dalla Russia, sono figure archetipiche, simboli dell’ossessione americana per dio, il denaro e la politica. Ilmari vuole costruire una chiesa fiorente nella sua nuova terra promessa. Suo fratello Matti è un capitalista puro che vuole lanciare la sua azienda di legname. Ultima e più importante è la loro sorella, Aino, che da quando ha letto il manifesto comunista a tredici anni è diventata un’attivista. La sua abilità principale è quella di ostetrica, e questa diventa una metafora sempre più sottile: gran parte del romanzo ruota intorno al tentativo di Aino di ottenere migliori condizioni di lavoro per i taglialegna. Ciò che unisce i fratelli e molti dei loro compagni immigrati è il concetto finlandese di sisu, che comprende il coraggio, la grinta e la perseveranza. L’arma principale brandita contro quelli come Aino è la retorica. “Tutto ciò che devi fare è lavorare di più e risparmiare di più. Se non diventi ricco è colpa tua”, spiega il leader sindacale di origine svedese, che stringe amicizia con Aino. Marlantes non ha scritto una polemica allegorica sul capitalismo. Le sue preoccupazioni sono le fortune romantiche dei fratelli e i destini mutevoli dei lavoratori. Ma è attento alle risonanze tra il passato e il presente, dalle forze dell’ordine che soffocano il dissenso in nome della “sicurezza nazionale” alle folle populiste che si nutrono di bugie e violenza. Mark Athitakis, The Washington Post
Salvador, un insegnante da poco andato in pensione a causa di un problema psicologico – ammutolisce davanti ai suoi alunni – si trasferisce in un villaggio sulle montagne di Madrid, dove vive in una piacevole capanna. Qui incontra la dipendente di un negozio di alimentari, Montserrat. Molte cose li separano: lui è single, meditativo e ha 68 anni; lei ha 45 anni, è attiva, risoluta, divorziata e madre di un figlio. Tra loro si sviluppa una torrida storia d’amore. L’idillio dura quattro mesi e mezzo e comincia alla vigilia dell’allarme sanitario. La trama del romanzo, confinato in un ambiente chiuso e intimo, è poco più che una gruccia a cui appendere vari contenuti. In assenza di azione, il protagonista ritorna alla sua gioventù e rievoca una storia sconvolgente con un compagno di studi. Allo stesso tempo la storia è piena di riflessioni, inserite in una costante e fervente pirotecnica concettuale. Il grande tema del libro è l’erotismo. La passione diventa il veicolo che riscatta la specie umana dai suoi limiti e il mezzo per superare un’entità misteriosa e abissale, l’Oscurità, una minaccia in agguato che indica i pericoli del mondo che non comprendiamo. Con un gusto per il paradosso al limite dell’arguzia, Vilas passa in rassegna vari temi: l’identità; la crisi delle nazioni e la loro inesorabile scomparsa; la mancanza di polso della Spagna e dell’Unione Europea; il denaro; il sapere classico di fronte alla tecnologia schiacciante; la libertà individuale; la preminenza della politica su qualsiasi discorso. Vilas offre l’illusione dell’amore come lenitivo al bilancio negativo sulla natura umana e sulla sua deriva storica. Santos Sanz Villanueva, El Mundo
Spaventoso e febbrile, compulsivo e angosciante, Atti di sottomissione è un documento sull’amore tossico e manipolativo. All’inaugurazione di una galleria d’arte, la protagonista incontra un giovane e bellissimo critico, Ciaran, che la attrae con la sua calma zen e i suoi occhi “crudeli”. È un colpo di fulmine. I due vivono un breve e perfetto periodo d’amore, e poi cominciano a sabotarsi a vicenda con un entusiasmo che si spiega solo con la sfortunata e inebriante combinazione di carisma e brutalità di lui e dal fatto che lei è quasi pazza di desiderio. Poiché la protagonista pensa a Ciaran come a un dio, e all’amore come alla sua nuova religione, accetta che lui sia onnisciente e sempre giusto. Questa selvaggia relazione è un tetro promemoria dei modi in cui i sessi sono stati socializzati per essere in conflitto, anche nel romanticismo. Se è banale dire che uomini e donne vengono da pianeti diversi, è più difficile contestare che sono plasmati da esperienze diverse dello stesso mondo squilibrato.
Philippa Snow, The New Republic
Il folk horror è un genere in gran parte britannico, radicato nel paesaggio, nelle comunità rurali isolate, nella sovversione della pratica religiosa e nel sospetto che forze più antiche e pagane siano all’opera, seminando discordia, sospetto, caos e morte. È un genere che richiede un controllo magistrale del linguaggio e dell’atmosfera per funzionare, e a Hurley questo non manca. Richard e Juliette vivono in una remota fattoria nelle Yorkshire Dales, vicino a un terreno arido, cercando di affrontare la morte del figlio. Richard, studioso del paesaggio preistorico, è ossessionato (come lo era suo padre) dal campo adiacente: vuole scavare per trovare le tracce dell’enorme quercia di Stythwaite che c’era una volta, alla quale la gente veniva impiccata. Sua moglie intanto accoglie in casa dei mistici locali che promettono di liberarla dal tormento per la perdita del figlio. È una storia meravigliosa nel suo genere. Ma i suoi aspetti più ammirevoli sono la coerenza del tono, l’understatement e la padronanza del linguaggio. Andrew McKie, The Spectator
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