La fanfara della vittoria ha squillato subito. La polvere non si era ancora posata sulle tende martoriate degli sfollati di Al Mawasi, nella Striscia di Gaza, quando le reti televisive israeliane hanno cominciato a parlare di “vittoria totale”. Il giornalista Nir Dvori, con un’espressione radiosa, come se fosse stato lui stesso a ordinare l’assassinio, ha dichiarato che Mohammed Deif “era un mortale”. Il suo collega Almog Boker ha promesso: “Le cose stanno volgendo al meglio”. L’annuncio parlava dei “dolci momenti della vita”. E la giornalista televisiva Moriah Asraf Wolberg ha violato la sacralità del suo shabbat per dire: “Noi tutti speriamo che Deif sia morto”. Tutti? Quasi tutti.
Non è difficile capire il significato di questa gioia. Essenzialmente indica la profondità del problema. Nessuna delle tante uccisioni compiute da Israele ha ancora portato al paese un risultato concreto al di là di questa gioia di massa e di un desiderio di vendetta soddisfatto. Eppure si canta di nuovo vittoria.
Quante barbariche uccisioni sarà autorizzato a compiere lo stato ebraico per eliminare uno o due comandanti di Hamas, sia pure i più feroci e pericolosi? Nessun israeliano se lo chiede
I palestinesi che nel 2001 hanno assassinato il ministro israeliano di estrema destra Rehavam Zeevi hanno forse ottenuto qualcosa? Lo stato ebraico pagherà il prezzo dell’omicidio di Deif, ammesso che sia avvenuto, così come finora ha pagato direttamente e indirettamente, presto o tardi, per tutti quelli che ha commesso.
Se dal Libano ora si apriranno le porte dell’inferno, sapremo qual è il prezzo da pagare. Se Hamas userà la forza che gli rimane per mettere in atto una vendetta, sapremo qual è il prezzo da pagare. Se Deif, in caso fosse morto, sarà rimpiazzato da qualcuno più estremista, sapremo qual è il prezzo da pagare. E soprattutto, se l’accordo per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi entrerà in un vicolo cieco, sapremo qual è il prezzo da pagare. Sono tutti sviluppi molto prevedibili, eppure Tel Aviv celebra la sua vittoria.
Resta, però, sospesa una domanda: quante barbariche uccisioni sarà autorizzato a compiere Israele per eliminare uno o due comandanti di Hamas, sia pure i più feroci e pericolosi? Nessun israeliano se lo chiede. Se qualcuno osasse farlo, la risposta arriverebbe senza pensarci: “Tutte quelle che servono”.
Le scene del 13 luglio a Gaza mostrano cosa vuol dire “tutte quelle che servono”: l’orrore. Aerei da combattimento e droni hanno bombardato Al Mawasi, che l’esercito aveva indicato come unica zona sicura per gli abitanti di Gaza. Vorrei dire agli israeliani pompati dai loro mezzi d’informazione con un senso di falsa vittoria: sappiate che stiamo parlando di una superficie di 6,5 chilometri quadrati dove Israele vorrebbe rinchiudere un milione e 800mila persone che hanno perso tutto.
Ovviamente non ci sono né rifugi antiaerei né case, solo tende e sabbia. L’esercito israeliano dichiara che la zona bombardata era circoscritta e “boscosa” (boschi? A Gaza?) e che nell’attacco sono state uccise decine di terroristi. Ma le immagini diffuse in tutto il mondo hanno mostrato le tende distrutte e le urla di morte dei bambini.
Ad Al Mawasi gli abitanti di Gaza avevano trovato riparo dal caldo, dalla sete e dalla fame, ed è qui che i piloti e gli operatori dei droni hanno puntato i missili assassini. Il risultato è stato un massacro: i morti sono almeno novanta tra cui bambini e soccorritori, ma la cifra potrebbe aumentare. Centinaia di feriti sono stati trasportati sui cofani delle auto, su carri trainati da asini denutriti, oppure tra le braccia di parenti e persone care, all’ospedale Nasser, che è semidistrutto e ancora una volta ha preso le sembianze di un mattatoio. Quasi nulla di tutto questo interessa a Israele.
Il prezzo pagato dagli sfollati di Gaza è giusto? Quanti bambini, medici, donne, anziani ucciderà Israele per un Mohammed Deif? Quanto sangue dev’essere versato per sbandierare un successo ai vertici politici?
Cento morti sono sicuramente ammissibili. E che ne dite di mille? Presumo che la maggior parte degli israeliani approverebbe. Diecimila? Cinquantamila? Forza, ditemi, quante persone può uccidere lo stato ebraico prima che sia considerato un crimine ai suoi stessi occhi? La risposta è molto prevedibile: “Tutte quelle che servono”. In altre parole: non c’è alcun limite. ◆ fdl
Questo articoloè uscitosul quotidiano israeliano Haaretz.
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Questo articolo è uscito sul numero 1572 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati