L’epoca del commercio internazionale libero ed esteso, basato su un sistema di regole create con il contributo degli Stati Uniti, è finita in modo traumatico il 2 aprile 2025. In un evento alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato in modo teatrale una serie di pesanti dazi doganali che colpiranno quasi tutti i paesi del mondo. La notizia non è stata una sorpresa. Gli esperti di economia e finanza sapevano già da mesi che Trump avrebbe imposto delle barriere commerciali alle importazioni negli Stati Uniti. Ma la portata dei dazi ha superato anche le previsione più pessimiste. In un solo colpo, Washington ha drasticamente limitato il commercio internazionale. Per giustificare la decisione, Trump sostiene che gli Stati Uniti sono penalizzati da pratiche commerciali ingiuste. Come molte delle sue idee, anche questa contiene un fondo di verità. La Cina, per esempio, ha sfruttato le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) per esportare i suoi prodotti in altri mercati, ma allo stesso tempo ha limitato l’accesso delle aziende straniere al mercato cinese. Inoltre ha usato sovvenzioni e altri strumenti per potenziare la competitività delle aziende nazionali, arrivando a costringere le imprese straniere che volevano fare affari in Cina a cedere le loro tecnologie. Il problema è che invece di provare a migliorare le regole che hanno favorito alcuni partner commerciali degli Stati Uniti, Trump ha deciso di far saltare il banco, impugnando l’accetta per colpire tutti, rivali e alleati: la Cina dovrà sopportare dazi altissimi, ma lo stesso dovranno fare Giappone, Corea del Sud e Taiwan, con buona pace delle alleanze geopolitiche e dei rapporti economici che per molto tempo hanno portato vantaggi a tutti.
|
|
Podcast | |
Questo articolo si può ascoltare nel podcast di Internazionale A voce.
È disponibile ogni venerdì nell’app di Internazionale e su internazionale.it/podcast
|
|
Calcoli senza senso
Molti sperano che i dazi saranno solo una misura temporanea e che Trump, davanti al crollo della borsa e all’aumento dei prezzi per i consumatori statunitensi, farà un passo indietro. In effetti è possibile che in un secondo momento la Casa Bianca riduca le tasse doganali, soprattutto se gli altri paesi negozieranno con Washington per avere delle esenzioni. Ma l’epoca del libero mercato difficilmente tornerà. Molto probabilmente, invece, le trattative fra Trump e il resto del mondo porteranno alla nascita di un nuovo sistema commerciale, caratterizzato da protezionismo, tensioni e continue contrattazioni. Il risultato non sarà più posti di lavoro, come sostiene Trump, ma problemi per tutti e per molto tempo.
Secondo Trump gli Stati Uniti hanno bisogno dei dazi per correggere gli squilibri del commercio internazionale. È un’affermazione che non ha molto senso. È vero che Washington ha un alto deficit commerciale con quasi tutti i paesi del mondo (cioè importa più di quello che esporta), ma questo di per sé non è una cosa negativa. Significa semplicemente che altri paesi sono in grado di produrre beni che i consumatori statunitensi vogliono comprare, di conseguenza gli Stati Uniti comprano da quei paesi più di quanto gli vendano. Ma Trump è convinto che ogni paese con un surplus commerciale negli scambi con gli Stati Uniti stia imbrogliando e che quindi servano i dazi per ristabilire un equilibrio.
Sostiene di aver quantificato le tariffe da applicare ai vari paesi prendendo in considerazione tutti gli strumenti che hanno usato per “barare”, comprese le manipolazioni di valuta e le barriere non tariffarie. In pratica si è limitato a dividere il deficit commerciale di Washington con ciascun paese per la quantità di beni che quel paese ha esportato negli Stati Uniti. Dal calcolo è stato escluso, non a caso, il mercato dei servizi – turismo, istruzione, attività delle aziende tecnologiche – in cui gli Stati Uniti registrano un surplus con quasi tutti i partner commerciali. Per quantificare il valore finale di questi dazi reciproci, Trump ha concesso a ogni paese un generoso “sconto” del 50 per cento.

Per capire come funziona questo meccanismo, prendiamo il caso della Cina. Nel 2024 gli Stati Uniti hanno avuto un deficit commerciale di 295,4 miliardi di dollari con il paese asiatico, da cui hanno importato merci per 438,9 miliardi. Dividendo 295,4 per 438,9, la Casa Bianca ha stabilito che la Cina impone dazi sui beni statunitensi del 67 per cento. E infine ha calcolato il dazio reciproco sulle importazioni cinesi del 34 per cento (risultato dello “sconto” del 50 per cento). Questa percentuale si aggiungerà ai dazi del 20 per cento già in vigore (e l’8 aprile la Casa Bianca ha annunciato dazi ulteriori del 50 per cento dopo che Pechino ha imposto dazi di ritorsione contro Washington). Tra gli Stati Uniti e la Corea del Sud c’è un accordo di libero scambio, ma Seoul registra un surplus commerciale con Washington. Quindi, secondo la logica di Trump, i sudcoreani imbrogliano perché, in base ai calcoli della Casa Bianca, impongono una tassa del 50 per cento circa sui beni statunitensi. Risultato: un’imposta del 26 per cento su tutti i prodotti che gli Stati Uniti importano dalla Corea del Sud.
Prezzi verso l’alto
Ma come la mettiamo con i casi in cui gli scambi commerciali avvantaggiano gli Stati Uniti, a cominciare da quelli dell’Australia e del Regno Unito? Possiamo concludere che in questo caso sono gli Stati Uniti a imbrogliare? A quanto pare no, perché nella visione del mondo della Casa Bianca a barare sono sempre e solo gli altri. Così, contro ogni logica, anche su questi paesi sono stati imposti dazi del dieci per cento. Se qualcuno dovesse chiedere a Trump perché ha deciso di punire anche paesi che importano dagli Stati Uniti più di quanto esportano, probabilmente la sua risposta sarebbe: “Perché no?”. Tra l’altro i dazi non basteranno a cancellare il deficit commerciale complessivo degli Stati Uniti, a meno che Washington non decida di scollegarsi del tutto dal commercio internazionale. Questo perché il deficit in realtà nasce dal divario tra i risparmi sul fronte interno e gli investimenti. Gli Stati Uniti sono ancora un ottimo paese in cui investire, ma i risparmi privati sono pochi e il governo ha un pesante deficit di bilancio. Se Trump volesse davvero compensare gli squilibri commerciali, farebbe meglio a promuovere misure che favoriscano il risparmio. Anche se gli Stati Uniti non avessero un deficit commerciale complessivo, è molto probabile che ne registrerebbero uno con alcuni paesi, mantenendo un surplus con altri. Una condizione perfettamente normale nel commercio internazionale.
Trump considera i dazi anche come uno strumento per rilanciare l’industria manifatturiera statunitense. È una convinzione discutibile, considerando che per raggiungere l’obiettivo bisognerebbe sostenere costi enormi e che gli eventuali benefici si farebbero sentire solo nel lungo periodo. I dazi di Trump riguardano una gamma talmente ampia di prodotti e partner commerciali che avranno inevitabilmente un effetto negativo sull’economia degli Stati Uniti. Il peso ricadrà sui consumatori e sulle aziende americane praticamente in ogni settore.
◆ Il 9 aprile 2025 era prevista l’entrata in vigore dei pesanti dazi annunciati la settimana prima dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Per la Casa Bianca le tariffe sulle importazioni sarebbero “reciproche”, ma in realtà secondo gli esperti i coefficienti sono frutto di calcoli che hanno poco senso a livello economico. Lo stesso giorno, tuttavia, Trump ha annunciato una pausa di 90 giorni per i paesi che non hanno reagito alzando a loro volta i dazi sulle importazioni dagli Stati Uniti. Allo stesso tempo, però, ha portato quelli contro la Cina al 125 per cento.
◆ Il ripensamento è arrivato dopo le pesanti perdite registrate sui mercati finanziari, che hanno poi reagito positivamente all’inversione di rotta. Investitori e leader politici si chiedono quale sia la strategia statunitense nel lungo periodo e se Trump voglia solo sfruttare la minaccia di una crisi economica per ottenere concessioni dagli altri paesi. L’8 aprile il presidente americano aveva preso in giro i leader stranieri: “Ci stanno chiamando, leccandomi il culo. Muoiono dalla voglia di fare un accordo”.
◆ Trump prevede dazi del 20 per cento sulle importazioni dell’Unione europea negli Stati Uniti. Il 9 aprile l’Unione ha approvato dazi fino al 25 per cento su una serie di prodotti statunitensi.
Quelli caratterizzati da una filiera produttiva complessa che collega diversi paesi, come l’industria automobilistica, subiranno le conseguenze peggiori. Ma in realtà qualsiasi attività basata su filiere efficaci dal punto di vista dei costi e dei benefici (cioè quasi tutte) dovrà ridimensionarsi per ridurre la vulnerabilità ai rischi geopolitici e all’evoluzione del commercio. Questo processo comporterà inevitabilmente un aumento dei prezzi per i consumatori, perché per le aziende la resilienza conta di più dell’efficienza. Anche i prodotti agricoli, i macchinari e i dispositivi tecnologici esportati dagli Stati Uniti in tutto il mondo saranno colpiti duramente dai dazi imposti dai partner commerciali di Washington per rappresaglia.
Il resto del mondo sta ancora cercando di capire come rispondere a Trump, ma è probabile che i governi sceglieranno una combinazione di ritorsioni, tentativi di riconciliazione e diversificazione dei mercati. Ognuna di queste risposte comporta dei problemi.

Dilemma asiatico
Partiamo dagli strumenti per “vendicarsi” dei dazi statunitensi. Molti paesi hanno già promesso di applicare imposte doganali per rispondere alle provocazioni di Trump. Anche le opinioni pubbliche di quei paesi stanno reagendo con rabbia. I consumatori canadesi, per esempio, stanno boicottando i prodotti statunitensi, mentre si può presumere che molti turisti stranieri ci penseranno due volte prima di andare in vacanza negli Stati Uniti. Ma la rappresaglia comporta un costo molto alto, perché fa crescere l’incertezza nel commercio globale e di conseguenza danneggia gli investimenti.
Il tentativo di riavvicinamento comporta meno rischi. Di sicuro negoziare con Trump è nell’interesse di ogni paese colpito dai dazi. Il commercio tra gli Stati Uniti e gli altri paesi non può essere riequilibrato dall’oggi al domani, ma alcuni governi potrebbero promettere a Washington di comprare più prodotti statunitensi e ridurre le barriere alle importazioni.

In passato Trump ha presentato i dazi come misure di sicurezza nazionale e li ha usati per spingere alcuni governi – per esempio il Messico e il Canada – a limitare i flussi migratori o il traffico di droga. I partner commerciali degli Stati Uniti potrebbero promettere misure più drastiche per contrastare questi due fenomeni. Dopo tutto a Trump piace vantarsi di essere un bravo negoziatore, quindi i governi stranieri farebbero bene a trovare il modo di permettergli di presentare un eventuale accordo come una vittoria (cosa che farebbe in ogni caso).
Ma questa soluzione ha dei limiti. Anche se i partner commerciali di Washington dovessero impegnarsi a comprare più prodotti statunitensi, difficilmente il loro surplus commerciale con gli Stati Uniti si ridurrà abbastanza rapidamente da accontentare Trump, quindi resterebbero esposti a ulteriori misure punitive. Inoltre, se l’economia americana dovesse finire in recessione a causa dei dazi, non ci sono dubbi sul fatto che Trump incolperebbe il resto del mondo.
Altri paesi, soprattutto quelli che hanno già solidi rapporti commerciali tra loro, potrebbero decidere di ignorare del tutto il mercato statunitense. Per esempio la Cina, il Giappone e la Corea del Sud potrebbero provare a proteggersi a vicenda dagli effetti dei dazi di Washington consolidando i loro legami commerciali. Il problema è che tutti e tre i paesi si affidano molto alle esportazioni per far crescere l’economia e hanno invece una domanda interna piuttosto scarsa. La Cina ha una capacità produttiva in eccesso ma importa poche merci e servizi, caratteristiche che minacciano l’economia giapponese e quella coreana. Il risultato è che ognuno dei tre paesi sarà estremamente prudente sulla possibilità di aprire completamente il proprio mercato alle esportazioni degli altri due. Gli europei, da parte loro, hanno fatto intendere di essere pronti a collaborare con altri paesi in campo commerciale, ma non vogliono certo aprirsi in modo indiscriminato alle importazioni.
In ogni caso il resto del mondo, alle prese con un accesso limitato al mercato statunitense e con una riduzione della domanda proveniente dagli Stati Uniti, cercherà di diversificare le esportazioni, firmare accordi commerciali escludendo gli Stati Uniti e trovare altri modi per difendersi dalla guerra commerciale alle porte. Ma c’è un limite a quello che si può riuscire a fare. Anche se alla fine Washington dovesse rinunciare ai pesanti dazi annunciati da Trump, la fiducia degli investitori è ormai stata danneggiata. La Casa Bianca ha compromesso la domanda e gli investimenti, rischiando seriamente di spingere l’economia statunitense verso la recessione e di trascinare con sé il resto dell’economia mondiale. ◆ as
Iscriviti a Americana
|
Cosa succede negli Stati Uniti. A cura di Alessio Marchionna. Ogni domenica.
|
Iscriviti |
Iscriviti a Americana
|
Iscriviti |
Cosa succede negli Stati Uniti. A cura di Alessio Marchionna. Ogni domenica.
|
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1609 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati