Rumoroso. Isterico. Arrogante. Il selfie della grammatica. Il punto esclamativo attira su di sé un’enorme (e ingiustificata) quantità di improperi per la sua sfacciata pretesa di rappresentare emozioni che alcune anime poco gentili considerano egocentriche. Siamo diventati sospettosi dei sentimenti, soprattutto di quelli grandi, che hanno bisogno dell’eruzione di un ! per sfogarsi. Questa tendenza è cominciata intorno al 1900, quando la modernità è diventata sinonimo di funzionalità e di linee dritte e pulite (come testimoniano le rigorose scatole degli edifici del Bauhaus) in opposizione alla vena extra della sensibilità vittoriana o alle frivole e giocose decorazioni del rinasci­mento.

Le cose devono avere una logica, e il punto esclamativo non ce l’ha: troppo soggettivo e sovversivo, con il suo vizio di saltar fuori dal flusso uniforme delle parole sul foglio. Da quando è cominciata l’avanzata trionfale della tecnologia degli smartphone e dei social network, il punto esclamativo è sempre più incompreso: viviamo in un villaggio digitale in cui ci scambiamo chiacchiere da una parte all’altra del mondo e usiamo in abbondanza segnali sociali emotivi come il punto esclamativo. E siccome basta premere il pollice per riprodurre quanto vogliamo qualsiasi carattere, ci viene facile inondare di !!!!!! il mondo digitale. Non c’è da stupirsi se siamo diventati un po’ allergici al povero, semplice punto esclamativo, di cui stigmatizziamo l’onnipresenza accusandolo di essere irritante e superfluo. Poi è arrivato Donald Trump e gli ha dato il colpo di grazia, infarcendo i suoi tweet di ! durante la sua campagna elettorale e la sua presidenza. Gli atteggiamenti di Trump e lo stesso aspetto del segno, con il corpo eretto e il puntino sferico in basso, hanno fatto diventare il punto esclamativo “aggressivamente fallico”. Bisogna assolutamente salvarlo.

Le cose devono avere una logica, e il punto esclamativo non ce l’ha: troppo soggettivo e sovversivo, con il suo vizio di saltar fuori dal flusso uniforme delle parole sul foglio

Fortunatamente, né le reazioni al punto esclamativo né le sue funzioni sono state sempre così negative. Per secoli gli scrittori hanno goduto della sua forza incisiva, servendosi con disinvoltura e persuasività del suo potere d’indicare: “Qui ci sono i sentimenti!”. Ecco cinque modi in cui la letteratura può riappropriarsi dell’abusato punto esclamativo.

1. Vistosamente assente

Ernest Hemingway è il re dell’understatement. Battaglie cruente, ferite sanguinose, bambini strappati dalla morte alle braccia delle madri: per lui nulla di tutto questo merita un punto esclamativo liberatorio o un commento narrativo che guidi i nostri sentimenti. Tutto il lavoro emotivo dobbiamo farlo da soli: l’autore ci presenta solo le nude ossa dell’azione nella sua fusione tra narrativa e osservazione giornalistica. Nel suo romanzo del 1951 Il vecchio e il mare, che contribuì a fargli vincere il premio Nobel per la letteratura, Hemingway mantiene il tono emotivo piatto come uno specchio d’acqua finché il vecchio non si convince che un gigantesco marlin ha abboccato alla sua esca e aspetta il momento giusto per tirarlo su:

Sali con comodo e lascia che ti metta nel corpo la fiocina. Bene. Sei pronto? Ti sei fermato abbastanza a tavola? “Ecco!”, disse ad alta voce e diede uno strappo violento con tutt’e due le mani, ricuperò un metro di lenza e poi tornò a tirare più e più volte, abbattendo alternatamente le braccia sul cavo con tutta la forza delle braccia e il peso del corpo rotato.

