La sera del 6 gennaio, tra canti, candele e dolciumi, la folla animava le strade meravigliosamente illuminate di Tbilisi. Per i presenti non era solo la vigilia del Natale ortodosso, ma anche un’occasione di protesta. “Auguriamo a tutti un felice Natale e chiediamo elezioni anticipate”, ha sintetizzato una studente scesa in piazza insieme a compagni di corso e insegnanti.
Poco prima della mezzanotte migliaia di persone si sono riunite attorno alla chiesa di Kashveti per cantare, pregare e far sentire la loro voce. “Vogliamo la Georgia nell’Unione europea. Non ci faremo ostacolare da un manipolo di ricchi che pretendono di avere il diritto di governare”, ha dichiarato un ragazzo avvolto nella bandiera dell’Ue, indicando il palazzo del parlamento, dall’altro lato della strada. Arrivata la mezzanotte, una voce da soprano ha intonato un canto classico. Altre persone – con in mano candele o manifesti politici – hanno aggiunto le voci basse e alte. Per i georgiani l’armonia vocale è un istinto naturale, e presto una soave e fragorosa polifonia ha invaso il cortile della chiesa. La serata è stata una festa, ma anche il simbolo della situazione surreale in cui vive la Georgia. Il paese è diviso in due entità parallele e contrapposte, ognuna delle quali non riconosce la legittimità dell’altra: da un lato i manifestanti, dall’altro il governo. Con la fine della crisi ancora lontana, non è chiaro da che parte stiano la legge e l’autorità.
I raduni natalizi a Tbilisi e in altre città del paese hanno segnato la quarantesima giornata delle proteste esplose dopo la decisione del partito al governo, Sogno georgiano (Sg), di bloccare il processo di adesione all’Unione europea. Anche a gennaio i manifestanti, spesso a migliaia, hanno continuato a riunirsi davanti al parlamento per sfidare l’autorità di Sg, l’unico partito che siede nell’assemblea dopo le contestate elezioni dello scorso ottobre.
Città e campagna
Incapace di zittire le proteste con la forza, Sg ha deciso di lasciare che il movimento facesse il suo corso, nella speranza che le mobilitazioni perdessero slancio con l’arrivo delle vacanze invernali. Ma evidentemente le cose sono andate in modo diverso. La notte di capodanno decine di migliaia di persone sono scese in strada in molte città georgiane per protestare e festeggiare. Nel centro di Tbilisi hanno portato piatti preparati a casa e allestito una tavola lunga più di un chilometro. “Sogno georgiano sbaglia se crede che ci lasceremo distrarre”, ha detto Ketevan Khmeladze, insegnate in pensione, mentre apparecchiava la tavola al centro di viale Rustaveli. “Continueremo a manifestare a prescindere da tutto, fino a quando non se ne andranno”.
Con le strade invase dai manifestanti, Sg ha organizzato il suo evento per il nuovo anno in un palazzo del governo. A seconda dell’affiliazione politica, le emittenti televisive hanno trasmesso la festa dei manifestanti o il concerto ufficiale, diffondendo due immagini diametralmente opposte delle celebrazioni e della situazione attuale del paese.
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Alla dimensione kafkiana della crisi contribuisce anche il fatto che oggi la Georgia ha di fatto due presidenti, Salomé Zourabichvili e Mikheil Kavelashvili. I cittadini vicini alle proteste considerano Zourabichvili l’unica figura istituzionale legittima, dato che è stata eletta con voto popolare nel 2018 e soprattutto è una convinta europeista, come la maggior parte dei georgiani.
Considerando illegittime le elezioni legislative di ottobre e l’elezione del presidente di dicembre (in cui Kavelashvili è stato scelto dal parlamento in seguito a una riforma della costituzione), i manifestanti non riconoscono l’autorità del nuovo capo dello stato, un ex calciatore che Sg ha prelevato dall’ala più radicale del partito sistemandolo alla carica più alta del paese con un procedimento molto contestato.
In una strana forma di diarchia, Zourabichvili governa le strade (ha partecipato alle proteste natalizie nella capitale) mentre Kavelashvili siede nel palazzo presidenziale, limitandosi ad approvare i provvedimenti di Sg. I leader del partito – a cominciare dal capo supremo, l’oligarca Bidzina Ivanishvili – non appaiono più in pubblico, fatta eccezione per le interviste e i comunicati trasmessi dalle emittenti controllate dal governo. Questo diffonde la sensazione che esistano solo in tv.
Molti paesi stranieri, tra cui Regno Unito e Stati Uniti, hanno contestato l’autorità di Sg, sostenendo che il partito non è legittimato a governare. Ivanishvili e il suo partito ricevono pesanti critiche dai governi occidentali, che li accusano di aver represso violentemente il dissenso.
Al momento non esiste una stima attendibile su quale sia la posizione della maggioranza dei georgiani. Stando ai dati dei sondaggi (abbiamo avuto accesso a indagini non ancora pubbliche) le grandi città rifiutano in massa l’autorità di Sogno georgiano e vogliono un ritorno alle urne, mentre nelle aree rurali il quadro è più complesso. Inoltre, anche se sono in netta minoranza nella capitale, i leader di Sg possono ancora contare sulla polizia anti-sommossa e su bande di picchiatori mercenari. Già in passato l’esecutivo di Sogno georgiano ha mostrato di non aver paura di ricorrere alla forza contro le proteste pacifiche.
Immaginare una soluzione allo stallo è difficile, considerato che nessuno dei due schieramenti è disposto ad arretrare. Il centro studi Georgian institute for politics ha ipotizzato tre scenari possibili: nel primo, Sg aumenta la repressione, innescando una “bielorussizzazione della Georgia”; nel secondo, il governo si piega alla pressione interna ed esterna e accetta il ritorno alle urne; nel terzo, Sg abbandona le sue posizioni più estreme e trova un accordo con i manifestanti. “È impossibile prevedere quale di questi scenari si avvererà”, dice Kornely Kakachia, direttore del centro studi. “Di certo la situazione attuale non può reggere all’infinito”. ◆ as
Giorgi Lomsadze è un giornalista georgiano, che vive a Tbilisi.
Questo articolo è uscito su Eurasianet.
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Questo articolo è uscito sul numero 1599 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati