All’inizio di settembre gli scienziati dell’università della Florida, negli Stati Uniti, hanno confermato che un delfino tursiope, trovato morto a marzo in un canale lungo la costa del Golfo, era portatore di un tipo altamente patogeno di influenza aviaria. Il suo cervello era infiammato. Questo virus in genere infetta gli uccelli, ma a volte si spinge più lontano. Pochi mesi dopo la morte del delfino un altro mammifero, una focena, è stato trovato spiaggiato e indebolito sulla costa occidentale della Svezia. Poi è morto a causa dello stesso virus. Tra questi due eventi c’è stato un altro caso preoccupante in Colorado: un uomo è risultato positivo all’influenza aviaria. Era detenuto in una prigione dello stato e come condizione per il rilascio abbatteva polli in un allevamento che è stato colpito dall’infezione.
Non è l’unico essere umano che l’anno scorso è risultato positivo all’influenza aviaria, in particolare all’H5N1. Anche nel Regno Unito un uomo di 79 anni che viveva a stretto contatto con circa venti anatre domestiche si è infettato alla fine del 2021.
Se questi quattro eventi – un delfino e una focena morti e due uomini risultati positivi a un pericoloso virus aviario – vi sembrano scollegati e insignificanti, forse è perché non avete mai sentito parlare di viral chatter, cioè chiacchiere virali. L’espressione fu coniata qualche decina di anni fa da Donald Burke, un ricercatore dell’università di Pittsburgh esperto di malattie infettive, e si riferisce a quando un virus si diffonde dagli animali selvatici agli esseri umani provocando occasionalmente piccole catene di trasmissione. È un segnale di allarme che spesso è riconosciuto troppo tardi.
“L’idea delle chiacchiere fondamentalmente riflette un movimento avanti e indietro attraverso il confine tra le specie”, mi ha spiegato Burke undici anni fa. I virus degli uccelli si diffondono nei mammiferi e quelli dei pipistrelli negli esseri umani. Di solito queste infezioni occasionali arrivano a un vicolo cieco, il che è positivo. Ma l’occasionalità significa che c’è uno schema che si ripete, e questo è negativo, o almeno inquietante. Questo schema segnala alle persone attente come Burke che un virus “vuole” attraversare lo spazio che separa gli ospiti animali e gli esseri umani, e diffondersi.
Affermare che un virus “vuole” qualcosa equivale ad attribuirgli qualità umane, perché i virus non sono dotati di intenzionalità. In realtà è la pura opportunità, non la cattiva intenzione, a spiegare il loro comportamento. Ma l’antropomorfismo può essere utile: il “chiacchiericcio” dell’influenza H5N1 indica che il virus sta esplorando le sue possibilità tra i mammiferi. E dobbiamo tenere presente che queste possibilità includono anche noi.
Viviamo in un mondo di virus che si annidano in creature cellulari di ogni tipo: animali, piante, funghi, protozoi, batteri e microbi
Impegno insufficiente
Due questioni sul viral chatter preoccupano gli esperti di malattie infettive: stiamo ascoltando abbastanza attentamente per sentire cosa dicono? E siamo pronti a intervenire?
Non tutte le persone infette diventano il paziente zero di un’epidemia di vasta portata, tantomeno di una pandemia. Ma più eventi di questo tipo si verificano – più chiacchiere circolano – maggiore è la probabilità che un’infezione porti alla catastrofe. Viviamo in società densamente popolate e interconnesse, quindi siamo un’opportunità straordinaria per qualsiasi virus che infetta i mammiferi. L’H5N1 è solo uno dei molti sottotipi d’influenza aviaria che sono stati trasmessi agli esseri umani negli ultimi decenni e i virus influenzali sono solo alcuni di quelli in grado di superare il divario tra le specie. Ovviamente ci sono anche i coronavirus.
A luglio del 2003, dopo la fine dell’epidemia originaria di sars, sembrava che il virus non circolasse più tra gli esseri umani, anche se esisteva in natura. Ma quando comparvero quattro nuovi casi, tra dicembre del 2003 e gennaio del 2004, si scoprì che il virus si era diffuso di nuovo, attraverso un ristorante che serviva piatti a base di zibetto delle palme (ospite intermedio del virus). Ci furono due ricadute documentate di sars in un anno. Quante sono passate inosservate?
Il virus nipah, per fare un altro esempio, fu rilevato per la prima volta tra gli esseri umani in Malaysia nel 1998, quando passò dai pipistrelli ai maiali e da questi agli allevatori e ai commercianti di carne suina. I pipistrelli della frutta, che ne sono portatori, sono ampiamente distribuiti in tutta l’Asia meridionale. Da allora il nipah ha innescato decine di focolai in Bangladesh e nell’India orientale. Ha un tasso di mortalità del 75 per cento. Per fortuna, però, non passa facilmente da persona a persona anche se potrebbe farlo la prossima volta. Sentite il viral chatter?
“Non pretendo di essere un veggente”, mi ha confidato Burke. “Previsione” è una parola troppo forte per quello che fa. “Ma si può dire che in quest’area si ‘chiacchiera’ molto, che è una zona pericolosa e che questi virus sono preoccupanti”. Una previsione informata sulle aree a rischio permette di prepararsi alla pandemia seguendo due strade: la sorveglianza sulle infezioni criptiche e sui focolai incipienti, per individuarli precocemente; e una risposta forte e rapida per contenere i focolai prima che si diffondano.
La necessità di una robusta sorveglianza dei virus non è nuova. Poco dopo la sua fondazione, nel 1948, l’Organizzazione mondiale della sanità istituì un sistema globale di monitoraggio e risposta all’influenza, una rete di laboratori e centri di coordinamento progettati per identificare e tracciare i ceppi d’influenza, registrare le tendenze e controllare le risposte degli enti di salute pubblica di tutto il mondo. Questo sforzo oggi garantisce organi competenti in 124 degli stati che fanno parte dell’Oms e la condivisione di dati genomici ed epidemiologici a livello globale. Nel 2000 l’Oms creò la Global outbreak alert and response network, una rete destinata a sostenere i paesi in cui scoppiano epidemie locali per impedire che si diffondano in tutto il mondo. Negli anni successivi ci sono state altre iniziative. Ma di recente ho parlato con cinque esperti internazionali di influenza aviaria. Gli ho chiesto informazioni sulla sorveglianza e tutti mi hanno risposto, in modo diverso, che “non è adeguata”.
Uno dei modi migliori per attivare la sorveglianza è analizzare il sangue e altri campioni prelevati da persone apparentemente sane che sono in situazioni a rischio, come gli allevatori di pollame o maiali, o i venditori dei mercati di animali vivi, dove uccelli e mammiferi in gabbia producono escrementi e vivono in spazi ristretti. Poi in via preventiva si prelevano campioni della fauna selvatica con cui gli esseri umani entrano in contatto: le prede dei cacciatori, i roditori che infestano gli edifici, le anatre e le oche selvatiche che condividono con gli uccelli domestici spazi aperti per bere e mangiare. Queste cose in parte già si fanno in alcune comunità e nell’ambito commerciale, ma secondo gli esperti non è abbastanza. L’inadeguatezza della sorveglianza si spiega con gli errori organizzativi e la mancanza di finanziamenti. Ma anche con l’economia dell’industria avicola, il mercato nero degli animali selvatici e lo scarso impegno di alcuni governi. Nei paesi a basso reddito mancano tecnici e veterinari qualificati e c’è una certa resistenza alla condivisione dei dati e al controllo di persone sane ma a rischio. Infine pesa il sospetto reciproco tra le nazioni più potenti e dotate di risorse.
Sono carenze pericolose. Viviamo in un mondo di virus che si annidano all’interno di creature cellulari di ogni tipo: animali, piante, funghi, protozoi, batteri e altri microbi. Centinaia di migliaia di queste specie virali che vivono nei mammiferi e negli uccelli possono infettare un essere umano, che potrebbe trasmettere l’infezione a un’altra persona e poi a un’altra ancora. Se non sentiamo il chiacchiericcio, è perché non stiamo ascoltando. ◆ bt
David Quammen è uno scrittore e divulgatore scientifico statunitense. Tra i suoi libri pubblicati in Italia ci sono Spillover (Adelphi 2017), L’albero intricato (Adelphi 2020) e Senza respiro (Adelphi 2022).
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Questo articolo è uscito sul numero 1488 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati