Sono passati trent’anni dall’assedio di Sarajevo, nato dalla disgregazione dell’ex Jugoslavia in fazioni serbe, croate e musulmane. Il romanzo d’esordio di Priscilla Morris è ambientato in questo conflitto terribile e caotico, e rimane radicato nella disordinata realtà delle strade. Zora è un’insegnante in crisi di mezza età, ma c’è molto di peggio in arrivo per lei. Di notte bande di uomini mascherati barricano le strade con divani ricoperti di filo spinato e al mattino i residenti – siano croati, serbi o musulmani – buttano giù le barriere che vorrebbero separare le loro comunità. I cecchini appaiono sui tetti. Si preparano quattro anni di bombardamenti e colpi di mortaio dalle colline vicine. Zora ha una figlia e una nipote in Inghilterra e all’inizio del conflitto manda la sua anziana madre e il marito Franjo a raggiungerle. Rimane intrappolata nella città assediata, dove ha una relazione appassionata con il proprietario di una libreria islamica, Mirsad. Organizzata su quattro stagioni di un anno, Le farfalle di Sarajevo suona autentico come un’esperienza raccontata in diretta. Morris è per metà jugoslava e il libro è liberamente ispirato alle vicende della sua famiglia. Il titolo si riferisce alle pagine bruciate dei libri che svolazzano nell’aria: “Frammenti bruciati di poesia e arte che si impigliano nei capelli della gente”, dice Mirsad. Zora è una pittrice e durante l’assedio continua a insegnare, mentre i suoi studenti si riuniscono in stanze gelide. In mezzo all’orrore della città distrutta, con i cadaveri per le strade, Morris sottolinea la resilienza, l’amicizia e la generosità delle persone che circondano Zora. C’è anche una sobria enfasi sul potere dell’arte: i quadri di Zora testimoniano che le guerre vanno e vengono, ma l’arte è immortale.
Phil Baker, The Times
All’inizio degli anni settanta l’idea di verità è in crisi. È ridotta dai suoi nemici a un’illusione collettiva. È l’habitat ideale per il fiorire di falsi e mezze verità utili alla propaganda politica. In questo terreno paludoso sguazza Basilio, soprannominato Ippopotamo per la sua grassezza, la voce narrante di Cari bambini. È un autore fallito che scrive i discorsi per Amelia, professoressa di storia che si ritrova candidata alle elezioni per un partito conservatore. Durante la campagna elettorale, Basilio e Amelia formano un duo complementare: lui, in qualità di consulente di comunicazione, mostra il più crudo cinismo con un unico obiettivo: conquistare voti. Contro di lui, Amelia rappresenta l’onestà di chi ha delle convinzioni. La doppiezza, l’inganno, il ricatto e l’illusionismo che Basilio gestisce così bene contaminano gradualmente Amelia. L’autoritratto di questo reazionario inverecondo, zotico intelligente, fustigatore del puritanesimo di sinistra, nemico delle regole, gaudente e rozzo, è forse il risultato più brillante del romanzo. La cronaca di una campagna elettorale immaginaria offre divertimento e irritazione, come ogni buona satira di costume.
Domingo Rodenas De Moya, El País
Le donne che popolano gli otto racconti di Ling Ma non sono semplicemente il centro delle storie. Mentre si muovono languidamente nel mondo, osservando e operando con freddo distacco, le loro scelte discutibili – pedinare un ex amante, fare sesso con uno yeti, vivere con il marito e cento ex fidanzati – alimentano la narrazione.
Questa raccolta sorprendente si basa sugli elementi del perturbante e del surreale. Alcuni racconti sono compiuti nella loro stranezza e ambiguità, altri sembrano abbozzi promettenti di narrazioni più solide, altri ancora si collocano nel mezzo. In uno dei testi più forti della raccolta, due amiche che si erano perse di vista trascorrono insieme una serata a base di droga per rivivere la loro giovinezza. Prendono la g, una potente pillola che può trasformare chi la usa in un fantasma. La storia si muove agilmente tra passato e presente, articolando il fascino, ma in ultima analisi la fallacia, delle amicizie basate solo su segni d’identità condivisi. Nonostante i nodi irrisolti, i racconti di Ling Ma colpiscono, e confermano il talento di una scrittrice che esplora con curiosità i limiti del possibile. S’intrecciano e si trasformano in modi imprevedibili, e anche se il viaggio non è sempre tranquillo il lettore non si pente mai di essere salito a bordo.
Lovia Gyarkye, The New York Times
Che conforto c’è nella verità? La domanda è rifratta in mille modi diversi nell’Ufficio delle correzioni storiche di Danielle Evans, una magnifica raccolta di sei racconti e una novella.
L’autrice esamina coraggiosamente i punti d’intersezione tra le vite dei bianchi e dei neri. L’immersione in questa inestricabilità è spesso fatale, per l’impatto di molte forme di violenza e costrizione. C’è anche un ritratto vivido, concreto e dai toni fantascientifici di un’agenzia governativa fittizia, l’Ufficio delle correzioni storiche, che identifica e corregge i falsi documenti dopo anni di notizie false. Tuttavia, a rendere coinvolgente questa raccolta è la costante attenzione all’amore nero, in particolare tra amici. Evans ritrae l’amicizia come una forma di dibattito riflessivo, che implica un impegno profondo. Si può dire che questo libro porterà i lettori ad affrontare il presente con un coinvolgimento ancora più forte per la devastazione che la storia ha portato ai personaggi di Evans e a tutti noi.
Chaya Bhuvaneswar, Washington Post
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