In una mattina gelida Celil Turan entra in un grande impianto sportivo alla periferia di Sandviken, nella contea di Gävleborg, in Svezia. Come ogni domenica, si tuffa nella piscina olimpionica e nuota per ore, con rare pause. “È la mia unica distrazione. Cerco di ritrovare un equilibrio”, spiega.

Famosa perché ospita una delle più grandi acciaierie della Svezia e per una serie di concerti di Jimi Hendrix alla fine degli anni sessanta, Sandviken è diventata la casa di Turan nel 2015, quando insieme alla moglie Cheikha ha deciso di fuggire dalla guerra e trasferirsi in Scandinavia, all’epoca una delle destinazioni preferite per chi scappava dai conflitti e dalle dittature.

Per i coniugi Celil – che si erano conosciuti e sposati nel nord della Siria, in una regione che i separatisti curdi chiamano Rojava (occidente) – la tranquilla cittadina svedese rappresentava l’esatto opposto di quello che si erano lasciati alle spalle: traumi, persecuzioni e nessuna libertà di espressione. Ma le loro speranze di rifarsi una vita sono andate in frantumi pochi anni dopo, quando Turan ha rischiato di perdere il diritto a vivere legalmente in Svezia.

Nel 2019 la richiesta d’asilo di Turan è stata respinta per la prima volta. Il suo avvocato ha presentato ricorso citando le sue difficili condizioni fisiche (Turan ha perso una gamba a causa di una mina) e il rischio concreto che possa essere arrestato e torturato se tornasse in Turchia, il suo paese d’origine. Ma l’Agenzia svedese per l’immigrazione, l’istituzione che esamina le richieste d’asilo, è stata irremovibile.

Il prezzo da pagare

All’origine del rifiuto c’era la presunta vicinanza di Turan al Partito dei lavoratori curdi (Pkk), considerato un’organizzazione terroristica dalla Turchia e dalla Svezia. Turan ammette di aver sostenuto la causa del movimento per i diritti dei curdi, ma sostiene di non aver mai partecipato ad alcuna azione armata. Per anni aveva vissuto spostandosi di continuo tra Turchia, Iraq e Siria per non farsi arrestare dalla polizia turca, che quando era ragazzo lo aveva torturato e picchiato “per aver cantato una canzone curda”. Alla fine aveva scelto di fare il volontario come paramedico al fronte della sanguinosa battaglia tra le Unità di protezione popolare (Ypg, una milizia curdo-siriana legata al Pkk) e i gruppi jihadisti. Questo conflitto aveva attirato l’attenzione del mondo alla fine del 2014, quando i guerriglieri curdi a Kobane avevano respinto l’assedio del gruppo Stato islamico.

“Passavo le giornate ad aiutare persone che urlavano dopo essere state colpite da granate e schegge”, ricorda. “Ho imparato a ricucire le ferite. Portavo in spalla bambini sanguinanti”. All’epoca molti occidentali consideravano i combattenti curdi degli eroi che rischiavano la vita per liberare il pianeta da un nemico oscurantista. La Svezia era stata tra i paesi che avevano sostenuto con più convinzione la lotta delle Ypg contro i jihadisti. Ma pochi anni dopo l’entusiasmo per il movimento curdo è svanito, e con esso il sostegno politico e militare. “Prima ci trattavano da eroi, mentre ora rischiamo di non avere più un posto dove vivere”, dice Turan. Nell’aprile 2023 ha fatto nuovamente richiesta d’asilo, ma si sente sempre meno al sicuro in Svezia, e come lui molti altri curdi provenienti dalla Turchia.

I primi segnali di un rafforzamento della collaborazione tra Svezia e Turchia contro il terrorismo erano già emersi alcuni anni fa, ma le cose sono cambiate davvero quando Stoccolma ha chiesto di entrare nella Nato in seguito all’invasione russe dell’Ucraina. La decisione, formalizzata nel maggio 2022, ha messo fine a più di due secoli di neutralità della Svezia.

