A Cipro, isola divisa in due e in bilico tra Europa e Medio Oriente, vivono migliaia di libanesi fuggiti dal loro paese nel 2024, durante la campagna militare israeliana contro le postazioni delle milizie di Hezbollah nel sud del paese. Nonostante il cessate il fuoco raggiunto alla fine del novembre 2024, in Libano i bombardamenti non sono finiti del tutto e le forze armate israeliane occupano ancora alcune zone nel sud del paese. Per questo tanti hanno scelto di restare a Cipro con l’aiuto della comunità libanese che ci vive da decenni e in particolare grazie alla presenza storica della chiesa maronita, la comunità cattolica di rito orientale.
“La maggior parte dei libanesi che vivono a Cipro si concentra qui, nella zona di Larnaca”, spiega padre Akl Abou Nader, seduto alla scrivania nella canonica della sua parrocchia, San Giuseppe. “In quest’area vivono circa 35mila libanesi e di questi tra i 13 e i 15 mila sono maroniti. I numeri della comunità sono cresciuti con la guerra”. Durante l’ultimo conflitto in Libano il parroco ha dato un aiuto concreto ai libanesi che arrivavano sull’isola. Per molte famiglie il sostegno materiale della comunità maronita è stato fondamentale. “Tanti sono arrivati senza neanche i vestiti invernali, pensando di restare qualche settimana, e sono ancora qui. Li aiutiamo a pagare l’affitto e le spese mediche, forniamo supporto legale”, racconta il sacerdote. “Insomma li assistiamo nelle loro necessità fondamentali”.
A pochi passi dalla centrale piazza san Lazzaro, un panificio libanese sforna fin dal mattino pane con za’atar, una miscela di spezie a base di origano e timo. “Sono arrivato qui 21 anni fa, ho sempre lavorato nell’edilizia. Nel 2017 ho aperto questo negozio”, racconta Rony Frem, 52 anni, proprietario del panificio. Abitava a Beirut ma è originario di Jezzin, nel sud. Non vede un futuro per il Libano. “Chi può lascia il paese. Moltissimi affittano casa solo per pochi mesi, pensando di tornare appena possibile”. Anche perché, racconta Rony, vivere qui non è facile “Siamo accolti bene dai ciprioti, c’è solidarietà, ma il governo ospita i libanesi perché spesso sono ricchi, portano investimenti. Se non hai soldi la vita è dura”. Anche suo fratello l’ha raggiunto. “È arrivato con la famiglia nell’agosto 2024, perché cominciava già a essere pericoloso. Qui stiamo bene, ma purtroppo non possiamo sentirci al sicuro, la guerra non è lontana. Ho sentito che Cipro ha comprato da Israele il suo sistema antiaereo, l’Iron dome, e non è una buona notizia”.

L’arcivescovo maronita di Cipro, Selif Jean Sfeir, ci riceve nella sede arcivescovile a Nicosia. “C’è una storica comunità maronita cipriota che è arrivata sull’isola 1.200 anni fa dal Libano e dalla Siria, erano decine di migliaia e vivevano in 83 villaggi. Bisogna andare a Kormakitis, uno degli ultimi villaggi maroniti, per capire lo spirito della nostra comunità. Ora qui i maroniti sono circa diecimila, raggiungiamo i ventimila con la diaspora”.
A Nicosia ogni mercoledì sera un gruppo di maroniti si ritrova presso l’arcivescovado per le prove del coro. Cantano in greco e in arabo e per segnare la fine del canto la direttrice, Georgia Markou, alza in aria le braccia e stringe le mani a pugno. “Andava bene l’arabo?”, chiede a una persona tra il pubblico che segue le prove. “Era buffo ma andava bene!”, risponde ridendo il giovane mentre una ragazza dal coro lo guarda sorridendo. Maria e Georges sono una giovane coppia arrivata dal Libano. “Di cognome facciamo Kamar, vuol dire luna”, dice Maria. Vengono da Hadet, un paese nei dintorni di Beirut. Georges è arrivato nel giugno 2024 per lavorare, Maria l’ha raggiunto a settembre, quando stava cominciando la guerra. “Era un disastro”, racconta lei scuotendo la testa. “La comunità maronita è stata molto importante per noi, grazie a loro sono riuscita a trovare lavoro come fisioterapista. Partecipo anche al coro, è la terza volta che vengo alle prove”.

La storia alle porte
La crisi in Medio Oriente influenza Cipro sovrapponendosi agli storici problemi politici dell’isola, divisa de facto dal 1974: la Repubblica di Cipro (Roc), con capitale Nicosia, fa parte dell’Unione europea, mentre la Repubblica Turca di Cipro Nord (Trnc) è riconosciuta solo dalla Turchia e il governo di Nicosia la considera un’occupazione. Per questo di fronte a un possibile esodo di profughi dal Medio Oriente la linea verde che divide le due parti dell’isola, e che il governo della Roc non riconosce come confine, torna a essere calda.
“Come vedi ci sono resti di vestiti, cibo e pentole, perché spesso i migranti cercano di entrare da qui”, spiega un casco blu delle Nazioni Unite indicando tra le macerie nella buffer zone, la zona d’interposizione che divide anche la città di Nicosia. Per mesi le autorità della Roc hanno bloccato alcune persone nella terra di nessuno. La portavoce dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr)a Nicosia, Emilia Strovolidou, commenta: “Non lle facevano passare nonostante avessero comunicato agli agenti di polizia ciprioti di voler fare domanda di asilo. È fondamentale che l’accesso alle procedure di asilo sia garantito per coloro che richiedono protezione internazionale”. L’Unhcr e la missione Onu a Cipro hanno fornito aiuto umanitario di emergenza. “Vivevano in tende, senza né elettricità né acqua corrente”, racconta Strovolidou, sottolineando che “gli stati hanno la responsabilità di garantire l’accesso alle procedure di asilo, le condizioni di accoglienza e i servizi di protezione”. La situazione si è risolta a metà novembre con il trasferimento in una struttura di accoglienza nella Roc. Riguardo ai libanesi in fuga dalla guerra Strovolidou aggiunge: “Cipro ha accolto molti profughi libanesi nel corso degli anni. Ma all’Unhcr non risultano arrivi di profughi dal Libano dovuti ai bombardamenti aerei israeliani del 2024”.
“Quando è cominciata la guerra molti hanno fatto venire i propri familiari dal Libano, ma la maggior parte di loro vorrebbe tornare indietro”
In fuga
Anche nella zona nord dell’isola c’è una comunità libanese, anche se più piccola e in genere non cristiana. “Vivo qua dal 2021”, racconta Denise Diab, 40 anni “Abito nella parte nord di Nicosia”. Spiega che normalmente i libanesi che vivono qui hanno la cittadinanza della Trnc: “Chi ha parenti ciprioti può chiedere la cittadinanza. Ma non sono riuscita ad avere i documenti necessari per fare la richiesta al sud”. Denise spiega che ci sono “circa tremila persone di origine araba residenti a Cipro, i libanesi sono solo alcune centinaia”.
Anche al nord alcuni hanno trovato rifugio negli ultimi mesi: “Quando è cominciata la guerra molti hanno fatto venire i propri familiari dal Libano, ma la maggior parte di loro vorrebbe tornare indietro”, sostiene. “I miei genitori sono venuti qua quando sono cominciati i bombardamenti, ma sono tornati in Libano a dicembre: vivere qui è molto costoso e c’è il problema della lingua, per chi non sa il turco è dura”.

