Mungo, quindici anni, mostra il tipo di fragilità che fa venire voglia di cullarlo. O di schiacciarlo. È il tenero eroe scozzese del nuovo e commovente romanzo di Douglas Stuart. È una storia di risveglio romantico e sessuale punteggiata da violenze orribili, un magistrale dramma familiare ambientato nella rovina economica di Glas-gow dopo il devastante regno di Margaret Thatcher. Un regno senza speranza, fatto di industrie demolite, abuso di sostanze e povertà. Il protagonista è un ragazzo, il più giovane di tre fratelli, cresciuto da una madre alcolizzata. Ambientato nei primi anni novanta, Il giovane Mungo alterna due parti a distanza di circa cinque mesi l’una dall’altra. Nei primi capitoli, ci viene presentata la famigerata famiglia Hamilton. Hamish, il fratello maggiore di Mungo, è tra i capi di una gang che odia la polizia, i cattolici e i “cagasotto”. Jodie, l’unica figlia, ha assunto tutte le responsabilità domestiche trascurate dalla madre egoista, che sparisce per giorni interi per inseguire un altro uomo o una bottiglia. Mo-Maw, come la chiamano loro, è un incubo di egoismo e vanità che sembra partorito dalla mente di Tennessee Williams. Ma Mungo ama Mo-Maw incondizionatamente. I capitoli più affascinanti del romanzo raccontano la nascente storia d’amore di Mungo con un adolescente di nome James. L’intero romanzo si basa sul panico per la presunta mascolinità in pericolo di Mungo. Stuart è capace di tirare le corde della suspense in modo straziante, esplorando con sensibilità la mente confusa di un ragazzo gentile che cerca di dare un senso alla sua sessualità.
Ron Charles,The Washington Post
Nelle prime cinquanta pagine di questo romanzo ci sono due incidenti aerei, l’inizio di un film hollywoodiano con scene di un incidente aereo e una nave affondata. Ci sono abusi infantili, adulterio e un presunto suicidio dopo un parto. C’è un bambino orfano di due anni e un padre mandato nel carcere di Sing Sing a causa della sua scelta di salvare i gemelli neonati dal naufragio di cui sopra. C’è anche un incontro con la morte all’interno di un’auto che arrugginisce in mezzo a un torrente. Insomma, il romanzo comincia subito volando alto. Il racconto di Shipstead segue la storia di due donne. La prima, Marian, è una delle gemelle naufragate. L’altra è Hadley Baxter, la star che è stata scelta per interpretare Marian sullo schermo. Raccontata in prima persona – i capitoli su Marian sono in terza – la storia di Hadley offre un punto di vista intimo e pungente, combinando la lucentezza logora e sbiadita di Hollywood con la vulnerabilità di una ragazza che cerca di lasciarsi alle spalle il suo vecchio io. Le tante storie di questo romanzo, pur diverse per forma e struttura, arrivano a costruire una narrazione solida. Il finale riesce a tirare tutti i fili in un modo che sembra allo stesso tempo emozionante e inevitabile. In un momento in cui molti romanzi sembrano investire nel sovvertimento della forma, Il grande cerchio preferisce la tradizione.
Lynn Steger Strong, The New York Times
Nel suo magnifico primo romanzo, Beata Umubyeyi Mairesse addomestica delicatamente i fantasmi e i silenzi. Quelli che si sono inseriti tra una madre, Immacolata, sua figlia Blanche e suo nipote Stokely. Tre generazioni disperse tra il Rwanda e la Francia, legate e non legate dal genocidio dei tutsi del 1994, dall’assenza del padre e dalla difficoltà di trasmettere la propria cultura a un figlio di etnia mista, che “vive sul confine”. La storia a tre voci è l’immagine di questa famiglia da riparare. Un groviglio di fili deboli pronti a rompersi, che solo il passare del tempo può sciogliere. Il suo fulcro è la relazione di Immacolata con Blanche, la figlia nata dal matrimonio con un francese, la cui storia apre il romanzo. Tutto comincia nel 1997 con una riunione fallita. Tre anni dopo il genocidio, Blanche torna in un paese dove la sua pelle chiara la rende una straniera, anche in famiglia. Immacolata è sopravvissuta, il suo fratellastro Bosco è tornato dal fronte. Tra loro, l’orrore ineffabile dei massacri. E per Blanche, il senso di colpa per non essere stata presente. Come se fosse un’evasione, la storia della madre è rivolta al figlio, piuttosto che alla figlia. A Bosco racconta la sua infanzia, la sua educazione dalle suore, il suo amore per il padre hutu, la sua unione con un francese, la sopravvivenza durante il genocidio. Con questo dialogo impossibile, Beata Umubyeyi Mairesse racconta come i silenzi possono forgiare una famiglia.
Gladys Marivat, Le Monde
Pubblicato quando Aurora Venturini aveva 85 anni, Le cugine racconta la storia di una famiglia tratteggiando le caratteristiche di tutti i suoi componenti. Lo fa alla maniera del realismo magico, ma andando oltre, perché l’unica magia del suo realismo è una forma di istrionismo che trasforma i personaggi in creature trascendentali. Ci sono solo donne; gli uomini sono scomparsi o meritano di scomparire, e i loro ruoli sono sempre spregevoli. Le cugine e le loro madri, le zie, l’intera famiglia, non compongono tuttavia un romanzo corale. La protagonista e narratrice è una sola, la pittrice di successo ribattezzata Yura Riglos, grazie alla quale la situazione economica della famiglia migliora. In questo romanzo sulle donne ci sono abusi, aborti, morti, vendette, sesso e prostituzione. È un romanzo che racconta la crudezza della realtà di tante donne sottoposte a un circolo vizioso che gli impedisce di essere indipendenti.
Aránzazu Miró, El Imparcial
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