Con la sua nuova magistrale graphic novel, Gipi mette da parte la tematica alta dell’interrogazione sulla memoria mediante l’introspezione e la creazione d’immagini profonde e si fa iconoclasta, provocatorio, perfido, surrealista, oltre che all’apparenza mal scritto e mal disegnato, perché ovviamente è l’esatto contrario, come già in La mia vita disegnata male. E tuttavia Stacy vola alto. Perché dietro alla cattiveria, comunque giocosa e ironica, c’è di più. Saper guardare l’altro al di là dei pregiudizi è il tema di fondo. Un autore di serie tv si trova sotto accusa per una frase detta in un’intervista: perde il controllo della serie, altri lavori e le amicizie. Nella sua critica, dallo spunto autobiografico, al manicheismo e schematismo del politicamente corretto e dei social network, Gipi auspica implicitamente un ritorno all’ironia libera, talvolta grossolana, che negli anni sessanta e settanta pervadeva il fumetto e il cinema, anche popolare, spesso veicolando una lettura duplice. Perché la verità/realtà è sempre doppia, angelica e demoniaca. Interpretare le cose alla lettera rende piccoli, toglie ampiezza allo spirito e al progredire della società. Toglie futuro, paradossalmente. Ma dietro alle apparenze, emerge una visione umanistica alta, un desiderio di amore, anche verso chi è “nemica/o”. Ma ogni viaggio nella conoscenza necessita del coraggio di accettare e poi viaggiare dentro le asperità. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1549 di Internazionale, a pagina 87. Compra questo numero | Abbonati