Il loro viaggio verso Cipro non è stato facile, racconta Denise: “Dal Libano sono arrivati in barca a Mersin, in Turchia, una traversata terribile. Hanno aspettato due giorni a bordo prima di partire, sono stati trattati molto male. Un uomo anziano che aveva bisogno di medicine è morto”. All’arrivo in Turchia, prosegue Denise, i suoi genitori “sono stati trattenuti alcuni giorni dalle autorità in condizioni non adeguate alla loro età e al loro stato di salute. Poi dalla Turchia per fortuna sono potuti venire in aereo”. Da qualche anno esiste un’associazione, di cui Denise fa parte: “È nata su iniziativa di alcuni libanesi, ma vorrebbe riunire tutte le persone di origine araba che vivono al nord. Da poco è stata registrata come associazione ufficiale”. Si chiama Arab cypriot association, spiega Denise: “Serve ad aiutare chi di noi è in difficoltà per le spese mediche, per il lavoro e per molto altro. È stata importante per aiutare le famiglie in fuga dalla guerra. Speriamo che possa servire ad avere una rappresentanza e a vedere garantiti i nostri diritti”.
Nuovi conflitti
A Larnaca soffia un forte vento di mare. Di fronte al castello, vicino alla spiaggia, si sono già radunate alcune centinaia di persone che srotolano striscioni e bandiere. È la manifestazione convocata dal Cyprus peace council, una marcia di protesta “contro la trasformazione di Cipro in una piattaforma di lancio per gli Stati Uniti e la Nato”. Lo stesso gruppo pacifista aveva organizzato a settembre una manifestazione di fronte alla base britannica di Akrotiri, retaggio del passato coloniale, da cui all’inizio del 2024 erano partiti gli attacchi allo Yemen.
“Cipro è vicina al conflitto, molti non ci pensano, ma basta guardare una mappa”, dice Mattew Stavrinides, giovane attivista del gruppo Genocide free Cyprus. Spiega che la collaborazione tra Israele e la Repubblica di Cipro non è una novità: “Pensate che nel 2017 l’esercito israeliano ha tenuto delle esercitazioni sulle montagne del Trodos, al centro dell’isola, per simulare operazioni di guerra nel sud del Libano”.
◆ La Repubblica di Cipro comprende secondo il diritto internazionale l’intera isola. Di fatto, però, dal 1974 il 36 per cento del territorio è occupato dalla Turchia, che ha proclamato la Repubblica Turca di Cipro Nord, riconosciuta solo da Ankara: negli anni del conflitto circa 150mila persone dovettero abbandonare la parte settentrionale dell’isola. Con il cessate il fuoco le Nazioni Unite istituirono una zona demilitarizzata (linea verde) che divide il paese.
◆ Più dell’80 per cento della popolazione è cristiana di confessione greco-ortodossa. La seconda religione è quella musulmana, praticata da circa il 18 per cento della popolazione, soprattutto nella zona turca. Sono inoltre presenti una minoranza armena e una cattolica, divisa tra fedeli maroniti di rito orientale (originari soprattutto da un’antica immigrazione da Siria e Libano) e fedeli di rito latino.
“È la bandiera più alta!”, esclama un giovane sorridendo, mentre con un cenno della testa indica la bandiera palestinese che sventola all’estremità della lunga canna da pesca che impugna. Ha 32 anni, è di Gaza: “Abito a Limassol”, racconta. “Sono qui da due anni, ma ho girato tanti paesi, sono andato via per lavorare. Cerco di partecipare a tutte le manifestazioni contro la guerra con i miei amici: la situazione è terribile, e non è un problema solo per la Palestina”. Camminando mostra sul proprio telefono la mappa della città di Gaza. “Questa era casa mia”, dice indicando sullo schermo. “In questo palazzo, proprio accanto all’ospedale Al Shifa, ora è tutto distrutto. Ma i miei genitori per fortuna stanno bene”. Doveva tornare a casa, ma è rimasto bloccato qua. “Avevo chiamato mio padre due settimane prima che cominciasse la guerra, gli avevo detto che sarei stato presto a casa, era felice. Appena sarà possibile tornerò, per ricostruire”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1606 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati