L’uovo

In Guatemala, mentre guidate per le vie della capitale, all’improvviso un uovo crudo precipiterà sul parabrezza. La vostra reazione iniziale, dopo aver lasciato partire una serie d’insulti, sarà ovviamente quella di azionare i tergicristalli, ma questo peggiorerà solo la situazione. Il tuorlo si spalmerà su tutto il vetro e, in mezzo a quella macchia giallognola, non riuscirete a vedere più nulla. Quindi, dopo uno o due isolati, sarete costretti ad accostare e a scendere dall’auto per cercare di pulire il vetro in qualche modo. E gli aiutanti dei ladri di macchine lancia-uova saranno lì ad aspettarvi con le pistole in mano.

La stazione di servizio

State guidando su un’autostrada, magari in qualche regione montana del paese rigogliosa e deserta, e vi accorgete che il serbatoio è quasi a secco. Vi fermate a fare rifornimento alla prima stazione di servizio che incontrate. Non troverete mai un self service e il benzinaio sarà quasi sempre gentile ed educato. Vi controllerà le gomme e l’olio, e pulirà il parabrezza anteriore e posteriore con uno straccio sporco. Così, dopo aver pagato la benzina e dopo avergli dato una mancia adeguata o addirittura generosa, vi rimettete prontamente in marcia. Pochi chilometri dopo, però, notate che avete una ruota a terra e siete costretti a fermarvi per cambiarla accostando di lato, su un tratto completamente desolato dell’autostrada.

Proprio in quel momento, come per miracolo, dallo specchietto retrovisore vedete due uomini in motocicletta. In men che non si dica vi raggiungono, scendono dalla moto e vi propongono di aiutarvi a cambiare la gomma. Voi vi sentite sollevati e riconoscenti, prima di vederli estrarre le pistole e rubarvi tutto quello che avete.

Naturalmente non vi siete accorti che la moto era parcheggiata dietro la stazione di servizio, in attesa, mentre il benzinaio gentile ed educato sistemava un chiodo sotto una delle gomme quando era inginocchiato e faceva finta di controllare la loro pressione.

Pablo

A Città del Guatemala è normale essere rapinati mentre si è fermi in auto al semaforo. Qualcuno vi punta un coltello dal finestrino aperto oppure bussa al vetro con una pistola e vi chiede di consegnargli in fretta il cellulare, l’orologio, gli anelli e le collane, il portafoglio o la borsa. Per difendersi da queste rapine improvvise alcune persone hanno preso l’abitudine di non fermarsi mai completamente al semaforo o di passare con il rosso, soprattutto la sera tardi e nei quartieri più malfamati. Altri, invece, usano un metodo più creativo e rispettoso della legge: guidano con un manichino seduto accanto. Lo comprano, lo vestono di tutto punto (è sempre un uomo) e poi lo sistemano sul sedile del passeggero con la cintura di sicurezza ben allacciata. I rapinatori – secondo il loro ragionamento – ci penseranno due volte vedendo che nell’auto ci sono due persone, anche se in realtà una è solo una grossa bambola di plastica.

Una volta, una bella e brillante signora di mezza età mi ha raccontato che per rendere il trucco più convincente guida per la città parlando con il suo manichino, che ha chiamato Pablo.

L’uomo delle pulizie

In una calda mattina dell’aprile del 2022 tre agenti di polizia in borghese si sono presentati all’ingresso del palazzo in cui abitano i miei genitori a Città del Guatemala. Cercavano un uomo che lavorava lì, si chiamava Jeremías. Dovevano parlargli e fargli alcune domande. Tutti, però, continuavano a ripetere agli agenti che Jeremías era irreperibile, anche se sapevano benissimo dove era nascosto.

Jeremías lavorava nel palazzo dei miei genitori da più di dieci anni. Sembrava che fosse sempre lì: passava la scopa, puliva lo specchio dell’ascensore oppure se ne stava seduto al banco della reception. O almeno così mi sembrava ogni volta che andavo a trovare i miei genitori. Jeremías era timido e pacato. Era premuroso senza essere appiccicoso, attento senza essere impiccione. Non dava mai problemi, diceva mio padre, intendendo dire che era remissivo e obbediente. Mi salutava sempre in modo gentile – buenos días, señor Halfon – e poi mi chiedeva accennando un sorriso se fossi tornato a vivere in Guatemala o se, ancora una volta, fossi solo di passaggio. E io inevitabilmente rispondevo che ero solo di passaggio. Ora capisco – con il senno di poi – che questa domanda semplice, quasi di rito, era abbastanza inquietante.

Quella calda mattina di aprile, Jeremías era seduto al banco della reception all’ingresso e aveva visto sul monitor della telecamera di sicurezza gli agenti di polizia che fumavano in strada, davanti al palazzo. Per qualche motivo sapeva, o forse immaginava, che lo stavano cercando: immediatamente era scappato nel seminterrato e si era nascosto in un piccolo ripostiglio, accovacciandosi a terra tra gli spazzoloni, le scope e i secchi sporchi.

Gli agenti, frustrati dalle risposte secche ed evasive dei dipendenti – i guatemaltechi, abituati al silenzio da anni di oppressione, sono paralizzati dalla paura di esprimersi – hanno chiesto di parlare con alcuni inquilini, tra cui mia madre e mio padre. Sono andati da un appartamento all’altro, bussando alle porte e facendo domande. Però nessuno sapeva dov’era Jeremías. Nessuno sapeva dov’era andato o se si era presentato al lavoro. Alla fine, dopo un paio di ore cariche di tensione, minacce e ispezioni, gli agenti hanno lasciato perdere e sono andati via. Gli inquilini hanno richiuso le porte di casa e i dipendenti sono tornati al lavoro.

Jeremías è rimasto nascosto nel ripostiglio per tutta la giornata. Ha aspettato che fuori facesse buio, assicurandosi che gli agenti non fossero più nei paraggi. Poi si è alzato, ha richiuso il ripostiglio, è uscito a piedi dal palazzo e lì, in mezzo alla strada, è stato subito fermato e arrestato dagli agenti, che lo stavano aspettando in un’auto civetta.

Il primo pensiero di tutti è stato che Jeremías era stato arrestato per sbaglio, come capita fin troppo spesso nel nostro paese. Di solito per una vendetta personale o per un errore burocratico o magari perché un funzionario corrotto fabbrica accuse false contro qualcuno per poi estorcergli una sostanziosa mazzetta. Ci vogliono settimane per scoprire cos’è successo veramente.

Alla fine, dopo varie telefonate, lettere e costosissime visite dell’avvocato, gli inquilini del palazzo sono stati informati che Jeremías era detenuto nel penitenziario di stato di Mazatenango, una città sulla pianura costiera a poche decine di chilometri dall’oceano Pacifico. Era coinvolto in una serie di secuestros exprés, come li chiamava la gente del posto. Rapimenti lampo.

Ecco come funzionano. Vi arriva una telefonata da un rapitore che vi dice che qualcuno sta seguendo l’auto di uno dei vostri familiari, magari vostro padre anziano, vostra figlia adolescente o vostra moglie, e che non esiterà a sparargli se entro un’ora non verserete sul loro conto corrente un certo importo, di solito l’equivalente di un paio di migliaia di dollari. A titolo di prova, il rapitore per prima cosa vi elencherà tutte le informazioni personali del familiare (nome completo, indirizzo di casa, indirizzo del lavoro, numero di telefono, numero della patente); poi vi dirà esattamente com’è vestito in quel preciso momento e su quale strada della città sta guidando; infine, vi darà una descrizione precisa dell’automobile che sta guidando: marca, modello, anno, colore, numero della targa e segni particolari come ammaccature, graffi e adesivi. Tutto questo per farvi capire che vostro padre, vostra figlia o vostra moglie in un certo senso sono stati già sequestrati, e che a loro insaputa sono prigionieri nella loro auto, forse con un fucile puntato alla testa da un’auto vicina, e che saranno liberati da questa crudele e strana forma di prigionia solo se verserete i soldi in modo rapido e discreto.

Per anni Jeremías, il nostro mite Jeremías, era stato l’uomo dei soldi in queste operazioni. Era suo il conto corrente che la banda dei rapitori usava per incassare tutti i pagamenti dei riscatti.

Allora, señor Halfon, diceva con un sorriso timido, si ferma o è solo di passaggio?

Solo di passaggio, Jeremías. Sempre solo di passaggio. ◆ fas

Eduardo halfon è uno scrittore guatemalteco. Il suo ultimo libro pubblicato in italiano è Lutto (Il Saggiatore 2022). Questo racconto è uscito in inglese su Index on Censorship con il titolo Just passing through.

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Questo articolo è uscito sul numero 1561 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati