L’Italia è estremamente ricca di opere d’arte che devono essere restaurate. Ogni tanto un grande monumento finisce sotto la luce dei riflettori, mentre un altro scompare dalla scena per un po’. Mentre negli anni novanta i visitatori della cappella Sistina restavano meravigliati dalla rinnovata brillantezza della volta di Michelangelo, chi invece aveva scelto Pisa restava deluso. La torre pendente, che li aveva spinti a visitare la cittadina toscana e su cui speravano di poter salire, era chiusa e circondata da impalcature e da avvisi in cui si spiegava che in piazza dei Miracoli gli ultimi prodigi della scienza avrebbero finalmente fermato la progressiva inclinazione della torre. La questione, in quel caso, non era tanto il deterioramento di un’opera d’arte antica. Le soluzioni proposte erano nuove, certo, ma non il problema.
Le origini della torre risalgono al dodicesimo secolo, quando chi governava Pisa decise di celebrare il potere e l’autorità spirituale della città con la costruzione di una superba cattedrale di marmo, di un battistero e di un campanile. Il vicino Camposanto, un cimitero ricoperto di preziosi marmi, avrebbe completato il progetto. In quel luogo di incomparabile bellezza tutti i riti di passaggio – battesimo, matrimonio, morte e sepoltura – avrebbero ricevuto l’attenzione dovuta, ognuno salutato dalle campane della grande torre.
Instabilità simbolica
Le cose non andarono come previsto. La cattedrale, il battistero e successivamente il Camposanto furono completati come da progetto. Ma non la torre cilindrica. Poco dopo l’inizio dei lavori, infatti, il campanile iniziò a inclinarsi. I responsabili della costruzione capirono che il terreno alluvionale su cui poggiavano gli edifici era morbido e instabile, e che la grande massa cava e sempre più alta della torre la spingeva a inclinarsi, rischiando di crollare. I lavori furono ripetutamente sospesi e diverse generazioni di ingegneri cercarono di trovare il modo per stabilizzare la struttura precaria. Nessuno sapeva se il campanile sarebbe mai stato accessibile. Per più di un secolo la torre rimase senza campane (dunque senza funzione) e furono necessari duecento anni prima che l’edificio fosse completato. A quel punto, alla fine del trecento, Pisa aveva subìto una serie di sconfitte militari e di crisi politiche ed economiche e non era più la potente e orgogliosa città stato che piazza dei Miracoli avrebbe dovuto celebrare. Il grande campanile, concepito in un’era di trionfi, vide finalmente la luce in un periodo di profonda preoccupazione. Il doloroso ma impeccabile simbolismo di una torre sempre più inclinata era evidente anche per i pisani dell’epoca.
Da allora l’obiettivo costante degli esperti è stato rendere la torre pendente il più stabile e sicura possibile. Se la sicurezza fosse stata l’unica preoccupazione, la scelta migliore in diverse fasi della storia della città sarebbe stata quella di demolire il campanile o magari delimitarne l’area nell’attesa che la torre crollasse da sé, trasformandosi in una rovina storica a tutti gli effetti, simile ai fori imperiali di Roma. In alternativa sarebbe stato possibile ottenere un tipo diverso di autenticità provando a raddrizzare la torre e rendendola il più simile possibile alla struttura perpendicolare del progetto iniziale. Qualcuno ha sostenuto che la torre avrebbe dovuto semplicemente essere ancorata più in profondità, circondata e rinforzata da strutture di sicurezza o tenuta in posizione da una serie di pali, corde e cavi, in uno stato di sospensione permanente.
L’intreccio tra mito e storia ha dato una patina di inviolabilità al capolavoro difettoso
Varie leggende
Nel corso dei secoli i suggerimenti sono stati molto vari, in uno spettro che va dal molto pratico al bizzarro, fino all’inimmaginabile. Ma gli unici a essere stati seriamente presi in considerazione avevano come obiettivo la stabilizzazione della struttura, per lasciarla nello stato e nel luogo in cui si trovava (quando nel 1996 bruciò lo storico teatro di Venezia, La Fenice, tutti concordavano sul fatto che dovesse essere ricostruito com’era, dov’era) in modo che le generazioni future potessero continuare ad ammirare una splendida testimonianza del passato. Ma come?
Il problema non è mai stato esclusivamente ingegneristico. Alle considerazioni sulla sicurezza si sono affiancate valutazioni religiose, estetiche e finanziarie. Nel frattempo l’intreccio tra mito e storia ha aggiunto una patina di inviolabilità al capolavoro difettoso di Pisa. Gli abitanti della città hanno imparato ad amare la loro torre pendente, il cui evidente difetto è diventato parte della sua forza d’attrazione, non solo per i pisani ma anche per i visitatori provenienti dal resto del mondo. Al pari delle piramidi o della Sfinge, la torre ha attirato le leggende come un vecchio scafo attira i crostacei marini. Fin dai primi anni l’inclinazione è stata attribuita dal folclore a diverse forze maligne: la colpa era di un costruttore malvagio che aveva voluto vendicarsi dei padroni della città per la modesta paga ricevuta? O forse era opera dei nemici di Pisa (i genovesi, i fiorentini, i saraceni)? Oppure era un castigo inviato da dio ai pisani per la loro vanità e presunzione, come era già capitato ai costruttori della torre di Babele? O magari, all’opposto, il fatto che la torre non fosse mai crollata era il segno della grazia e della benevolenza divine? La produzione di miti non si è fermata lì. Si dice che Galileo sia salito in cima alla torre attorno al 1590 con due palle di cannone (o pietre) di pesi diversi facendole precipitare simultaneamente per dimostrare la sua tesi secondo cui la velocità di un oggetto in caduta non dipende dalla sua massa.
Nei due secoli successivi, con l’aumento delle opportunità di viaggiare, la notizia dell’esistenza di una singolare torre a Pisa si è diffusa tra i giovani che facevano il Grand tour. Per Shelley e i suoi amici (tra cui Byron e Leigh Hunt) Pisa diventò una sorta di quartier generale, una città ammantata di associazioni romantiche (soprattutto la torre) normalmente riservate alle rovine dell’antica Grecia e di Roma. Alla fine dell’ottocento, la torre di Pisa figurava stabilmente nel percorso turistico internazionale ed era diventata una sorta di Mecca per gli amanti dell’arte e della storia, oltre che una tappa finale immancabile per un’altra categoria di persone: gli sventurati decisi a mettere fine alla propria esistenza suicidandosi.
Per gran parte della sua storia, in pochi hanno creduto che la torre potesse davvero crollare. Dopo tutto era lì fin dal primo rinascimento e nel corso dei secoli l’aumento della sua pendenza era stato minimo. Fino a quando, nel 1902, un evento drammatico spinse il mondo a rivalutare le proprie certezze: il venerando campanile di San Marco, a Venezia, mostrò una crepa e poi crollò. Uno dei più famosi monumenti d’Italia, ammirato da generazioni di visitatori, era svanito nel nulla (in seguito è stato ricostruito accanto alla basilica, ma a distanza di sicurezza). Se era successo a Venezia, dove la struttura sembrava solida ed era perfettamente dritta, di sicuro poteva succedere anche a Pisa. E così furono create nuove commissioni, soprattutto da Mussolini negli anni venti e all’inizio degli anni trenta, e si fecero misurazioni, analisi della velocità del vento, bonifiche, scavi, iniezioni di cemento, aggiunta di zavorre, estrazione di suolo e installazione di contrappesi sul lato opposto rispetto a quello da cui pende. Ma la torre continuava a inclinarsi, costantemente sull’orlo della catastrofe.
Poi la torre ha dovuto affrontare un nuovo pericolo. Nel 1944, mentre le forze alleate risalivano la penisola, alcuni tesori storici venivano inevitabilmente danneggiati o distrutti. A Montecassino gli alleati bombardarono il grande monastero benedettino dove si riteneva fossero rintanate le truppe tedesche. La piazza dei Miracoli sembrò avviata allo stesso destino, ma fu risparmiata (anche se il Camposanto e le inestimabili opere che conteneva furono dati alle fiamme e gran parte del centro abitato a sud dell’Arno fu gravemente danneggiato).
Dopo la guerra la torre di Pisa riacquistò il suo status di edificio tra i più famosi del mondo, paragonabile nella sua immediata riconoscibilità alle piramidi, al Taj Mahal e alla torre Eiffel. Poi nel 1989 un campanile medievale crollò a Pavia, uccidendo quattro persone. Il clamore per quella catastrofe colpì in modo particolare Pisa, dove a gennaio del 1990 la torre fu chiusa al pubblico e venne creata una nuova commissione. Molti pisani, privati del loro prodotto più “vendibile”, osservarono con comprensibile cinismo l’opera dei nuovi esperti, alle prese con il più antico problema della città. Le perplessità della popolazione aumentarono nel 1995 quando la torre si inclinò ulteriormente avvicinandosi al crollo, anche a causa (si disse) delle misure adottate per metterla in sicurezza. Un anno dopo la commissione fu sciolta, ma nel 1997 un terremoto devastò Assisi, e così la commissione fu immediatamente riconvocata. La torre di Pisa andava salvata, e alla svelta.
Un nuovo capitolo della storia della torre, lunga ottocento anni, è stato scritto nel 2001. Undici anni dopo la chiusura e grazie a una spesa di 55 miliardi di lire (28 milioni di euro), il monumento fu finalmente dichiarato sicuro e riaperto al pubblico, permettendo ai turisti di tornare a Pisa e di salire i circa 290 scalini (non più di trenta persone alla volta). Il restauro aveva raddrizzato di 44 centimetri la torre, ma i visitatori impegnati a percorrere l’antica scala a spirale non sembravano accorgersene. L’esperienza, infatti, era simile a quella di salire le scale di una nave durante una tempesta, fatta eccezione per la mancanza di ringhiere o corde a cui aggrapparsi. Non era una missione per i timorosi, i deboli di cuore o le persone che soffrivano di vertigini. In cima alla torre (per chi riusciva ad arrivarci) si trovava un parapetto che si sporgeva di quattro metri e mezzo oltre la base della struttura, un’impressionante coffa pericolosamente sfasata su un oceano in tempesta e al contempo immobile. Chi aveva il coraggio di sporgersi poteva ammirare una splendida vista della cattedrale, della città e delle campagne circostanti. Dopo un attimo di calma, i turisti dovevano intraprendere una discesa vertiginosa quanto la salita, spostandosi di lato per fare spazio al gruppo che saliva. In nessun altro luogo del mondo l’idea di camminare “sulle orme della storia” appariva così significativa.
Il fascino del rischio
Perché le persone si sono sempre affollate per ammirare la torre pendente? La città è ricca di storia. Ospita una famosa università, è il luogo dov’è nato Galileo Galilei e vanta molti edifici storici e religiosi, tra cui una chiesa sulle rive dell’Arno dove si trova un reliquiario che contiene la Sacra spina, un frammento ligneo che si crede facesse parte della croce di Gesù. La magnifica piazza dei Cavalieri è impreziosita da un palazzo decorato dal Vasari nel cinquecento su incarico della famiglia Medici e trasformato da Napoleone in un’università all’inizio dell’ottocento. Ma è verso piazza dei Miracoli che si sono sempre diretti i turisti, trovando una testimonianza monumentale di un’epoca passata e piena di speranza.
La maggior parte dei visitatori entra nella superba cattedrale e nel battistero (ammirando le opere di Nicola e Giovanni Pisano) per poi dirigersi verso i vicini musei ricchi di tesori artistici e storici. Ma più di ogni altra cosa è la torre pendente a interessarli. Il campanile, come abbiamo visto, racchiude una gamma di elementi insolitamente vasta: storici, spirituali, estetici, finanziari, politici e scientifici.
Sembrano essere coinvolti anche imperativi psicologici più profondi. Il rischio ha sicuramente un ruolo cruciale. Così come l’elemento chiave del bungee jumping, del rafting, della corrida, delle gare di Formula 1 o delle performance degli acrobati è la tacita consapevolezza che potrebbe accadere il peggio (ma probabilmente non accadrà), l’attrattiva irresistibile della torre di Pisa sta nell’ipotesi che potrebbe crollare (e il visitatore con lei). Nessuno pagherebbe per salire sulle montagne russe se fosse eliminato il senso del pericolo. Allo stesso modo, la torre di Pisa perderebbe la sua speciale attrattiva se fosse “raddrizzata”. L’Italia è piena di torri medievali e rinascimentali su cui salire, ma nessuna è famosa come quella di Pisa, perché c’è qualcosa di profondamente elettrizzante in una torre che pende in modo così precario, con un inquietante e al tempo stesso rassicurante senso di sfida alle leggi della natura.
Pisa offre oggi una specie di luna park. È per questo che la gente viene a vedere, a farsi fotografare o a inerpicarsi fino in cima alla torre. Le riproduzioni della torre sono vendute a migliaia nelle bancarelle. Sono su libri, grembiuli, posacenere, caffettiere e cartoline. Inoltre troverete un altro tipo di souvenir, un po’ oltre la decenza: piccoli modelli di donne nude che abbracciano la torre, alludendo al suo aspetto fallico. A quanto pare il brivido del pericolo non è l’unica emozione forte suscitata dalla torre. ◆ as
Daniel Snowman è un saggista britannico. Il suo ultimo libro pubblicato in italiano è Il palco d’oro. La straordinaria storia dell’opera dalle origini a oggi (Castelvecchi 2016). Questo articolo è uscito su On History, un blog dell’Institute of historical research alla School of advanced study della University of London.
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Questo articolo è uscito sul numero 1462 di Internazionale, a pagina 37. Compra questo numero | Abbonati