Con Babysitter, Joyce Carol Oates esplora la paranoia della classe media bianca statunitense alle prese con le minacce esterne che avverte per i suoi figli, le sue donne e la sua ricchezza, ma anche con i pericoli ancora più gravi che provengono dall’interno. Siamo a Detroit nel 1977. Mentre la città si sta ancora riprendendo dalle rivolte razziali di un decennio prima e sta sperimentando gli inizi della gentrificazione urbana, è colpita da una serie di brutali omicidi di bambini da parte di un criminale noto come Babysitter. I bambini, spesso orfani o in affidamento, e tutti bianchi, scompaiono e giorni dopo sono ritrovati morti, sdraiati come angeli, con le braccia incrociate sul petto e i vestiti puliti e lavati accanto a loro. Parallelamente, Hannah, una casalinga che indossa abiti di Dior, intraprende una relazione con un uomo misterioso conosciuto solo con le iniziali YK. Questo è un romanzo intriso di violenza verso i più vulnerabili, tutti nelle mani di uomini crudeli e dominatori. Anche dopo che YK l’ha violentata e quasi soffocata con un cuscino, Hannah pensa a lui come al suo amante, con tutta la tenerezza che questa parola implica. Arriva a mentire per difenderlo e nascondere la sua relazione con lui. Nel corso della narrazione s’intrecciano tensioni razziali e di classe. Nonostante l’orrore della storia, l’abilità narrativa di Oates e la sua maestria nella prosa creano uno studio avvincente sugli aspetti più brutti del desiderio umano.
Kimberley Long, Financial Times
Quando Mila, che ha una figlia piccola, riceve in Messico la notizia della morte di Citlali, annegata al largo delle coste del Senegal, la tristezza per la scomparsa dell’amica si mescola al ricordo dettagliato di quando formavano un triangolo inseparabile (che a volte tendeva a non essere equilatero) insieme a Dalia, negli anni precedenti all’università. In Punto croce, il romanzo della scrittrice messicana Jazmina Barrera, la geometria non è solo emotiva: la storia alterna una rivisitazione degli anni dell’adolescenza a frammenti dedicati alla tradizione del ricamo, un hobby condiviso dalle amiche, e a periodici ritorni nel presente da cui la storia è narrata, quando Mila sta preparando la cerimonia di addio per Citlali. Siamo immersi nei ricordi di Mila e seguiamo con lei la rete di eventi ed emozioni che hanno segnato l’adolescenza. I rapporti con le famiglie, le letture preferite, le rivalità nascoste tra le amiche e il sostegno reciproco che si offrono, i rapporti con i compagni di classe, tutto è raccontato in modo agile e intrecciato. Come altri libri basati sulla premessa di un amico morto, Punto croce insiste sull’enigma che siamo anche per coloro che ci sono molto vicini. Osservare gli altri, scrivere di loro, anche se non solleva mai il velo, lo scuote abbastanza da farci accorgere che c’è qualcosa sotto. Insomma, un lavoro senza fine che implica pazienza e ripetizione: la presenza del ricamo nel libro non è solo un espediente letterario.
Bárbara Mingo Costales, Letras Libres
Colombia, dipartimento di Chocó, sulla costa del Pacifico, una delle regioni più colpite dall’incuria dello stato e dalla barbarie di guerriglieri e paramilitari. Un’imbarcazione risale le acque dell’imponente fiume Atrato con a bordo, tra gli altri passeggeri, una madre bianca senza nome e un bambino nero, suo figlio, anche se non l’ha portato in grembo. La giungla, un caldo opprimente e l’odore aspro del pericolo, della violenza sempre in agguato come un serpente, anche se sembra dormire. L’approccio narrativo ricorda Cuore di tenebra, il viaggio fluviale di Marlow lungo il fiume Congo alla ricerca di un famigerato trafficante d’avorio. Ma se nel racconto di Joseph Conrad il viaggio finisce all’inferno e nella follia (“l’orrore, l’orrore”, sussurra Kurtz nella sua agonia), l’esordiente Lorena Salazar Masso propone un viaggio verso la luce, verso il sole che nutre la vita. Nel corso del viaggio emergono i veri protagonisti della storia: il fiume, che benedice e annega, il profondo senso di appartenenza a un paesaggio, la resistenza di un popolo, le relazioni che si instaurano tra le donne (“le trecce uniscono la proprietaria dei capelli e colei che li intreccia in un’intima complicità”) e la difficoltà di essere donna e madre.
Olga Merino, El Periódico
I bambini hanno preso il potere e hanno bandito l’uso del linguaggio, orale o scritto, stufi che gli adulti corrompano le parole riducendole a strumenti d’inganno. La messa al bando delle parole ha portato alla fine della gioia e del riso, sostituiti da immagini proiettate da Magma (metafora del sistema di controllo) in un flusso ininterrotto su schermi enormi, sia negli spazi pubblici sia in casa. In strada, severi bambini clonati si esercitano nel controllo dell’esperienza per mezzo di un dispositivo elettronico, il Thesaurus, che rileva le deviazioni e le punisce con l’esecuzione istantanea. Privato della parola, il protagonista è affascinato dall’incontro con una lettrice che si rivela una resistente, aggrappata al logos e alla risata, e questo incontro casuale innesca l’esile trama del romanzo. Una rivolta di bambini contro la depravazione delle parole non è plausibile, così come la successiva imposizione di un regime di silenzio, ma questa sinistra distopia, che non aspira alla verosimiglianza, è letterariamente efficace. Con un tono solenne, al limite del roboante, Orda centra in pieno il problema del travisamento del linguaggio.
Domingo Rodenas De Moya, El País
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