A quel punto la Turchia, che fa parte della Nato dal 1952, ha posto una serie di condizioni per ratificare l’adesione svedese, che dev’essere approvata da tutti i paesi dell’alleanza militare. Tra queste c’è l’estradizione di chiunque sia accusato di legami con il Pkk o con il movimento del predicatore Fethullah Gülen, che le autorità turche considerano responsabile del tentato golpe del 2016. Inoltre Ankara ha preteso che Svezia e Finlandia (anch’essa candidata a entrare nella Nato) rafforzassero le loro leggi antiterrorismo, interrompessero ogni rapporto con le Ypg e il Partito dell’unione democratica (Pyd, il braccio politico della milizia), aumentassero la cooperazione con i servizi segreti turchi e cancellassero ogni limite alle esportazioni di armi verso la Turchia.

Quando le autorità svedesi hanno avviato una procedura per soddisfare le richieste di Ankara, elencate in un memorandum trilaterale firmato nel giugno 2022, a subirne le conseguenze sono stati i curdi che vivono nel paese.

Subito dopo che Stoccolma ha chiesto di entrare nella Nato, i mezzi d’informazione turchi hanno fatto circolare un documento che conteneva una lista di nomi di persone ritenute vicine al Pkk o a Gü­len, mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan accusava gli svedesi di proteggere dei criminali. Inizialmente si parlava di 33 “terroristi” da riportare in Turchia, ma nel gennaio 2023 i nomi erano già diventati 130, dopo che alcuni manifestanti di sinistra avevano “impiccato” un fantoccio di Erdoğan a un ponte nel centro di Stoccolma.

“Non riuscivamo a capire chi rischiasse veramente di essere espulso dalla Svezia e se ci fosse una lista ufficiale”, spiega Madelaine Seidlitz, consulente legale di Amnesty international. “In ogni caso le dichiarazioni politiche, spesso vaghe e inevitabilmente distorte dai social network, hanno alimentato la paura in persone che vivono già una situazione vulnerabile”.

Nei mesi successivi alla firma del memorandum, le autorità turche hanno ribadito più volte la loro insoddisfazione. Nel dicembre 2022, dopo che la corte suprema svedese aveva negato l’autorizzazione a estradare il giornalista Bülent Keneş (ricercato in Turchia per i suoi presunti legami con il movimento di Gülen), l’allora ministro degli esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu ha dichiarato che la Svezia non era “nemmeno a metà strada”.

Seidlitz sottolinea la differenza tra il processo di estradizione delle persone ricercate in Turchia – che necessita di una richiesta ufficiale di Ankara, di complessi passaggi amministrativi e di una serie di controlli legali – e la semplice espulsione di migranti senza documenti e di persone la cui domanda d’asilo è stata respinta, per la quale è sufficiente un’iniziativa delle autorità svedesi. Se da un lato la corte suprema di Stoccolma ha bocciato almeno quattro richieste di estradizione di persone accusate di legami con il movimento gülenista, “rispettando lo stato di diritto”, dall’altro l’agenzia per l’immigrazione “ha ignorato per troppo tempo l’assenza di princìpi democratici in Turchia, come la garanzia di un giusto processo, e ha respinto un numero eccessivo di domande d’asilo”.

Celil Turan sul lago Storsjön, in Svezia, febbraio 2023  (Natália Alana)

Le informazioni ufficiali sulle procedure di estradizione e di espulsione sono incomplete. Il governo svedese, famoso per i suoi elevati standard di trasparenza, non vuole rivelare il numero dellei richieste di estradizione ricevute né quello degli ordini di espulsione emessi dopo la domanda di adesione alla Nato.

Lontano dai guai

Il primo caso noto di estradizione risale all’agosto 2022 e riguarda Okan Kale, un cittadino turco di 35 anni condannato a 14 anni di detenzione per una truffa sulle carte di credito e rinchiuso in un carcere svedese dal 2021. Dopo il rimpatrio di Kale, il ministro della giustizia turco Bekir Bozdağ ha dichiarato che “l’estradizione di un criminale comune” non significava che la Svezia stesse “mantenendo le promesse”.

Il 19 agosto, pochi giorni dopo il trasferimento di Kale da un carcere svedese a uno turco, la polizia ha circondato un condominio alla periferia di Borås, una città industriale situata nelle foreste della Svezia occidentale. Quando gli agenti sono entrati nel loro appartamento, Znar Bozkurt e suo marito Tage Carlsson stavano dormendo insieme ai loro due gatti.

In poche ore Bozkurt, 26 anni, si è ritrovato in un centro di transito a Göteborg, e i mezzi d’informazione turchi filogovernativi hanno annunciato l’imminente espulsione di un “sospetto terrorista del Pkk”. Solo un ricorso dell’ultimo minuto contro l’ordine di espulsione, sostenuto da una grande mobilitazione sui social network, ha impedito che Bozkurt diventasse un altro nome sulla lista.

Bozkurt si è trasferito in Svezia a 17 anni. “I miei genitori avevano paura che finissi nei guai in Turchia a causa delle mie idee”, spiega. Quando il suo visto di lavoro è scaduto, Bozkurt ha chiesto asilo, perché in Svezia si sente più libero di esprimere la sua identità: può manifestare apertamente la propria omosessualità, innamorarsi, sposarsi, convertirsi al cristianesimo e seguire le sue convinzioni politiche di sinistra, a cominciare dal sostegno per il Partito democratico popolare (Hdp), il cui leader Selahattin Demirtaş è rinchiuso in un carcere turco dal 2016. “In Svezia posso sognare di studiare per diventare pastore in una chiesa o un truccatore, o entrambe le cose”, spiega Bozkurt.

Seduto nel salotto di casa, alle cui pareti sono appese icone ortodosse e dipinti a tema religioso, Bozkurt racconta che la sua richiesta d’asilo è stata respinta sulla base di un rapporto della Säpo (il servizio d’intelligence svedese). I suoi ricorsi sono stati respinti, e nel gennaio 2022 ha perso il permesso di soggiorno.

Prima di compilare il suo rapporto, la Säpo aveva convocato Bozkurt per un colloquio. Gli agenti gli avevano rivelato di aver notato la sua presenza in alcune foto pubblicate su Instagram e scattate durante una manifestazione, dove alle sue spalle sventolava una bandiera del Pkk. Secondo l’avvocato di Bozkurt, il rapporto era “corto, vago e faceva riferimento ad attività politiche del tutto legali”. Ma per le autorità svedesi era sufficiente a respingere la domanda d’asilo.

Bozkurt sostiene di non avere alcun legame con il Pkk ma di credere nell’affermazione e nel rispetto dei diritti dei curdi, ed è convinto che l’autoritarismo di Erdoğan abbia danneggiato la società turca. In Turchia ha partecipato alle manifestazioni per difendere i diritti delle minoranze.

Nelle discussioni a casa, Bozkurt critica spesso il marito per le sue posizioni politiche. “Lui vota il Partito liberale. Sono alleati con dei razzisti”, scherza Bozkurt. Si riferisce alla nuova coalizione al potere in Svezia, guidata dai Moderati e dipendente dall’appoggio esterno dei Democratici svedesi, un partito xenofobo di estrema destra. Carlsson sottolinea che a livello locale i Liberali sono invece alleati con i Verdi. Poi si fa più serio: “Mio marito è qui da nove anni, non ha mai avuto il minimo problema. E ora improvvisamente il governo lo considera un terrorista? Non posso crederci”.

Il provvedimento di espulsione è stato sospeso per il rischio che Bozkurt possa subire abusi se costretto a tornare in Turchia. In seguito ha ottenuto un permesso di soggiorno temporaneo di un anno. Ma il parere della Säpo, in cui Bozkurt viene definito una minaccia per la sicurezza nazionale, e l’ordine di espulsione non sono stati ancora cancellati, ricorda il suo avvocato.

Secondo Seidlitz il problema di casi come questo è che “la valutazione dei servizi di sicurezza è segreta, dunque non puoi difenderti. Le autorità non devono spiegare perché una persona è considerata un rischio per la sicurezza”.

Mizgin Bingöl e Nahsan Keser, febbraio 2023 (Natália Alana)

Anna Lindblad, del dipartimento legale dell’Agenzia svedese per l’immigrazione, spiega che l’istituzione e i servizi d’intelligence collaborano strettamente dal 2016. Quando intervistano i richiedenti asilo, gli operatori seguono una lista di indicazioni preparate in base alle nazionalità, in modo da fare una prima valutazione e decidere se trasmettere la pratica ai servizi d’intelligence.

Il rapporto tra la Säpo e l’Agenzia per l’immigrazione funziona in entrambe le direzioni: l’agenzia inoltra alcune pratiche ai servizi di sicurezza dopo una prima valutazione, mentre la Säpo può inviare autonomamente all’agenzia un rapporto sui casi che prende in esame. La conseguenza può essere la perdita dello status legale. Lindblad spiega che la richiesta di asilo viene sempre respinta se una persona è definita una minaccia per la sicurezza.

L’attività dell’agenzia non è sottoposta quasi a nessuna interferenza esterna, ma secondo Lindblad i suoi dipendenti sono “consapevoli dei rapporti estremamente tesi tra Svezia e Turchia. Oggi informiamo il governo molto più spesso che in passato, e notiamo un incremento delle persone legate al Pkk tra i richiedenti asilo”.

Dai dati forniti dall’Agenzia per l’immigrazione emerge un consistente aumento delle domande di cittadini turchi dopo il 2016, quando il tentato golpe ha provocato un’ondata di arresti e ritorsioni nei confronti della società civile e dei mezzi d’informazione. Se nel 2015 erano state registrate 290 richieste, nel 2017 il numero è salito a 889. In seguito le cifre hanno cominciato a calare lentamente.

Nel 2021 Human rights watch ha affermato che in Turchia più di 130mila persone erano indagate a causa di presunti legami con il movimento Gülen, e altre 8.500 perché considerate vicine al Pkk.

Il permesso di soggiorno di Keser tardava ad arrivare, ma lui non si era preoccupato, finché un giorno è stato convocato dalla Säp0

Secondo l’organizzazione statunitense la minaccia del terrorismo è regolarmente usata per limitare i diritti civili e perseguitare gli oppositori.

I dati dell’Agenzia per l’immigrazione indicano che i rapporti sulle persone considerate un rischio per la sicurezza della Svezia sono in forte aumento. Complessivamente nel 2022 la Säpo ha emesso 650 pareri negativi sulla concessione di un permesso di soggiorno o della cittadinanza, mentre nel 2020 erano stati appena 179. L’Agenzia per l’immigrazione sostiene di non potere fornire cifre sulle singole nazionalità, ma i consulenti legali e i leader delle comunità con cui abbiamo parlato credono che buona parte dei casi riguardi i curdi provenienti dalla Turchia.

Rapporto complicato

Gli ultimi avvenimenti hanno evidenziato le contraddizioni del lungo rapporto tra i curdi e la Svezia. Già prima della fondazione del Pkk nel 1978, il paese nordico era una meta popolare tra i lavoratori e i dissidenti curdi. All’inizio degli anni settanta, quando un colpo di stato militare in Turchia provocò un’ondata di repressione, diversi leader del movimento indipendentista curdo trovarono rifugio in Svezia. Nel 1984, dopo che due disertori del Pkk erano stati assassinati nel paese, il primo ministro socialdemocratico Olaf Palme decise di mettere fuori legge l’organizzazione. La Svezia fu il primo stato occidentale a farlo: gli Stati Uniti l’avrebbero imitata nel 1997, e l’Unione europea nel 2002.

Dopo l’assassinio di Palme a Stoccolma nel 1986, uno dei crimini politici più misteriosi della guerra fredda, gli inquirenti suggerirono il possibile coinvolgimento del Pkk. Anche se non è mai emersa alcuna prova contro l’organizzazione, la notizia contribuì a creare un clima di sospetto nei confronti della comunità curda. Nonostante ciò, dall’inizio degli anni novanta i curdi hanno ricominciato ad arrivare in gran numero in Svezia, spinti dalle persecuzioni e dai conflitti in Siria, Iraq, Iran e Turchia.

“Le organizzazioni curde hanno approfittato della garanzia di libertà e dei generosi finanziamenti pubblici per stabilire una forte presenza politica e culturale nel paese”, spiega Paul Levin, direttore dell’Istituto di studi turchi dell’università di Stoccolma. “Alla fine degli anni ottanta in Svezia esistevano circa quaranta case editrici, una biblioteca e una stazione radio curde. Molti intellettuali e leader politici curdi hanno vissuto nel paese, più che in qualsiasi altro stato europeo”.

Le autorità svedesi “non sono mai state particolarmente rigide nell’applicare la legge del 1984 contro il Pkk, mostrando anzi una certa simpatia per la causa curda, soprattutto a sinistra”, aggiunge Levin. La richiesta di adesione alla Nato e l’accettazione delle condizioni imposte dalla Turchia “hanno cambiato tutto. È una svolta enorme per la Svezia”.

