Editoriali

Il tempo sta davvero per scadere

Il rapporto sulla mitigazione del cambiamento climatico pubblicato il 4 aprile dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) è allo stesso tempo un messaggio d’urgenza e di speranza. Prima di tutto di urgenza: ci restano appena tre anni per invertire la curva delle emissioni globali di anidride carbonica. Il picco dovrà essere raggiunto entro il 2025, e le emissioni dovranno dimezzarsi entro il 2030, per imboccare la strada giusta e fare in modo che l’aumento della temperatura globale resti al di sotto di 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali, l’obiettivo degli accordi di Parigi del 2015.

Se il pianeta si riscalderà di più crescerà la frequenza degli eventi estremi, come quelli descritti a febbraio da un’altra parte del rapporto, che si concentrava sui rischi: tempeste, ondate di calore, inondazioni, siccità. Secondo le centinaia d’esperti che hanno lavorato a questi rapporti, le prove sono evidenti. Con un riscaldamento di 1,5 gradi, entro la fine del secolo questi eventi triplicherannno. Saranno invece cinque volte di più rispetto a oggi se resteremo sulla strada attuale, che porta a un aumento di circa tre gradi. È questa la cattiva strada. È una constatazione dura, ma non senza speranza. Perché gli esperti dell’Ipcc delineano nel rapporto le soluzioni per seguire la buona strada: energie rinnovabili, isolamento degli edifici, riduzione del consumo di carne, giustizia sociale e climatica. È possibile, ma è anche probabile? Sì, se cittadine e cittadini parteciperanno più attivamente alla trasformazione della società, dice Julia Steinberg, coautrice del rapporto.

La pandemia di covid-19 ha interrotto un movimento promettente, quello dei giovani che scendevano in piazza per il loro futuro. Ma un altro evento permette indirettamente di rimettere la questione climatica al centro dell’attenzione: la guerra in Ucraina. L’embargo sul gas russo e il crollo delle esportazioni di grano ucraino sottolineano la scarsa resilienza delle nostre società di fronte all’instabilità. È il momento di riprendere il dibattito su cosa fare per il clima, includendo tutti quanti, su scala locale e mondiale. Non tra qualche mese, non tra cinque anni, ma adesso. ◆ as

Nel Mediterraneo si muore ancora

Medici senza frontiere ha reso noto che il 2 aprile più di novanta persone sono annegate nel Mediterraneo mentre cercavano di raggiungere l’Europa su un barcone. L’organizzazione ha chiesto che i quattro sopravvissuti non siano riportati in Libia, dove rischierebbero di essere nuovamente sottoposti ad abusi e torture. A metà marzo i cadaveri di altri 17 migranti erano stati scoperti sulla costa tunisina.

Gli episodi di questo tipo sono dolorosamente frequenti in quella che è considerata la rotta migratoria più pericolosa del mondo. A febbraio l’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha rivelato che nel primo semestre del 2021 almeno 1.161 migranti sono morti in mare tra il Nordafrica e l’Europa, il 155 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2020. Solo nel Mediterraneo centrale sono morte 769 persone. Dal 2014 i morti sono 18mila. Le autorità europee non solo si disinteressano della sorte di quelli che si affidano al mare nel disperato tentativo di trovare rifugio, ma li ostacolano in modo sistematico, arrivando a processare le organizzazioni che cercano di salvare i naufraghi. Il contrasto tra l’ostilità disumana nei confronti dei migranti africani e mediorientali e la solidarietà garantita ai profughi della guerra in Ucraina dimostra che per i governi e alcune parti delle società europee anche i più elementari obblighi umanitari sono distorti dal razzismo.

Più in generale, l’indifferenza davanti alle persone che fuggono da conflitti, regimi autoritari o povertà rivela tutta l’ipocrisia dell’occidente e smentisce la retorica dell’Unione europea sul rispetto della vita e i diritti umani. Se consideriamo che i conflitti e la povertà nei paesi di provenienza dei migranti sono spesso causati proprio dai paesi occidentali – è il caso della distruzione dello stato libico, dell’instabilità cronica di molti paesi africani o della guerra in Siria e Iraq – appare chiaro che i leader europei devono fare ancora molta strada sul rispetto dei diritti prima di ergersi a paladini di questi valori davanti al resto del mondo. ◆ as

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1455 - 8 aprile 2022
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