Quel punto esclamativo è scarico. Tutta l’aspettativa e l’eccitazione si riversano nel segno e poi… niente. Il marlin continua a nuotare per altre cento pagine. Lo tsunami della punteggiatura si solleva da chissà dove e poi non va da nessuna parte. Hemingway gioca con i nostri sentimenti con questo anticlimax esclamativo, l’unico ! del romanzo, solitario come gli altri 59 che si contano in tutta la sua opera. La sua presenza può produrre grandi emozioni, ma anche la sua assenza.

2. Più ce n’è, meglio è

Se Hemingway è il maestro dell’uno, Salman Rush­die è il giocoliere dell’infinito. Nel suo romanzo I figli della mezzanotte, pubblicato nel 1981, Rushdie usa il punto esclamativo la bellezza di 2.131 volte, una media di sei ! per pagina. Sono un bel po’ di urli, non c’è che dire. Il romanzo ripercorre le vite dei bambini nati allo scoccare della mezzanotte del 15 agosto 1947, giorno della liberazione dell’India dall’impero britannico: ognuno di loro ha poteri magici e il libro ritrae un mondo traboccante di energie soprannaturali, lingue diverse che si mutano l’una nell’altra, pensieri, sensazioni, luoghi e motivazioni che lottano per la supremazia. Tutta questa vita ha bisogno del trampolino della punteggiatura per saltare dalla pagina, e il punto esclamativo è ben lieto di prestarsi allo scopo. Per I figli della mezzanotte Rushdie ha vinto il Booker prize. Sicuramente tutti quei ! hanno catturato l’attenzione dei giudici.

3. Al diavolo le buone maniere!

Gli appassionati di letteratura del settecento esaltano Jane Austen come la compassata e impeccabile narratrice della tenerezza delle emozioni e delle regole implicite nella società. I suoi romanzi, tuttavia, sono solo versioni annacquate dei suoi manoscritti originali, filtrati attraverso vari passaggi redazionali che hanno cancellato la vera Austen, passionale, spontanea e sempre attenta al ritmo della conversazione. La docente di Oxford Kathryn Sutherland ha pubblicato le opere autografe di Austen arrivate fino a noi: mostrano una scrittrice molto più trasandata e vera di quella a cui siamo abituati, e con cui forse saremmo più a nostro agio.

Nell’ultimo romanzo di Austen, Persuasione, la protagonista Anne ha finalmente uno scambio chiarificatore con l’uomo di cui è innamorata, il capitano Wentworth, dopo quasi dieci anni di tira e molla. Nel testo pubblicato postumo, Anne rimprovera debolmente Wentworth di pensare a lei come alla ragazza di un tempo: “‘Avreste dovuto distinguere’, rispose Anne. ‘Non avreste sospettato di me ora; le circostanze sono così diverse, e la mia età così diversa’”. Il manoscritto, invece, mostra una donna infervorata e accalorata in un franco faccia a faccia con l’uomo della sua vita. “Avreste dovuto distinguere – rispose Anne – Non avreste sospettato di me ora; – le circostanze sono così diverse, e la mia età è così diversa!”. Trattini, sottolineature, cancellature, e soprattutto il punto esclamativo rivelatore dipingono un’immagine nuova di un’autrice affermata che lascia le sue “femmine eleganti” libere di lanciare esclamazioni in nome dell’amore. Purtroppo, tutto questo ardore era considerato eccessivo dai suoi curatori maschi, che ne smorzarono la voce appiattendo la punteggiatura. Nel dubbio, fate come Jane e fatevi sentire!

4. Esclamare prima di esclamare

In tedesco non esiste una parola per dire “mente”. Significa che i tedeschi non capiscono il concetto? Se nella vostra lingua madre non c’è una parola per descrivere un oggetto, un sentimento o uno stato d’animo, sareste ugualmente in grado di sapere, sentire e comprendere? Secondo i linguisti Edward Sapir e Benjamin Lee Whorf, è la lingua a dare forma alle nostre percezioni e non il contrario. E la punteggiatura? Se non si conosce il punto esclamativo, come si fa a esclamare per iscritto? Ed è corretto infilare una manciata di ! in un vecchio testo per ravvivare un po’ l’atmosfera?

Secondo Eric Weiskott, docente d’inglese al Boston College, è un sacrilegio profanare una grande storia antica come il poema epico medievale Beowulf con un segno di punteggiatura definito “stridente” e “frenetico”, un “ghirigoro puramente teatrale” che è “l’equivalente tipografico del cibo spazzatura”: sarà pure gustoso, ma fa malissimo alla salute. Weis­kott ce l’ha con i curatori ottocenteschi che, anacronisticamente, pensarono d’introdurre nel testo un segno di cui gli autori di Beowulf non erano a conoscenza, falsificando così il tono di questa maestosa storia di popoli e draghi, re, eroi, mostri e madri.

La poeta statunitense Maria Dahvana Headley non potrebbe essere più in disaccordo, al punto che ha “tradotto” l’inglese antico in inglese corrente, comprese le asperità e i segni del linguaggio dell’epoca di internet. Così abbiamo hashtag, parolacce e anche punti esclamativi, quando il narratore reclama la nostra attenzione. “Bro!”, comincia provocatoriamente il Beowulf di Headley, interpretando la versatile espressione anglosassone “hwaet” (grosso modo “ascoltate”) come un urlo per invitare al silenzio in un pub pieno di bevitori di birra. Headley dona freschezza e rilevanza alla storia senza renderla ridicola. È vero che il segno ! non esisteva nel nono secolo, ma dobbiamo decidere se essere storicamente corretti oppure offrire al grande pubblico dei testi efficaci. Il punto esclamativo può essere il ponte tra un passato troppo remoto e il nostro presente.

5. Oh e ah

La punteggiatura è come un semaforo d’inchiostro all’interno della frase. Dice ai nostri occhi dove soffermarsi, alla nostra mente cosa assimilare, al nostro respiro quando fermarsi, rifiatare e alzare la voce, nella nostra testa o attraverso la bocca. La punteggiatura è corpo, e il punto esclamativo lo è più di tutti gli altri segni. Come il punto esplode verso l’alto in un !, così l’esclamazione erompe dal nostro diaframma, facendosi largo attraverso le corde vocali per poi uscire nell’aria circostante. Il poeta britannico degli inizi del novecento Gerard Manley Hopkins ne era consapevole quando disseminava le sue liriche di “Oh!” e “Ah!”. Cantando le lodi delle magnifiche creature di dio come il windhover (gheppio), i lettori di Hopkins spesso si abbandonano a ululati per la pura, sublime meraviglia del mondo:

Bellezza bruta e valentia e azione, oh, vento, vanto, qui come un sol io… all’appuntamento! E POI il fuoco che da te sprigiona, squilla un miliardo di volte più incantevole, più periglioso, O cavaliere mio!

E con le esclamazioni ridotte a un sospiro senza parole, Hopkins restituisce il ! alle sue radici: esprimere ammirazione e meraviglia. Circa settecento anni fa, nella cittadina di Urbisaglia, nell’Italia centrale, in De ratione punctandi l’erudito e poeta Iacopo Alpoleio sentì il bisogno d’introdurre un segno di interpunzione che segnalasse emozione anziché semplicemente sintassi. Infastidito dal fatto che le esclamazioni fossero lette come affermazioni o domande, propose di aggiungere a una frase emotivamente significativa un puntino più un apostrofo penzolante dal rigo superiore. Chiamò il nuovo segno punctus admirativus, il punto di ammirazione o meraviglia. Fu la nascita del punto esclamativo, precisamente quello che oggi conoscono tutti gli scrittori: uno strategico ! può far dire “wow!” ai vostri lettori. Quindi, ogni volta che siete in dubbio se rischiare di rompervi l’osso del collo e gridare o no, ricordatevi di Jane Austen e Salman Rushdie: permesso di esclamare accordato! ◆ fas

Florence Hazrat è una giornalista britannica. Si occupa in particolare di letteratura del rinascimento e punteggiatura. Ha scritto An admirable point: a brief history of the exclamation mark! (Profile books 2022). Questo articolo è uscito sul sito culturale britannico The Millions con il titolo How to exclaim!

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1540 di Internazionale, a pagina 104. Compra questo numero | Abbonati