Omar Degan è abituato a essere preso in giro quando si siede a un tavolo con dei costruttori. È un architetto che progetta edifici con spazi verdi e meno vetro possibile, ma al tempo stesso vuole che abbiano finestre grandi per far entrare più aria. I costruttori invece vogliono solo massimizzare i profitti.
Le differenze d’opinioni ci sono in tutto il mondo. Ma tra architetti e costruttori sono molto più grandi in un paese come la Somalia, dove le persone sono maggiormente preoccupate della sopravvivenza che della sostenibilità.
Omar Degan, 31 anni, vuole trasformare la capitale Mogadiscio. Una nobile ambizione per una città che negli ultimi trent’anni si è fatta conoscere soprattutto per le violenze, la pirateria e il terrorismo. La sua ostinazione l’ha fatto salire alla ribalta durante la frenetica ricostruzione della capitale negli ultimi anni. I suoi princìpi fondamentali sono la difesa dell’eredità culturale somala e la costruzione di edifici rispettosi dell’ambiente.
Degan ha progettato una moschea, un ristorante, una scuola con dei giardini e il reparto maternità di un ospedale. Nell’ultimo anno e mezzo il New York Times e la rivista britannica di design Wallpaper hanno parlato di lui. Ha tenuto dei corsi in cui ha mostrato agli studenti di architettura che fare progetti sostenibili per l’ambiente è possibile. Varie zone della Somalia faticano a uscire dalla povertà a causa delle guerre civili, ma al tempo stesso le coste del paese sono incontaminate. Questa situazione, secondo Degan, crea delle opportunità. “Per molti anni tutti hanno pensato che fossi pazzo”, racconta durante un’intervista su Zoom. Ma poi, sostiene, il mondo ha cominciato a occuparsi di più delle questioni ambientali: “Oggi finalmente hanno capito che quello che dico ha un senso”.
L’obiettivo di Degan è valorizzare la diversità culturale e il patrimonio somalo, progettando edifici con interni curvi e finestre concepite per far penetrare la brezza dell’oceano Indiano, spazi ampi e grandi aree verdi.
La guerra secondo lui è stata solo un capitolo nella storia di un paese che ancora conserva tracce di altre culture – come quella araba e quella italiana – in grado d’influenzare l’arte, la poesia e la musica somala. A motivarlo sono le sue origini: i suoi genitori erano somali e hanno lasciato il paese prima dello scoppio della guerra civile nel 1991. Degan è nato in Italia, dov’è cresciuto e ha studiato.
Ora ha uno studio negli Stati Uniti, uno in Europa e uno a Mogadiscio, che ha aperto nel 2017. Il suo lavoro, racconta, gli ha permesso di riportare alla luce alcuni elementi perduti dell’identità somala. “È stata questa la sfida principale: cercare di mostrare alle persone che puoi tradurre la bellezza della tua cultura, della tua identità, in uno spazio architettonico contemporaneo”, spiega.
◆ 1990 Nasce a Torino, figlio di immigrati somali.
◆ 2012 Si laurea in architettura al Politecnico del capoluogo piemontese.
◆ 2o14 Frequenta per un anno l’università di Hong Kong, dove svolge una ricerca sui villaggi dimenticati del paese.
◆ gennaio 2017 Fonda il Do architecture group, un’azienda che mette insieme architetti, designer e fotografi e si occupa di architettura sostenibile. ◆ ottobre 2017 Visita per la prima volta la capitale della Somalia, Mogadiscio.
◆ 2020 Pubblica il suo primo libro, Mogadishu through the eyes of an architect.
◆ gennaio 2022 Collabora con la Barack Obama foundation, l’ong fondata dall’ex presidente degli Stati Uniti.
La vera modernità
Quando è atterrato la prima volta a Mogadiscio è rimasto sconvolto dal nuovo aeroporto: nero, blu scuro e scintillante di pannelli di vetro. Una calamita per il calore, in una città in cui le temperature possono anche superare i quaranta gradi. Accanto c’era ancora il vecchio aeroporto: bianco e beige, con molti spazi aperti e aree verdi. “Mi sono chiesto chi fosse quel pazzo che aveva deciso di costruire un edificio nero in una città sulla costa in Africa”, ricorda. “Ho guardato i due edifici e ho pensato: ‘Dov’è la vera modernità qui?’”.
Il suo lavoro è una minuscola parte di quello che bisogna fare per cambiare il volto di Mogadiscio, in passato considerata la città più pericolosa del mondo. Ma oggi, visto che buona parte del paese è colpita da una forte siccità, progettare edifici efficienti dal punto di vista energetico e in armonia con l’ambiente è più urgente che mai.
Secondo le Nazioni Unite la Somalia è di nuovo “sull’orlo di una potenziale catastrofe”. Si stima che più di un quarto dei sedici milioni di abitanti sia colpito dalla siccità. Circa trecentomila persone sono state costrette a lasciare le loro case. A questo bisogna aggiungere l’instabilità politica, il paese non si è pienamente ripreso dal conflitto tra clan che ha visto l’ascesa della formazione jihadista Al Shabaab, vicina ad Al Qaeda, e una ramificazione locale del gruppo Stato islamico. Il 16 febbraio l’ultimo attacco di Al Shabaab contro un commissariato di polizia e un posto di blocco alla periferia di Mogadiscio ha provocato la morte di cinque persone. A breve sono previste le elezioni presidenziali che, se non saranno gestite nel modo giusto, potrebbero innescare ulteriori violenze.
Secondo Degan la guerra ha lasciato una brutta immagine della Somalia, che il mondo non riesce a dimenticare. Mogadiscio è spesso associata a caos e violenza, un po’ come Beirut nel mondo arabo. Inoltre la Somalia è tra gli ultimi tre paesi nell’indice di percezione della corruzione del 2021 stilato dall’organizzazione non governativa Transparency international. Anche per questo l’architetto libanese Aram Yeretzian sostiene Degan. Dopo aver lavorato per alcuni anni in Francia, Yeretzian è tornato in Libano alla fine degli anni novanta, mentre era in corso la ricostruzione postbellica. Anche se le opportunità erano molte, nessuno era interessato a sfruttarle, spiega Yeretzian, tra i fondatori del Consiglio per l’edilizia verde del Libano.
Ci sono voluti dieci anni perché un’organizzazione senza scopo di lucro lo contattasse per chiedergli di costruire una scuola. L’associazione non aveva i soldi per fare un sistema d’aria condizionata. Così Yeretzian sfruttò giochi d’ombra, realizzò doppi muri e un sistema di ventilazione incrociata. Yeretzian, che ora insegna all’università americana di Beirut, racconta che si è impegnato molto a diffondere un’edilizia sostenibile, ma che non è facile sensibilizzare le persone su questi temi, perché non sono ancora “ben radicati nella cultura”. Ma, come Degan, Yeretzian non vuole arrendersi.
Omar Degan spera ancora di poter cambiare le cose nel paese dei suoi antenati offrendo le sue competenze gratuitamente, formando gli studenti universitari e spingendoli a creare progetti sostenibili. “È come se fossimo al punto di partenza”, dice. “La Somalia può guardare a quello che sta succedendo negli altri paesi, imparare dai suoi errori ed evitare di ripeterli”. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1451 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati