Editoriali

I soldi cambiano il clima

Il fallimento della conferenza sul clima in Egitto è stato evitato, almeno per il momento. Il tema delle perdite e dei danni è al centro del vertice. Ora cominciano i negoziati per decidere chi dovrà pagare per i danni provocati dal cambiamento climatico. La questione è sul tavolo da almeno trent’anni, e finora gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno bloccato qualunque discussione al riguardo: i principali responsabili della crisi climatica temono di dover affrontare richieste di risarcimento potenzialmente illimitate. Ma la pressione dei paesi in via di sviluppo è diventata troppo forte: una conferenza organizzata in un paese africano non poteva evitare l’argomento.

Questo sviluppo potrebbe inaugurare una nuova fase nella diplomazia globale sul clima, perché sui soldi non si scherza. Potrebbe aprire una frattura insanabile nella comunità internazionale, oppure portare finalmente a una soluzione della crisi climatica. Per anni i paesi industrializzati dell’occidente, e più di recente molti paesi emergenti, sono rimasti a guardare mentre i gas serra si accumulavano nell’atmosfera e la Terra si riscaldava, fino a toccare 1,15 gradi in più rispetto all’era preindustriale. Gli effetti sono già devastanti, e il mondo è destinato a scaldarsi molto di più. Allo stesso tempo le società hanno accettato passivamente che i responsabili si arricchissero a dismisura. Nel secondo trimestre del 2022 le sei principali aziende petrolifere hanno registrato 57,2 miliardi di euro di profitti. In tre mesi! Certo, questo denaro muove l’economia, ma per quanto riguarda i bilanci degli stati il calcolo si è già rovesciato. Dopo l’inondazione della valle dell’Ahr, nel 2021, la Germania ha dovuto spendere 30 miliardi di euro. In che modo paesi come il Pakistan o la Nigeria, recentemente colpiti da alluvioni devastanti, possono raccogliere cifre simili?

L’occidente deve chiedersi quanto vuole essere stupido. I profitti a breve termine sono ancora la priorità? La Germania vuole finanziare l’estrazione di gas in Senegal, poi acquistare quel gas a caro prezzo, e dopo qualche anno pagare i danni di una terribile siccità in quello stesso paese? Stati come la Cina, l’Arabia Saudita e il Qatar, che non hanno ancora versato nessun contributo, si troveranno al centro dell’attenzione, così come la finanza, che continua a investire troppi miliardi nei combustibili fossili. La questione dei risarcimenti mostra che il riscaldamento globale può scatenare enormi conflitti. Probabilmente ci vorranno anni prima che le somme siano effettivamente versate. Ma la comunità internazionale non ha altra scelta se non smettere di premiare chi danneggia il clima. ◆ gac

Una speranza per tutta l’Africa

In Africa è finita una guerra, almeno sulla carta. Il governo etiope e i ribelli del Tigrai hanno firmato un accordo di pace a due anni dall’inizio del conflitto. Quella che è stata definita “la peggiore crisi umanitaria al mondo” è costata la vita a mezzo milione di persone, ha creato tre milioni di profughi e ha spinto cinque milioni di etiopi sull’orlo della fame. Ma da questa tragedia potrebbe nascere un’occasione di pace e democrazia per l’Africa.

L’accordo, raggiunto dopo dieci giorni di trattative a porte chiuse in Sudafrica, riafferma i princìpi cardine di giustizia che i negoziatori africani hanno messo a punto negli ultimi trent’anni: pazienza, umiltà e riconciliazione. Prevede la fine immediata delle ostilità, il disarmo dei combattenti tigrini e la loro integrazione nell’esercito etiope, e il libero afflusso degli aiuti umanitari nella regione. Ma anche un compromesso tipicamente africano: da un lato riafferma l’integrità territoriale dell’Etiopia e “il ritorno dell’ordine costituzionale in Tigrai”, dall’altro promette “un sistema di giustizia di transizione per garantire la verità e la riconciliazione”. Queste misure cercano un equilibrio tra il desiderio del premier Abiy Ahmed di guidare un paese che non sia più solo un instabile insieme di gruppi etnici e la paura dei tigrini di perdere il diritto all’autodeterminazione.

Due anni di violenze e dieci giorni di trattative hanno riavviato il percorso dell’Etiopia verso un’identità basata su valori condivisi invece che sulle divisioni etniche. Questo passo avanti ha avuto un costo enorme. Ma quello che succederà ora potrebbe rafforzare la fiducia nella democrazia in tutta l’Africa. ◆ as

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1486 - 11 novembre 2022
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