Secondo Seidlitz il problema di casi come quello di Bozkurt è che “la valutazione dei servizi di sicurezza è segreta, dunque non puoi difenderti”

Come in una trama surreale

Poco dopo il rilascio di Znar Bozkurt, un altro curdo proveniente dalla Turchia è stato arrestato, e stavolta non c’è stato il tempo per opporsi alla sua espulsione. Nel giro di pochi giorni Mahmut Tat, 45 anni, si è ritrovato in un carcere turco. La sua richiesta di asilo era stata definitivamente respinta nel 2021, ma Tat aveva continuato a lavorare in un ristorante locale. Secondo i mezzi d’informazione svedesi la domanda di asilo si basava soprattutto su un processo a suo carico in Turchia, in cui Tat era accusato di aver collaborato con il Pkk come corriere.

Appena atterrato a Istanbul, Tat è stato immediatamente condotto davanti al tribunale che lo aveva già condannato in contumacia. Da lì è stato trasferito in prigione per scontare una condanna a sei anni di reclusione. Poco dopo il ministro della giustizia turco Bekir Bozdağ ha dichiarato che l’operazione aveva fornito la prova “della sincerità e della buona volontà della Svezia”, e ha manifestato la “speranza” di vedere altre di queste “estradizioni”. In seguito il quotidiano svedese Dagens Etc ha rivelato che un altro curdo era stato espulso in segreto insieme a Tat.

Il 2 dicembre, lo stesso giorno dell’arresto di Tat, l’Agenzia per l’immigrazione svedese ha inviato una comunicazione a Nahsan Keser, avvisandolo che avrebbe dovuto lasciare la Svezia entro un mese e che non avrebbe potuto rientrare per i seguenti dieci anni.

L’avvocato di Keser ha dichiarato che il caso del suo assistito somiglia alla trama surreale del Processo, il romanzo di Franz Kafka in cui un uomo cerca invano di scoprire di quale crimine sia accusato.

Keser si era trasferito dalla Turchia in Svezia nel 2017 dopo aver sposato Mizgin Bingöl, una svedese di origini curde. I due avevano avuto un figlio e si erano trasferiti in una piccola città nella provincia dello Småland. Dopo aver lavorato per anni come giornalista freelance, lei insegnava storia in una scuola media, mentre lui gestiva una pizzeria da asporto.

Il permesso di soggiorno di Keser tardava ad arrivare, ma lui non si era preoccupato troppo, finché nel 2020 ha ricevuto una convocazione dalla Säpo.

Quando si è presentato negli uffici della polizia, ha scoperto con grande sorpresa che gli agenti non erano interessati a lui. Volevano sapere di più sulle attività della moglie.

Da sapere
Un popolo in esilio
I paesi europei che ospitano il maggior numero di curdi, migliaia. Dati del 2016 (Fonte: Institut kurde de Paris)

Bingöl aveva contribuito per decenni a organizzare la diaspora curda, e come giornalista aveva seguito la politica turca e la guerra nel nord della Siria, lavorando per testate in lingua curda e per riviste svedesi. Nel 2014 e nel 2015 si era occupata dell’assedio di Kobane da parte del gruppo Stato islamico. Nel 2019, durante la sua ultima visita in Turchia, era stata seguita e minacciata da agenti dei servizi segreti turchi.

Un sistema crudele

Poco dopo l’interrogatorio, a Keser è stato rifiutato il permesso di soggiorno. Una successiva richiesta di asilo ha avuto lo stesso esito. Anche in questo caso all’origine della decisione c’era un parere negativo inviato dalla Säpo all’Agenzia per l’immigrazione: l’uomo rappresentava un pericolo per l’ordine pubblico perché poteva indirettamente favorire le pericolose attività della moglie, su cui però nessuno ha fornito dettagli.

“Non ci dicono di cosa sia accusata mia moglie. Stanno rovinando la nostra vita senza motivo”, dice Keser.

Per Bingöl la vicenda dimostra “fino a che punto la democrazia svedese si sia piegata a un regime autoritario”. La donna confessa di vivere un incubo. “Ho tre figli qui, la mia vita è qui. Insegno ai miei studenti i diritti umani e i valori democratici, ma ora ho paura per la Svezia. La libertà di espressione è sempre più minacciata”.

Solo all’inizio di giugno, dopo l’intervento del commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, l’Agenzia per l’immigrazione svedese ha sospeso l’ordine di espulsione che pendeva su Keser. Ma come nel caso di Znar Bozkurt, il parere della Säpo resta inalterato.

Secondo Håkan Svenneling, deputato del Partito della sinistra, “è un sistema estremamente crudele, perché non rivela per quale motivo il permesso di soggiorno sia negato. Nemmeno i tribunali possono accedere a tutte le informazioni in possesso della Säpo”.

Svenneling spiega che spesso questi casi hanno a che fare con le attività del movimento curdo in Svezia. Il rifiuto dei permessi di soggiorno sarebbe quindi frutto della collaborazione rafforzata con i servizi segreti turchi (Mit).

Nel maggio 2023 il parlamento svedese ha approvato una nuova legge antiterrorismo, che per Svenneling potrebbe permettere di colpire persone che sono legate al Pkk o hanno partecipato agli eventi promossi da organizzazioni culturali ritenute vicine al movimento.

I parlamentari dell’opposizione e le ong hanno criticato la norma, sostenendo che limita la libertà di espressione e associazione. Alla fine di marzo il Consiglio della legislazione, che ha il compito di valutare le nuove proposte di legge, ha denunciato senza mezzi termini l’indeterminatezza delle definizioni contenute nel testo, evidenziando il rischio di una “criminalizzazione su vasta scala”.

Svenneling ritiene che la nuova misura aiuterà il sistema a mettere a tacere le voci critiche. “Ho letto le domande che la Säpo rivolge ai richiedenti asilo, e nemmeno io passerei il test”, spiega. “Ho messo ‘mi piace’ alla pagina Facebook del leader curdo Selahattin Demirtaş e credo che non dovrebbe essere in prigione. Se chiedessi asilo in Svezia e ripetessi questa frase, mi definirebbero un pericolo per la sicurezza”.

Il momento della verità

Ad aprile le autorità turche hanno eliminato il veto sulla candidatura della Finlandia, aprendo la strada al suo ingresso nella Nato. Ora che la campagna elettorale in Turchia è finita ed Erdoğan è stato rieletto, anche la Svezia spera che le resistenze di Ankara possano essere superate. Secondo il portavoce del ministero degli esteri svedese “gli sforzi diplomatici e il dialogo con la Turchia proseguono. La Svezia ha seguito alla lettera il memorandum trilaterale”.

Il momento della verità arriverà al vertice della Nato che si terrà in Lituania l’11 e il 12 luglio. I diplomatici occidentali stanno facendo il possibile per sbloccare l’impasse. “Mi sono congratulato con Erdoğan e gli ho detto che vogliamo un accordo con la Svezia. Dobbiamo darci da fare insieme per ottenerlo”, ha dichiarato Joe Biden il 30 maggio, dopo la rielezione del presidente turco.

Lo stesso giorno la corte suprema svedese ha autorizzato l’estradizione di un cittadino turco-curdo, Mehmet Kokolu, condannato nel 2014 in Turchia per traffico di cannabis.

Kokolu ha dichiarato di essere un esponente dell’Hdp e un sostenitore del Pkk e delle Ypg, un’affermazione contestata da alcuni leader della comunità curda in Svezia. Secondo Ridvan Altun, portavoce del Centro svedese per la società democratica curda, un’organizzazione vicina al Pkk, “Kokolu non ha alcun legame formale con i partiti e i gruppi della resistenza curda. L’intera operazione puzza di propaganda. Da tempo lo stato turco usa le accuse di traffico di droga per delegittimare i movimenti curdi, e sembra che ora stia esportando questa strategia in Europa”. L’ultima parola sull’estradizione di Kokolu spetterà al governo svedese. ◆ as

Da sapere
Tensioni sul Corano

◆ La possibilità che la Turchia approvi presto l’ingresso della Svezia della Nato sembra decisamente più lontana dopo che il 28 giugno 2023, in concomitanza con la festività islamica dell’Eid al Adha, un uomo di origine irachena ha bruciato alcune pagine del Corano davanti alla principale moschea di Stoccolma. Come in occasione di un gesto simile compiuto dal politico di estrema destra Rasmus Paludan a gennaio, il governo svedese ha condannato la profanazione ma ha dichiarato che impedirla avrebbe violato la libertà di espressione. L’episodio ha suscitato forti proteste nel mondo islamico, e il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha dichiarato che la lotta all’islamofobia è una condizione irrinunciabile per l’approvazione della domanda della Svezia. Reuters


Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1519 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati