L’ultima fatica di Benjamín Labatut è allo stesso tempo un romanzo storico e un’incursione filosofica. Il genio di Maniac è il pioniere dell’informatica John von Neumann, che mostra “un’intelligenza sinistra, simile a una macchina”. Quando è perso nei suoi pensieri, è come se gli ingranaggi stessero girando, ma è anche come se “il divino scendesse a toccare la Terra”. Come raccontano i numerosi narratori del libro, spesso con un pizzico di risentimento, il matematico era in tutto e per tutto “un alieno tra noi”. Poteva vedere in altri mondi, però non sapeva allacciarsi le scarpe. Ma anche se non riusciva a compiere gesti semplici o a comprendere l’incoerenza e la capricciosità della sua specie irrazionale, eseguiva abitualmente imprese intellettuali che sarebbero state le pietre miliari della carriera di qualsiasi altro pensatore: ha contribuito a inventare la teoria dei giochi, ha gettato le basi matematiche della fisica quantistica, ha previsto come l’rna si sarebbe dimostrato in grado di comunicare con il dna quando, un decennio dopo, fu scoperta la doppia elica, e ha fantasticato sull’intelligenza artificiale molto prima che si materializzasse nelle sue forme più sofisticate. Il Maniac del titolo di Labatut è il Mathematical analyzer, numerical integrator and computer, un primo computer progettato da von Neumann negli anni cinquanta. Ma è anche von Neumann stesso. Il Maniac è un’opera di fantasia? O la chiamiamo finzione perché non abbiamo una parola migliore?
Becca Rothfeld, The Washington Post
Anne e Sigrid, madre e figlia, insegnante di scienze e medica. La più grande ha 67 anni, la più giovane appena quaranta. La loro casa è una piccola fattoria in un villaggio nella Norvegia occidentale. Sigrid si è trasferita da tempo a Oslo con il marito e i figli. Non sopporta il villaggio, il luogo in cui tutto è andato storto da quando era bambina. Non riesce nemmeno a dimenticare le cure insufficienti di sua madre, e il suo tradimento quando suo padre Gustav ebbe un ictus dopo l’altro. L’uomo ora è in una casa di riposo, distante nello sguardo e nei pensieri. Anne e Sigrid sono le narratrici in prima persona del libro e si alternano ritmicamente l’una con l’altra in ogni capitolo. Tra vecchi e nuovi rancori, amarezze e aspettative, la vita di Anne è quasi finita. Sta per andare in pensione e ne ha paura, ma poi prevale la stanchezza, le forze l’abbandonano. Ha un cancro, che sembra sotto controllo ma poi si diffonde. Flatland scrive in modo diretto, evidenzia il lato prosaico di questo dramma familiare. Le sue frasi sono ponderate e ben formate, ma non indulgono mai in sperimentazioni o abbellimenti. Mentre il testo procede senza scosse, il lettore può percepire e registrare tutte le emozioni che lo accompagnano. Fino alla fine è un romanzo che si ricorda a lungo. Il percorso di queste persone fragili può essere doloroso da leggere. Ma Flatland dimostra che il romanzo realistico ha ancora il suo posto nel mondo. Anche grazie a un finale eccezionalmente bello: vita e morte in un’unica soluzione.
Leif Ekle, Nrk
Una donna di cinquant’anni, Irene, ricorda il suo matrimonio con Marcelo, il più perfetto del mondo secondo lei, durato vent’anni. Da quando si sono conosciuti non c’è stato un giorno, forse nemmeno un’ora, in cui non si siano dedicati a coltivare un erotismo coinvolgente. La morte di Marcelo la lascia completamente impotente: lei si rifiuta di accettare la sua assenza ed elabora un piano per riportarlo in vita. L’idea prende la forma di un rituale mistico e profano che le permetterà di continuare a vivere con lui. Deve attrarre amanti successivi, uomini e donne, che al culmine del rapporto le permettono d’incontrare nuovamente il marito, di parlargli almeno, in cima a una scala. Ognuno di loro funziona come un medium. Sette di queste esperienze sono descritte in modo molto dettagliato, ma s’intuisce che ce ne sono state molte di più. La trama assume la forma di un diario di viaggio, sempre con il Mediterraneo sullo sfondo. Prima sulle coste spagnole, poi anche su quelle francesi e italiane. L’intera storia resta incontaminata dalla prosa della vita e non entrano in gioco le preoccupazioni comuni della gente, nulla che possa distrarre dall’impetuosa frenesia della passione e del sesso.
Santos Sanz Villanueva, El Español
Il titolo del romanzo di Karine Tuil riflette i temi cari all’autrice: la responsabilità individuale, le traiettorie interrotte e la difficile libertà di scegliere, tra menzogna e verità per esempio. Tuil si mette nei panni di una giudice alle prese con il terrorismo islamico nel 2016. Alma Revel ha fatto carriera fino a diventare coordinatrice dell’unità antiterrorismo di Parigi. Come i suoi colleghi, è oberata di lavoro e molto tesa. Il romanzo si apre quando la crisi raggiunge il suo apice. A cinquant’anni, la giudice occupa una posizione rischiosa e di grande responsabilità. Sposata da 25 anni, è anche una donna in procinto di perdere il marito. Ma lei aveva un amante, Emmanuel, un avvocato penalista. Lui e Alma hanno collaborato a un caso che li ha messi in pericolo. Nel 2016 l’islamismo colpisce. La scrittrice immerge il lettore nell’emergenza permanente che regna nell’unità antiterrorismo del palazzo di giustizia. Si parla di Siria e della radicalizzazione di giovani con “profonde fratture identitarie”. Karine Tuil non giudica le motivazioni alla base del loro odio. Sta a noi giudicare.
Virginie Bloch-Lainé, Libération
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