I primi quarant’anni di Roberto Saviano sono suo malgrado anche una vicenda televisiva. La necessità di comunicare ed esistere pubblicamente ha dipanato nel tempo un racconto fatto di stanze tra loro molto diverse. Lo abbiamo ascoltato da Fabio Fazio, sul palco di Sanremo, da Maria De Filippi. La sua abilità narrativa è cresciuta davanti a chi legge i suoi libri e a ragazzi che sanno solo che quando parla lui è raccomandato il silenzio. Ora Saviano torna in tv con una stanza tutta sua, Insider (Raitre). Sua perché ne è il conduttore e perché lì dentro si confronta con coloro che sedici anni fa lo condannarono a morte. Lo scrittore ricostruisce la storia dei casalesi, in particolare di Francesco Bidognetti, soffermandosi sulla barbarie familiare prima ancora che penale. In uno studio minato da spine luminose, snoda i frammenti della sua intervista ad Anna Carrino, compagna del boss e pentita, la violenza della suocera, la possessività truce dei maschi e l’indifferenza di un’élite criminale per la sorte di una terra e dei suoi abitanti. Ma l’occhio cade sempre su di lui, sul contrasto tra la posa serafica e il desiderio, presumiamo, di saltare al collo di chi lo ha costretto alla peggiore clausura. Ogni suo passaggio televisivo si accompagna a un senso di claustrofobia, di prigionia coatta e di nostra impotenza. Insider è il momento dei colloqui. Che Saviano riserva, di là dal vetro, non ai suoi affetti, ma ai suoi aguzzini. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1448 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati