Cultura, numero 1444
Quando Kafka consegnò alla madre la sua Lettera al padre, sapeva che la sua missiva non avrebbe mai raggiunto il destinatario. Ma con quel testo ha creato una specie di genere. L’aria che mi manca di Luiz Schwarcz segue la tradizione inaugurata dallo scrittore ceco e ritrae in una lunga narrazione il rapporto silenzioso con il padre André, un ungherese arrivato in Brasile in fuga dai nazisti che è riuscito a sopravvivere solo grazie al sacrificio del padre. Il libro condivide con Kafka il tono di sfogo e di regolamento di conti, ma qui il duello è con l’autore stesso. Se la memoria può essere selettiva, questa scelta non si traduce necessariamente in un catalogo di gioie. Non è raro che la mente insista nel tirare fuori una collezione di dolori e angosce. L’aria che mi manca descrive il mistero familiare che circondava la famiglia Schwarcz e che, a poco a poco, ha portato a una depressione permanente in Luiz. I ricordi del narratore sono anche un invito a riflettere sull’identità brasiliana. Rievoca un’epoca in cui si viveva tra il rumore e il furore, ma anche tra le disuguaglianze, la povertà e un analfabetismo estremo. Il libro è un esperimento di ricostruzione e salvataggio, ma è anche un esercizio per guardare al di là di questa valle di ombre.
Jonatan Silva,
Escotilha
“Le nostre vite vanno avanti, la Terra sfreccia nello spazio a due milioni di chilometri all’ora e noi ci agitiamo in preda al panico sulla sua superficie come calzini dimenticati”. Con questa immagine surrealisticamente selvaggia e leggermente sconcertante (qualcuno ha mai visto calzini dimenticati che si agitano in preda al panico?), il narratore del nuovo romanzo di Fredrik Backman, Gli ansiosi, presenta la condizione umana alla luce di un principio fondamentale: non abbiamo assolutamente nessun controllo. Nel romanzo, un uomo in fuga dopo il suo tentativo fallimentare di rapinare una banca trasforma una visita immobiliare a un appartamento in vendita in una crisi di ostaggi. Un dramma che è già finito quando il sipario si alza. Tutti gli ostaggi sono rilasciati, ma quando la polizia prende d’assalto l’appartamento lo trova vuoto. Il rapinatore è riuscito a fuggire e – nel classico stile del giallo alla Agatha Christie, con una buona dose di commedia nera – la storia si svolge tra le deduzioni del narratore onnisciente e le interviste dei testimoni. Il cast di personaggi ha un tasso comico molto alto. Ci sono due indimenticabili maniaci dell’Ikea, un milionario disgustoso, una giovane donna incinta e, ultimo ma non meno importante, una persona seduta sulla tazza del bagno con un rotolo di carta igienica in grembo. Ma soprattutto c’è un’agente immobiliare infernale, una specie di mostro sorridente e sconclusionato. L’occhio sicuro di Backman per la malizia sociale rende le sue commedie umane efficaci e toccanti: gli effetti comici nascondono il dolore di vivere, che appare come un’ombra appena sotto la
superficie.
Ragnar Strömberg,
Göteborgs-Posten
Un anno fa Kamel Daoud ha passato una notte chiuso nel museo Picasso di Parigi. L’esposizione temporanea, Picasso 1932. Année érotique, mostrava i dipinti realizzati da un Picasso follemente innamorato di una nuova e giovanissima conquista, Marie-Thérèse Walter. La dipinge addormentata, o durante l’atto sessuale, “divorata”, dice Kamel Daoud. Sotto la penna del giornalista e scrittore algerino, questa “notte sacra” a contatto con l’arte occidentale diventa una messa in discussione della propria cultura. Una cultura che nasconde le immagini mentre quella occidentale svela, mette a nudo. La persona che si trova davanti ai quadri di Picasso quella sera è doppiamente estranea a loro. È uno scrittore, un uomo di parole, non un pittore. Il mondo musulmano da cui proviene preferisce la scrittura alle immagini, i veli alle esibizioni. “Il museo”, dice lo scrittore, “è un’invenzione occidentale”. L’erotismo è al centro dello sguardo di Kamel Daoud, che sembra invitato, per procura, alla stessa festa carnale del pittore: “Le religioni sono l’auto da fé dei corpi e io amo, in questo oscuro movimento di divorazione erotica, la prova assoluta che si può fare a meno di cieli, libri e templi”. Tuttavia, per come lo vede l’autore, nell’erotismo c’è una sorta di mistica. I quadri di Picasso sono “una tempesta congelata sotto vetro, l’immobilizzazione di un’allegria”. Tra oriente e occidente, tra il luogo da cui proviene e ciò che il pittore gli fa vedere nella notte, in segreto, Kamel Daoud non smette mai di navigare, riflettere, perdersi. Il suo libro è un labirinto, attraversato da visioni e pensieri lirici, a volte folgoranti. Il lettore vaga attraverso le pagine in un’oscurità trafitta dalla brillantezza impressionante della pittura catturata dalle parole. La donna, banchetto del pittore e dello scrittore, non necessariamente ne esce illesa, anche se in una visione finale, mattutina, diventa l’imam di questa strana cerimonia. Se l’ebbrezza delle parole di Kamel Daoud ogni tanto si perde, non mancano il brio, la fantasia romantica, una volontà forte e determinata di riflettere su ciò che riunisce e separa gli uomini, fino ad arrivare, a volte, all’estremo.
Eléonore Sulser,
Le Temps
Ryan Cusack, che già conoscevamo da Peccati gloriosi, il precedente romanzo di Lisa McInerney, è appena uscito dall’adolescenza ed è a un bivio: tornerà a scuola, sosterrà gli esami, si troverà un lavoro e accontenterà la sua amata ragazza Karine, o collaborerà con lo spacciatore che vuole che lui usi le sue origini mezze italiane e la sua conseguente scioltezza nel dialetto napoletano per negoziare un nuovo canale europeo per il suo commercio? Se siete annoiati dalle storie di giovani sbandati quasi quanto lo siete dai racconti sulla droga, serve un talento come quello di questa giovane scrittrice irlandese per superare queste avversioni. Una trama che scorre veloce e qualche sobria anche se implicita analisi sociale aiutano. Gran parte di questa storia è raccontata attraverso un dialogo che è allo stesso tempo esilarante e un po’ ingarbugliato. L’argomento può non avere un appeal universale ma la narrazione è intelligente, ricca e oscura.
Kerryn Goldsworthy,
Sydney Morning Herald
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