Abdulrazak Gurnah ci regala una storia con un segreto al centro. Eppure, non c’è nulla di manipolatorio nel nascondere la verità, né la sensazione che l’autore si affidi a una scia di indizi per continuare a farci leggere. All’inizio il segreto non sembra altro che un litigio domestico. Salim ha sette anni e vive nella Zanzibar degli anni settanta, quando suo padre abbandona la famiglia. Sua madre dice che è andato via solo per qualche giorno. Ben presto diventa chiaro che si è trasferito. Il romanzo è diviso in tre parti. La prima ci racconta la vita di Salim a Zanzibar, che cresce in una famiglia felice spezzata in modo sconcertante. Quando lo zio gli offre l’opportunità di trasferirsi a Londra come studente, gli sembra una via di fuga. La seconda parte è la vita di Salim nel Regno Unito, quando comincia a capire meglio cos’è successo tra i genitori e scopre anche la tristezza della lontananza da casa. Fa parte della grande abilità di Gurnah il fatto che la domanda su cosa sia successo tra i genitori di Salim non domini né i nostri pensieri né quelli del protagonista. Solo nell’ultima parte, con il ritorno a Zanzibar, la forza di quella storia non raccontata si fa sentire, e ci rendiamo conto che nella struttura del libro c’è la rivisitazione di un’opera di Shakespeare. Dire quale rivelerebbe troppo. In ogni caso, l’eleganza della scrittura di Gurnah e la sua comprensione di quanto un cuore possa spezzarsi silenziosamente rendono questo romanzo profondamente gratificante. Kamila Shamsie, The Guardian
L’isola della nostalgia parla di lutti complicati e di conseguenze irrisolte: come si fa a raccogliere i pezzi dopo che è successo il peggio? Nelle pagine iniziali incontriamo Rosie Driscoll, “madre affranta di una bambina scomparsa, Saoirse, la sua primogenita, sparita davanti alla loro casa di Dublino otto anni prima”. L’isola della nostalgia non è però un romanzo giallo. Nella prima metà del libro, Griffin si concentra sulla storia di Rosie, nativa dell’isola immaginaria di Roaring Bay, sulla sua infanzia con un padre che guida il traghetto e su come, dopo aver studiato per ottenere il brevetto di capitana, Rosie lavori su quel traghetto, fino a quando non incontra suo marito Hugh e si trasferisce a Dublino. Scopriamo il lavoro di Rosie al porto di Dun Laoghaire, la sua vita coniugale come madre di due bambini e il suo recente ritorno a Roaring Bay. E tra la vita e la morte, come nel mito greco, perché a bordo dell’Aoibhneas Rosie si sente più vicina alla figlia. Griffin ritarda a rivelare le circostanze della scomparsa di Saoirse e, per gran parte del romanzo, vi fa riferimento solo attraverso degli accenni. Circa a metà finalmente conosciamo i dettagli importanti dal punto di vista di Rosie. Tempi. Luoghi. Testimoni. Le ricerche inutili. Il quotidiano della paura. La convinzione delirante che Saoirse possa essere ancora viva. Griffin naviga abilmente oltre l’intorpidimento di Rosie verso un granello di speranza all’orizzonte.
Catherine Kirwan, Irish Examiner
Babylon, esordio di Alejandro Varela, è ambientato in un sobborgo immaginario di quella che potrebbe essere New York, Filadelfia o un’altra grande città. Professore universitario in città, il protagonista Andrés è tornato a Babilonia per aiutare il padre malato e la madre badante. I suoi genitori, immigrati da El Salvador e dalla Colombia, si sono stabiliti in città per crescere Andrés e suo fratello maggiore, Henry. Il disprezzo di Andrés per la vita suburbana è evidente fin dall’inizio. Controvoglia, decide di partecipare alla riunione dei compagni di liceo. È in questi primi capitoli che Varela analizza l’esperienza suburbana come un macellaio esperto che smonta una carcassa. I ritratti dei genitori e del fratello di Andrés danno a Varela la possibilità di esplorare il peso psicologico e fisico della vita di periferia. Le crepe nelle fondamenta del romanzo cominciano a manifestarsi quando ci allontaniamo dalla riunione con la famiglia. Andrés è freneticamente nevrotico, uno stato che si riflette nella struttura del libro. Ci sono numerose sottotrame: un ex compagno di classe è sospettato di un omicidio a sfondo omofobico e un’altra, Simone, è ricoverata in un ospedale psichiatrico. È come se ci fossero troppi libri infilati in uno zaino.
Carr Harkrader, Washington Independent
Léonor de Récondo torna alla narrativa con un romanzo tormentato. Il titolo, tratto da una poesia di Charles Juliet, sottolinea l’assenza di una madre. Come ha fatto, nonostante questa inspiegabile scomparsa, la piccola Magda a costruirsi un laboratorio teatrale, trovando “l’amica, l’altra” nell’Antigone di Jean Anouilh? Trent’anni dopo, ormai attrice affermata, sta provando l’Antigone di Sofocle, che metterà in scena al festival di Avignone. Quando finalmente viene a sapere che sua madre Apollonia vive a Calonges, va subito a trovarla. In questo splendido paesaggio del sudovest della Francia, la donna vive in una casa fatiscente che Magda farà del suo meglio per riordinare. Questa parentesi di pochi giorni è anche, per l’attrice, un bruciante viaggio interiore. Alla madre, una donna distrutta che le oppone un muro di silenzio, l’attrice rivolge monologhi frammentati che rivelano quanto sia a pezzi. Uno scambio tardivo e inaspettato comincia quando Magda si prende cura della madre. Un romanzo doloroso, illuminato dalla tenerezza.
Monique Petillon, Le Monde
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